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ADUNANZA PLENARIA DEL CONSIGLIO DI STATO n. 2 del 25.01.2022

LA MODIFICAZIONE SOGGETTIVA DEL RTI IN CASO DI PERDITA IN CORSO DI GARA DEI REQUISITI EX ART. 80 D.LGS. N. 50/2016

Con la recentissima pronuncia del 25 gennaio 2022, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato afferma un importante principio in tema di modificazione soggettiva dei RTI per perdita dei requisiti di partecipazione di cui all’art. 80 D. Lgs. n. 50/2016 da parte del mandatario o di una delle mandanti.

La decisione si pone in continuità con la decisione n. 10 del 27 maggio 2021 con cui l’Adunanza Plenaria si è pronunciata sull’illegittimità della c.d. “sostituzione per addizione” nei RTI.

La disciplina vigente in tema di modificazione soggettiva dei RTI

Il comma 9 dell’art. 48 D. Lgs. n. 50/2016 pone, in via generale, il divieto di modificazione della composizione dei raggruppamenti temporanei di imprese (RTI) e dei consorzi ordinari di concorrenti “rispetto a quella risultante dall’impegno presentato in sede di offerta”.

Costituiscono espresse eccezioni a tale principio i commi 17 e 18 del medesimo art. 48, oltre che il comma 19.

Come chiarito dall’Adunanza Plenaria nella pronuncia in commento, dette norme di eccezione disciplinano fattispecie differenti.

Per un verso, il comma 17 ed il comma 18 attengono a vicende soggettive puntualmente indicate, rispettivamente concernenti il mandatario ed un mandante, che conseguono ad eventi sopravvenuti rispetto al momento di presentazione dell’offerta.

In particolare, a fronte del verificarsi di tali eventi, il disposto di cui al comma 17 consente la prosecuzione del rapporto di affidamento con altro operatore in qualità di mandatario purché in possesso dei requisiti di qualificazione “adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire”, mentre il comma 18 consente l’indicazione da parte del mandatario di altro operatore economico subentrante in possesso dei prescritti requisiti di idoneità ovvero, in caso di mancata indicazione, l’esecuzione da parte del medesimo mandatario, anche per mezzo di altri mandanti, “purché questi abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire”.

Per altro verso, il comma 19 attiene alla modificazione soggettiva derivante dalla manifesta volontà di recedere dal raggruppamento da parte di una o più delle imprese raggruppate, senza che ricorrano alcuna delle ipotesi contemplate dai commi 17 e 18. Tale recesso è ammesso qualora la riduzione soggettiva sia dettata da “esigenze organizzative del raggruppamento” non finalizzate ad eludere la mancanza dei requisiti di partecipazione alla gara, e sempre che “le imprese rimanenti abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire”.

Il quadro normativo come ora delineato è stato innovato dall’art. 32, comma 1, lett. h), D. Lgs. 19.04.2017 n. 56, che ha introdotto nel testo dell’art. 48 due importanti novità:

    • l’inclusione, tra le ipotesi legittimanti la modificazione soggettiva ai sensi dei commi 17 e 18, del “caso di perdita, in corso di esecuzione, dei requisiti di cui all’art. 80” da parte del mandatario o di uno dei mandanti;
    • l’introduzione ex novo del comma 19-ter, a norma del quale “le previsioni di cui ai commi 17, 18 e 19 trovano applicazione anche laddove le modifiche soggettive ivi contemplate si verifichino in fase di gara”.

A fronte della modifica normativa, è emerso nella prassi un contrasto concernente il campo di applicazione oggettivo delle predette disposizioni: se, infatti, il riferimento espresso al “corso di esecuzione” contenuto nei commi 17 e 18 fa propendere per la limitazione dell’ipotesi di “perdita dei requisiti di cui all’art. 80” alle sole sopravvenienze verificatesi nella fase, appunto, di esecuzione, l’ampia formulazione del comma 19-ter fa ritenere applicabili tutte le vicende soggettive indicate ai commi 17 e 18 (compresa, dunque, la perdita dei requisiti ex art. 80) anche “in fase di gara”.

Il principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria
n. 2 del 25.01.2022

Con Ordinanza 18 ottobre 2021 n. 6959 la Sezione V del Consiglio di Stato ha deferito all’Adunanza Plenaria alcune questioni inerenti l’interpretazione dei commi 17, 18 e 19-ter dell’art. 48 D. Lgs. n. 50/2016, in tema di modificazione soggettiva dei RTI per perdita dei requisiti di partecipazione ex art. 80.

In particolare, la Sezione ha investito l’Alto Consesso della composizione del contrasto relativo all’ammissibilità della predetta modificazione non solo in fase di esecuzione bensì anche in fase di gara.

Come evidenziato nell’Ordinanza di rimessione, la questione era stata risolta negativamente dalla stessa Adunanza Plenaria nella sentenza n. 10 del 27 maggio 2021, che tuttavia aveva trattato solo incidentalmente la questione relativa all’estensibilità dell’ipotesi di perdita dei requisiti ex art. 80 alla fase di gara.

In tale pronuncia, in particolare, era stata affermata l’ammissibilità della sostituzione “meramente interna” del mandatario o del mandante di RTI con altro soggetto del raggruppamento in possesso dei requisiti anche in fase di gara nelle sole ipotesi espressamente disciplinate dai commi 17, 18 e 19 dell’art. 48. Si escludeva per contro la modificazione c.d. “per addizione”, consistente nell’introduzione nella compagine di un soggetto ad essa esterno in quanto contraria al generale principio di concorrenza, oltre che di correttezza e trasparenza.

Riassumendo le fila del ragionamento tracciato nell’anzidetta decisione, nella pronuncia n. 2 del 25.01.2022 l’Adunanza Plenaria afferma la natura antinomica delle previsioni di cui ai commi 17, 18 e 19-ter: antinomia definita al tempo stesso “assoluta”, in quanto nessuna delle citate disposizioni può essere applicata senza entrare in conflitto con l’altra, e “normativa”, attesa la contestualità temporale delle previsioni, peraltro introdotte dalla medesima fonte.

Ne discende un contrasto di difficile composizione per l’interprete, cui non possono soccorrere i tradizionali criteri ermeneutici, quali il criterio gerarchico, il criterio della competenza della fonte ovvero i criteri cronologico o temporale e di specialità.

L’Adunanza Plenaria ritiene dunque di dover superare l’antinomia mediante il richiamo ai principi di interpretazione secondo ragionevolezza ovvero secondo Costituzione.

Osserva pertanto come un’interpretazione che escluda l’applicazione della perdita dei requisiti ex art. 80 in fase di gara, per un verso, introdurrebbe una non ragionevole disparità di trattamento tra le varie ipotesi di sopravvenienze di cui ai commi 17 e 18 e, per l’altro, darebbe vita ad un caso di responsabilità oggettiva e di concreta incapacità a contrattare con la Pubblica Amministrazione da parte di imprese “incolpevoli”, dato che il fatto impeditivo sopravvenuto riguarda una sola di esse. Peraltro, tali esiti si porrebbero anche in contrasto con i principi di massima partecipazione alle gare e di concorrenza perseguiti dalla previsione dell’istituto dei RTI.

Ne conclude, l’Alto Consesso, che nessuna delle ragioni che sorreggono il principio di immodificabilità soggettiva varrebbero a fondare il divieto di modificazione del raggruppamento per perdita dei requisiti di cui all’art. 80 in sede di gara.

Alla luce di tale interpretazione dei commi 17, 18 e 19-ter dell’art. 48, l’Adunanza Plenaria afferma quindi che la modificazione soggettiva dei RTI in caso di perdita dei requisiti di partecipazione ex art. 80 da parte del mandatario o di una delle mandanti è consentita non solo in sede di esecuzione del contratto ma anche in fase di gara.

Allorché ricorra la predetta ipotesi, la Stazione Appaltante è tenuta ad interpellare il RTI in ordine alla sua volontà di procedere alla riorganizzazione del proprio assetto interno, concedendo un termine ragionevole e proporzionale a tal fine e riprendendo all’esito l’ordinario procedimento di gara.

 

Studio Legale DAL PIAZ

“LEGGE EUROPEA 2019-2020” (Legge 23.12.2021 n. 238) LE NOVITÀ IN MATERIA DI CONTRATTI PUBBLICI

Il 1 febbraio 2022 entra in vigore la Legge 23.12.2021 n. 238 (c.d. “Legge europea 2019-2020”), recante disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea.

La Legge introduce, all’art. 10, alcune importanti novità in materia di contratti pubblici, innovando il D. Lgs. n. 50/2016 al fine di adeguare la normativa vigente ai rilievi sollevati dalla Commissione europea, da ultimo con la procedura di infrazione n. 2018/2273.

Le nuove disposizioni si applicano alle procedure i cui bandi o avvisi di indizione sono pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore della Legge e, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, alle procedure in cui, alla medesima data, non siano ancora stati trasmessi gli inviti a presentare le offerte o i preventivi.

Di seguito le novità introdotte.

  1. Consulenze specialistiche in fase di progettazione

Al comma 8 dell’art. 31 D. Lgs. n. 50/2016 è introdotta la facoltà per il progettista incaricato di affidare a terzi le attività di consulenza specialistica “inerenti ai settori energetico, ambientale, acustico e ad altri settori non attinenti alle discipline dell’ingegneria e dell’architettura per i quali siano richieste apposite certificazioni o competenze”.

L’art. 31 ha ad oggetto gli incarichi conferiti dalla Stazione Appaltante a supporto dell’attività del RUP, in relazione ai quali il soggetto affidatario non può avvalersi del subappalto, fatta eccezione per le indagini geologiche, geotecniche e sismiche, per sondaggi, rilievi, misurazioni e picchettazioni, per la predisposizione di elaborati specialistici e di dettaglio, nonché per la sola redazione grafica degli elaborati progettuali: l’inciso introdotto dalla Legge europea è dunque volto ad ampliare l’ambito di attività che, in relazione alla loro natura specialistica, è possibile esternalizzare.

Resta in ogni caso ferma la responsabilità del progettista anche per tali attività.

  1. Affidamento dei servizi di architettura ed ingegneria

A seguito della Decisione CGUE 11.06.2020, C-219/19[1], viene ampliata la platea dei soggetti ammessi alle procedure di affidamento dei servizi di architettura ed ingegneria di cui all’art. 46 D. Lgs. n. 50/2016.

La norma è stata tradizionalmente oggetto di un’interpretazione restrittiva, per cui venivano esclusi dalla partecipazione gli operatori che, pur svolgendo attività di architettura ed ingegneria, non fossero organizzati in una delle forme giuridiche espressamente elencate alle lett. a) ad f) del comma 1 del citato art. 46.

Con l’introduzione della lettera d-bis) nel medesimo comma 1 da parte della la Legge europea, viene ammessa la partecipazione di tutti gli “altri soggetti abilitati in forza del diritto nazionale a offrire sul mercato servizi di ingegneria e di architettura, nel rispetto dei principi di non discriminazione e par condicio fra i diversi soggetti abilitati”.

Per tali soggetti i requisiti minimi di partecipazione sono stabiliti, nelle more dell’adozione del Regolamento unico ex art. 216, comma 27-octies, D. Lgs. n. 50/2016, con Decreto del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili da approvarsi entro il termine di sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della Legge.

  1. Motivi di esclusione

In tema di motivi di esclusione di cui all’art. 80 D. Lgs. n. 50/2016, le novità riguardano l’esclusione per ragioni legate al subappaltatore e per violazioni fiscali.

In relazione al subappaltatore, viene meno la possibilità di escludere l’operatore economico quando i motivi di cui ai commi 1 e 5 riguardino non già l’operatore medesimo, bensì, appunto, un suo subappaltatore.

Si elimina inoltre, limitando la previsione del comma 7 al solo concorrente, la facoltà del subappaltatore di provare il proprio ravvedimento a seguito di giudizi la cui sentenza definitiva abbia imposto una pena detentiva non superiore a 18 mesi ovvero abbia riconosciuto l’attenuante della collaborazione come definita per le singole fattispecie di reato.

Sotto il profilo fiscale, il comma 4 introduce la possibilità di disporre l’esclusione dell’operatore quando la Stazione Appaltante “è a conoscenza e può adeguatamente dimostrare che lo stesso ha commesso gravi violazioni non definitivamente accertate agli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse o contributi previdenziali.”.

Per “gravi violazioni non definitivamente accertate” in materia contributiva e previdenziale debbono intendersi quelle di cui al quarto periodo del medesimo comma 4[2], mentre le gravi violazioni in materia fiscale saranno oggetto di specificazione in apposito Decreto adottato dal Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili.

  1. Subappalto

A latere delle novità già introdotte in materia dal Decreto Semplificazioni bis, è previsto che:

    • il subappalto può essere affidato anche ad un operatore economico che abbia partecipato come concorrente alla medesima procedura di gara;
    • non devono sussistere a carico del subappaltatore i motivi di esclusione di cui all’art. 80, fermo restando che la relativa insussistenza non deve essere provata dal concorrente, ma dal subappaltatore medesimo al momento del deposito del contratto ai sensi del comma 7 dell’art. 105 D. Lgs. n. 50/2016.

Nei contratti di concessione, a fronte di apposita verifica da parte della Stazione Appaltante che comprovi la sussistenza dei predetti motivi di esclusione in capo ai subappaltatori, l’affidatario provvede alla loro sostituzione ex art. 174, comma 3, D. Lgs. n. 50/2016.

Inoltre, in linea con il regime temporaneo introdotto dall’art. 1, comma 18, D.L. n. 32/2019 (c.d. “Decreto Sblocca cantieri”), abrogato dalla Legge europea, viene definitivamente meno l’obbligo di indicazione della terna di subappaltatori in sede di offerta originariamente previsto al comma 6 dell’art. 105 ed al comma 2 dell’art. 174 D. Lgs. n. 50/2016.

Un ulteriore novità concerne le procedure di scelta del contraente e l’esecuzione del contratto da svolgersi all’estero, posto che viene disposta l’abrogazione del comma 2 dell’art. 14 del Decreto del Ministero degli affari esteri n. 192 del 2.11.2017, relativo al superamento nei subappalti del 30% dell’importo complessivo del contratto.

  1. Stato di avanzamento dei lavori e termini di pagamento

L’art. 113-bis D. Lgs. n. 50/2016, relativo a termini di pagamento e clausole penali, è innovato con l’introduzione dei commi da 1-bis ad 1-septies.

In particolare, si prevede la facoltà dell’esecutore di comunicare direttamente alla Stazione Appaltante, fermi restando i compiti del D.L., il raggiungimento delle condizioni contrattuali per l’adozione dello stato di avanzamento dei lavori (c.d. SAL).

A fronte di tale comunicazione, il D.L. svolge le opportune verifiche e, se accerta l’effettivo raggiungimento delle condizioni contrattuali idonee, adotta senza indugio il SAL. Per contro, in ipotesi di difformità tra le valutazioni operate dall’esecutore e dal D.L., si dà seguito ad un tempestivo accertamento in contraddittorio tra i due soggetti, che si conclude con l’archiviazione della comunicazione o con l’adozione del SAL.

Contestualmente all’adozione del SAL, e comunque non oltre il termine di sette giorni dalla stessa, il RUP emette il certificato di pagamento, previa verifica della regolarità contributiva dell’esecutore e dei suoi subappaltatori.

L’esecutore può in ogni caso emettere fattura già al momento di adozione del SAL, posto che tale emissione non è subordinata al rilascio del certificato di pagamento da parte del RUP.

 

Studio Legale DAL PIAZ

[1]Decisione con la quale la CGUE ha ammesso i soggetti privi di scopi di lucro, quali le fondazioni, alle procedure per l’affidamento dei servizi di architettura ed ingegneria.

[2]Per giungere a tale conclusione, la Corte ha richiamato il principio elaborato dalle Sezioni Riunite in sede giurisdizionale della Corte dei Conti nel 2011 con la sentenza n. 14/2011/QM in data 05.09.2011, nella quale viene precisato che, ai fini del risarcimento, il danno erariale non deve essere solo concreto ed attuale, ma anche certo.

Il TAR Valle d’Aosta, confermando l’operato dell’AUSL VALLE D’AOSTA e di IN.VA. S.p.A., rappresentate dallo Studio Legale DAL PIAZ, enuncia un principio di diritto sulle ipotesi di incompatibilità dei componenti di una Commissione giudicatrice

L’interpretazione dell’art. 77, comma 6, D.Lgs. 50/2016

Con le Sentenze nn. 73 e 74 in data 20.12.2021 il TAR per la Valle d’Aosta si è pronunciato sui ricorsi promossi da SYNERGIE ITALIA S.p.A. e da UMANA S.p.A. contro l’aggiudicazione definitiva disposta da IN.VA. S.p.A. (Centrale unica di committenza della Regione Valle d’Aosta) per la procedura di affidamento del servizio di somministrazione del personale a tempo determinato per l’Azienda USL della Valle d’Aosta. Le resistenti, patrocinate dallo Studio Legale DAL PIAZ, hanno vinto entrambi i contenziosi con due pronunce nelle quali si enuncia un interessante principio di diritto in materia di incompatibilità dei commissari di gara.

Lo svolgimento dei giudizi

La vicenda dalla quale prendono le mosse le sentenze in argomento trae origine dalla procedura telematica aperta indetta da IN.VA. S.p.A. ai sensi dell’art. 60 del D.Lgs. 50/2016 (con bando pubblicato in G.U.U.E. in data 15.02.2021) per l’affidamento del servizio di attività di ricerca, selezione, formazione e gestione del personale a tempo determinato presso l’Azienda USL della Valle d’Aosta.

All’esito della gara l’aggiudicazione è stata disposta in favore di GI GROUP S.p.A.; SYNERGIE ITALIA S.p.A. e UMANA S.p.A., rispettivamente terza e seconda classificata, hanno proposto autonomi ricorsi innanzi al TAR per la Valle d’Aosta sostenendo l’illegittimità dell’aggiudicazione.

In sede di camera di consiglio, il Collegio ha ritenuto che non sussistessero i presupposti di estrema gravità ed urgenza per il riconoscimento delle misure cautelari richieste dalle ricorrenti, considerata la necessità di compiere complesse valutazioni, richiedenti l’approfondimento proprio della fase di merito.

Nelle more del contenzioso innanzi al Giudice di primo grado entrambi gli operatori hanno presentato ricorso in appello avverso l’esito delle camere di consiglio. Gli appelli sono stati respinti dal Consiglio di Stato, mentre l’Azienda USL si è impegnata a non sottoscrivere il contratto con l’aggiudicataria GI GROUP S.p.A. sino all’esito dell’udienza pubblica innanzi al TAR.

In data 20.12.2021, all’esito dell’udienza pubblica, il TAR ha dunque pubblicato le Sentenze nn. 73 e 74.

Le contestazioni mosse con riferimento all’incompatibilità del Presidente della Commissione giudicatrice

Tra i vizi della procedura contestati dalle ricorrenti particolare importanza hanno rivestito le censure concernenti la pretesa violazione dell’art. 77, comma 6, D.Lgs. 50/2016, norma che disciplina le ipotesi di incompatibilità dei componenti della Commissione giudicatrice[1].

In particolare, conformemente alle previsioni dall’art. 77, comma 9, D.Lgs. 50/2016, i tre commissari della procedura di gara avevano dichiarato al momento dell’insediamento la non sussistenza di cause di incompatibilità, tra le quali, per l’appunto, l’assenza di legami con gli operatori concorrenti.

In sede di apertura delle offerte tecniche (operazioni svolte durante la seconda seduta di attività della Commissione giudicatrice) il Presidente è però venuto a conoscenza della presenza di un proprio parente entro il secondo grado nel team di “somministrati” proposto dall’offerente RANDSTAD ITALIA S.p.A[2]; per l’effetto, il Presidente si è astenuto dal compiere ulteriori operazioni nell’ambito della procedura rassegnando le proprie dimissioni dall’incarico[3].

Le ricorrenti hanno dunque contestato in primis la dichiarazione resa dal Presidente al momento dell’insediamento ed hanno sostenuto che la presenza (seppur per poche ore) di un commissario in capo al quale si concretizzi un’ipotesi di incompatibilità (ai sensi dell’art. 77, comma 6, del D.Lgs. 50/2016) avrebbe viziato irrimediabilmente la gara. Infatti, nell’interpretazione data da SYNERGIE ITALIA S.p.A. e da UMANA S.p.A., l’esposizione degli altri membri della Commissione all’influenza del Presidente sarebbe stata sufficiente per alterare il corretto svolgimento della procedura, mentre l’unica possibile soluzione per non compromettere il processo valutativo delle offerte sarebbe stata l’integrale sostituzione dei commissari.

Le ricorrenti hanno dunque contestato in primis la dichiarazione resa dal Presidente al momento dell’insediamento ed hanno sostenuto che la presenza (seppur per poche ore) di un commissario in capo al quale si concretizzi un’ipotesi di incompatibilità (ai sensi dell’art. 77, comma 6, del D.Lgs. 50/2016) avrebbe viziato irrimediabilmente la gara. Infatti, nell’interpretazione data da SYNERGIE ITALIA S.p.A. e da UMANA S.p.A., l’esposizione degli altri membri della Commissione all’influenza del Presidente sarebbe stata sufficiente per alterare il corretto svolgimento della procedura, mentre l’unica possibile soluzione per non compromettere il processo valutativo delle offerte sarebbe stata l’integrale sostituzione dei commissari.

L’Azienda USL ed IN.VA. S.p.A., patrocinate dallo Studio Legale DAL PIAZ, hanno innanzitutto replicato che la causa di incompatibilità configurata in capo al Presidente non era dal medesimo conoscibile e non poteva esserlo sino al momento dell’apertura dell’offerta dalla quale risultava il nominativo del parente impiegato; allorquando il contenuto dell’offerta tecnica dell’operatore RANDSTAD ITALIA S.p.A. è stato noto alla Commissione, il Presidente si è dunque correttamente astenuto e dimesso seduta stante.

Peraltro, le Società ricorrenti non hanno specificato alcun comportamento oggettivo né portato alcun elemento di prova che dimostrasse un’effettiva influenza del Presidente sull’attività valutativa della Commissione, limitandosi a contestare genericamente la sola presenza dello stesso.

Il principio di diritto enunciato dal TAR Valle d’Aosta

Con le sentenze in esame il Collegio si è pronunciato in accordo con la posizione delle resistenti AUSL ed IN.VA. S.p.A..

Il TAR innanzitutto ha confermato la correttezza e la totale assenza di vizi nel modus procedendi del Presidente, sottolineando come la causa di incompatibilità fosse inconoscibile all’atto di costituzione della Commissione e fino all’apertura dell’offerta tecnica di RANDSTAD ITALIA S.p.A., rimanendo una pura supposizione che tale situazione potesse essere precedentemente nota.

Il Collegio ha sottolineato come la preesistenza di un legame parentale non è un dato rilevante se non associato ad un potenziale interesse del parente collegabile al concorrente. La mera sussistenza di un rapporto di lavoro non può essere considerata sempre e comunque rivestente un profilo di interesse “quasi che qualsiasi dipendente di qualsiasi impresa, anche multinazionale e con moltissimi dipendenti, debba intendersi interessato a qualsiasi gara cui partecipi il datore di lavoro”: ammettendo tale interpretazione si finirebbe infatti “per identificare l’interesse nel puro credito stipendiale, laddove l’art. 77, comma 6, del D. Lgs. n. 50 del 2016 – mediante il richiamo all’art. 51 c.p.c. e all’art. 42 stesso D. Lgs., che a sua volta richiama l’art. 7 del D.P.R. n. 62 del 2013 – considera i rapporti di credito in quanto tali solo se relativi al commissario ed al coniuge, non anche ai parenti.”

Quindi, l’istituto dell’incompatibilità dei membri della Commissione giudicatrice non deve essere esteso fino a dare rilevanza alla posizione dei pubblici funzionari che potrebbero avere rapporti rilevanti con soggetti che potenzialmente possono operare in settori in cui rivestano la posizione di controparti contrattuali della Pubblica Amministrazione[4]: “se ciò si può giustificare in presenza di imprenditori individuali o di figure apicali incardinate nell’ambito di imprese anche societarie, non può certamente applicarsi allorquando si tratti soggetti che, sebbene inquadrati nell’ambito dell’organigramma di un’impresa, non rivestono all’interno della stessa posizioni di rilievo, essendo in tal caso da escludere, almeno in via ordinaria, il rischio di influenze indebite sia nella sfera pubblica che in quella del privato imprenditore”.

Infatti, essendo la Società offerente una multinazionale con numerose filiali in Italia e con un rilevante numero di lavoratori, il legame di parentela del Presidente con un dipendente non incaricato di funzioni direttive non può dar luogo, secondo l’id quod plerumque accidit, a rischi di interferenze con eventuali soggetti pubblici in rapporto con lo stesso.

In ogni caso solo l’effettiva conoscenza della situazione di incompatibilità sostanzia il dovere di astensione del membro della Commissione giudicatrice “non essendo esigibile una tale condotta in una fase antecedente, allorquando nessun elemento concreto (e forse neanche potenziale) sussisteva in tal senso.

Il TAR per la Valle d’Aosta si è dunque pronunciato aderendo ad un approccio sostanzialistico nell’interpretazione delle clausole di incompatibilità ex art. 77, comma 6, del D.Lgs. 50/2016, come sostenuto dall’Azienda USL e da IN.VA. S.p.A.: pur trattandosi di un istituto finalizzato a tutelare in astratto e non in concreto dai rischi derivanti da un conflitto di interessi “non si può assolutizzare un tale livello di protezione, ampliandolo in maniera smisurata fino a ricomprendervi anche attività irrilevanti (come nella specie) o del tutto propedeutiche e meramente strumentali all’attività valutativa in senso stretto, rischiandosi altrimenti di recare un vulnus ad altri principi di derivazione costituzionale ed europea, quali il buon andamento, l’efficacia, l’efficienza e la continuità dell’azione amministrativa”.

 

 

Studio Legale DAL PIAZ

[1]Ai sensi dell’art. 77, comma 6, D.Lgs. 50/2016: “Si applicano ai commissari e ai segretari delle commissioni l’articolo 35-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, l’articolo 51 del codice di procedura civile, nonché l’articolo 42 del presente codice. Sono altresì esclusi da successivi incarichi di commissario coloro che, in qualità di membri delle commissioni giudicatrici, abbiano concorso, con dolo o colpa grave accertati in sede giurisdizionale con sentenza non sospesa, all’approvazione di atti dichiarati illegittimi”. In particolare, l’art. 51 c.p.c., comma 1, prevede al numero 2 l’obbligo di astensione qualora il giudice stesso (ovvero il commissario, in virtù del predetto richiamo normativo) “o la moglie è parente fino al quarto grado [o legato da vincoli di affiliazione], o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori”.

[2]Società classificatasi quarta nella graduatoria finale..

[3]Peraltro, nella medesima seduta anche un altro membro si era dimesso: la Commissione è stata così rinnovata di due dei suoi tre componenti.

[4]Il perimetro applicativo delle cause di incompatibilità è infatti di stretta interpretazione, cfr. TAR Lombardia – Milano, Sez. II, 8 marzo 2021 n. 616.

ADUNANZA PLENARIA DEL CONSIGLIO DI STATO SENTENZA N. 21 DEL 29.11.2021

LA RESPONSABILITA’ PRECONTRATTUALE DELLA STAZIONE APPALTANTE

Con una recentissima pronuncia l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato fa chiarezza sul diritto al risarcimento da lesione dell’affidamento verso un provvedimento amministrativo illegittimo, poi annullato in sede giurisdizionale, e sui presupposti della responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione nel settore delle procedure di affidamento di contratti pubblici.

L’affidamento nell’ordinamento giuridico domestico

L’affidamento è un istituto giuridico che caratterizza trasversalmente l’intero ordinamento giuridico e, ormai senza dubbi, assume rilievo nei rapporti tra i privati e le Pubbliche Amministrazioni.

Come ben evidenziato dall’importante Sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 5 del 4 maggio 2018, i concetti di “buona fede” e “correttezza” hanno assunto, negli anni, connotati completamente diversi rispetto al momento della loro introduzione nel codice civile del 1942. In particolare, l’impostazione originaria dei redattori del codice del 1942 predicava lo stretto legame tra dovere di correttezza e tutela dell’interesse nazionale: gli articoli 1337 e 1338 del codice civile configuravano strumenti risarcitori per la mancata conclusione del contratto o per lo sperpero (contratto invalido) di valori patrimoniali.

Tali principi sono stati superati con l’avvento della Costituzione repubblicana. Il dovere di comportarsi secondo buona fede e correttezza è stato ricondotto nell’alveo del più generale principio del dovere di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione[1].

Da tale interpretazione costituzionalmente orientata discende che il dovere di correttezza ha oggi assunto una portata tale da prescindere dall’esistenza di una formale trattativa. Il dovere di correttezza opera, al contrario, in tutti i casi in cui, sebbene manchi una trattativa in senso tecnico-giuridico, venga, comunque, in rilievo una situazione ““relazionale” qualificata, capace di generare ragionevoli affidamenti e fondate aspettative. Più in generale, la responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione può derivare non solo da comportamenti anteriori al bando di gara, ma anche da qualsiasi comportamento successivo che risulti contrario ai doveri di correttezza e buona fede sulla base di una verifica da compiere in concreto[2].

I principi di diritto espressi dall’Adunanza Plenaria

Il Consiglio di Stato, con Ordinanza n. 2753 del 6 aprile 2021, ha deferito all’Adunanza Plenaria alcune questioni in materia di responsabilità della Pubblica Amministrazione per l’affidamento suscitato nel destinatario di un provvedimento ampliativo illegittimamente emanato e poi annullato, con particolare riferimento all’ipotesi di aggiudicazione definitiva di appalto di lavori, servizi o forniture, successivamente revocata a seguito di una pronuncia giudiziale.

1. In primo luogo, l’Adunanza Plenaria ha confermato che il provvedimento amministrativo può essere, per il soggetto beneficiario, fonte di un “legittimo e qualificato affidamento”, la cui lesione per effetto del successivo annullamento in sede giurisdizionale consente di domandare il risarcimento del danno.

È stato in particolare evidenziato[3] che la responsabilità può insorgere non solo in presenza di atti illegittimi, bensì anche qualora la Pubblica Amministrazione violi i doveri generali di correttezza ed i connessi obblighi di protezione in favore della controparte.

2. Quanto ai limiti entro cui può essere riconosciuto il risarcimento per lesione dell’affidamento, l’Adunanza Plenaria ha, innanzitutto, ricordato l’orientamento favorevole, e ormai consolidato, in forza del quale l’attività dell’Amministrazione, anche se svolta secondo “i moduli impersonali dell’evidenza pubblica”, è inquadrabile nello schema delle trattative prenegoziali, da cui deriva l’assoggettamento al generale dovere di comportarsi secondo buona fede enunciato dall’art. 1337 del codice civile.

Il risarcimento deve essere riconosciuto con esclusivo riferimento al c.d. interesse negativo (spese sostenute per le trattative contrattuali e perdita di occasioni contrattuali alternative), dal momento che la ratio della tutela risarcitoria in parola è quella di non essere coinvolti in trattative inutili.

Viene quindi effettuata una breve analisi degli orientamenti, contrastanti, che, in alcuni casi, hanno sancito la legittimità dell’affidamento solo se sia stata pronunciata l’aggiudicazione definitiva e, in altri, hanno negato rilievo dirimente all’intervenuta aggiudicazione definitiva (orientamento, quest’ultimo, condiviso dall’Adunanza Plenaria).

Oltre al legittimo affidamento, sono stati individuati i seguenti ulteriori requisiti fondanti la responsabilità precontrattuale:

a) la colpa dell’Amministrazione, “nel senso che la violazione del dovere di correttezza e buona fede deve esserle imputabile quanto meno a colpa, secondo le regole generali valevoli in materia di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 cod. civ.”;

b) la mancanza di colpa in capo al concorrente.

Il punto sub b) costituisce sicuramente il passaggio di maggior interesse della Sentenza in commento.

L’Adunanza Plenaria, infatti, opera innanzitutto una distinzione tra i) l’annullamento d’ufficio della procedura di gara, ai sensi dell’art. 21-nonies della L. n. 241 del 1990, e ii) la revoca ai sensi dell’art. 21-quinquies della medesima Legge sul procedimento amministrativo. Nel primo caso, la responsabilità della Stazione Appaltante sarebbe da escludersi in quanto i motivi dell’annullamento sarebbero astrattamente conoscibili da parte del concorrente.

Tuttavia, l’elemento della colpevolezza dell’affidamento in capo al concorrente sarebbe differente nel caso in cui l’annullamento dell’aggiudicazione non sia disposto d’ufficio dall’amministrazione, mediante un atto di autotutela, ma in sede giurisdizionale.

Qualora venga disposto l’annullamento all’esito di un giudizio, sarebbe ipotizzabile un affidamento tutelabile solo prima della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, in quanto, a partire da tale momento, il concorrente sarebbe posto nelle condizioni di conoscere la possibile illegittimità del provvedimento favorevole.

Alla luce dei sopra descritti principi, l’Adunanza Plenaria ha rimesso il giudizio ai sensi dell’art. 99 del c.p.a., evidenziando che l’ambiguità della procedura di gara (nel caso specifico, ambigua formulazione del bando di gara) non ha comportato un nocumento per l’aggiudicataria, che, tramite il giudizio ha acquisito consapevolezza della caducità del provvedimento favorevole, bensì “casomai all’unica altra concorrente, vittoriosa poi nel giudizio di annullamento.

La pronuncia è passibile di critiche, dal momento che fa dipendere il diritto al risarcimento per responsabilità precontrattuale della stazione appaltante dall’eventuale comportamento di un soggetto terzo (ad esempio, il secondo in graduatoria). Infatti, qualora quest’ultimo agisca in giudizio l’aggiudicatario originario perderà il diritto ad ottenere il risarcimento dei danni – in quanto a conoscenza del fatto che il provvedimento favorevole, da tale momento, potrà essere annullato.

 

 

Studio Legale DAL PIAZ

[1]Tra le tante pronunce in questo senso, si veda Cass. Civ., Sez. I, 12 luglio 2016, n. 14188.

[2] A conferma della descritta evoluzione si pone l’art. 1, comma 2-bis, della L. 7 agosto 1990, n. 241, il quale dispone che: “i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede” (comma aggiunto dall’art. 12, comma 1, lettera 0a), L. 11 settembre 2020, n. 120, di conversione, con modificazioni, del D.L. 16 luglio 2020 n. 76, recante “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitali”).

[3]Mediante un richiamo alla menzionata Sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 5/2018.

La nuova disciplina del subappalto

Il 1 novembre 2021 è entrata in vigore la nuova disciplina in tema di subappalto introdotta dall’art. 49 del D.L. n. 77/2021 “Semplificazioni bis”.
La norma ha innovato l’art. 105 D. Lgs. n. 50/2016 introducendo due distinti pacchetti di disposizioni:

  • disposizioni di natura temporanea e di immediata vigenza dal 1 giugno 2021, data di entrata in vigore del Decreto Semplificazioni bis
  • disposizioni “definitive” e ad efficacia differita, per l’appunto, alla data del 1 novembre 2021.

Di seguito le principali novità del nuovo regime.

1. Abolizione dei limiti della quota subappaltabile.
Sulla scia delle Decisioni CGUE 26 settembre 2019 – C63/18, 27 novembre 2019 – C402/18 e 30 gennaio 2020 – C395/18, viene abolito il limite quantitativo al subappalto generale e precostituito per legge di cui al comma 2 dell’art. 105.
Detto limite, originariamente fissato nella misura del 30% dell’importo complessivo dell’affidamento, è stato oggetto di intervento da parte del Legislatore già a mezzo del D.L. n. 32/2019 (c.d. “Decreto Sblocca-cantieri”), ossia innalzato al 40%, e poi ancora mediante lo stesso Decreto Semplificazioni bis, che a decorrere dal 1 giugno 2021 ha stabilito il ricorso al subappalto sino alla quota del 50% dell’importo complessivo del contratto di lavori, forniture e servizi.
Con la nuova disciplina entrata in vigore lo scorso 1 novembre, il limite è venuto definitivamente meno ed il comma 2 dell’art. 105 è stato modificato nel senso di ammettere limitazioni al ricorso all’istituto nelle sole ipotesi specificatamente previste dalle Stazioni Appaltanti in relazione alla singola gara.

In particolare, la norma come emendata prevede che le Stazioni Appaltanti, “previa adeguata motivazione nella determina a contrarre, eventualmente avvalendosi del parere delle Prefetture competenti, indicano nei documenti di gara le prestazioni o le lavorazioni oggetto del contratto di appalto da eseguire a cura dell’aggiudicatario in ragione”:

  • delle specifiche caratteristiche dell’appalto, ivi compresi gli appalti per le opere superspecialistiche di cui all’art. 89, comma 11 (c.d. SIOS), D. Lgs. n. 50/2016
  • delle esigenze di rafforzamento del controllo sull’attività di cantiere e, più in generale, sui luoghi di lavoro, anche nell’ottica di una più intensa tutela delle condizioni di lavoro, salute e sicurezza dei lavoratori
  • delle esigenze di prevenzione del rischio di infiltrazioni criminali nell’appalto.

In ogni caso, dette previsioni non si applicano allorché i subappaltatori siano iscritti nelle c.d. white lists di cui all’art. 1, comma 52, L. n. 190/2012, ovvero nell’anagrafe antimafia di cui all’art. 30 D.L. n. 189/2016.
È altresì disposta l’abrogazione del comma 5 dell’art. 105, con conseguente venir meno del limite quantitativo del 30% al subappalto per le opere superspecialisitiche di cui all’art. 89, comma 11, D. Lgs. n. 50/2016.

2. Obblighi di attestazione del possesso dei requisiti speciali in capo al subappaltatore.
Nell’ottica di una maggiore responsabilizzazione del subappaltatore nei confronti della Stazione Appaltante, in sede di conversione del Decreto Semplificazioni bis sono state introdotte importanti novità in materia di obblighi dichiarativi.
In particolare, il nuovo comma 7 dell’art. 105 prevede che “Al momento del deposito del contratto di subappalto presso la stazione appaltante l’affidatario trasmette altresì la dichiarazione del subappaltatore attestante l’assenza dei motivi di esclusione di cui all’articolo 80 e il possesso dei requisiti speciali di cui agli articoli 83 e 84”.
La norma, in altri termini, riferisce direttamente al solo subappaltatore l’obbligo di attestare:

  • l’assenza a suo carico dei motivi di esclusione di cui all’art. 80 (onere, questo, già previsto dalla previgente normativa), nonché
  • il possesso da parte dello stesso subappaltatore dei requisiti speciali di idoneità professionale, di capacità tecnica ed economica, nonché dei requisiti di qualificazione di cui agli artt. 83 e 84 D. Lgs. n. 50/2016.

Non è dunque più prevista la trasmissione separata della certificazione di possesso dei requisiti di qualificazione del subappaltatore, dovendo gli stessi essere direttamente attestati da quest’ultimo nella dichiarazione trasmessa dal contraente principale contestualmente al deposito del contratto di subappalto.
Resta, in ogni caso, onere della Stazione Appaltante quello di verificare la veridicità della predetta dichiarazione tramite la Banca Dati nazionale dei Contratti Pubblici di cui all’art. 81 dello stesso D. Lgs. n. 50/2016 (il quale richiama, a sua volta, l’art. 213, comma 8, D. Lgs. n. 50/2016).

3. Obblighi di attestazione del possesso dei requisiti speciali in capo al subappaltatore.
Ancora nell’ottica di una maggiore responsabilizzazione del subappaltatore, è stato infine introdotto al comma 8 dell’art. 105 il principio di co-responsabilità in solido del contraente principale e del subappaltatore nei confronti della Stazione Appaltante in relazione alle prestazioni oggetto del contratto di subappalto.
La disposizione costituisce una novità assoluta, posto che il precedente testo della norma sanciva la responsabilità esclusiva del contraente principale nei riguardi della Stazione Appaltante e relegava la responsabilità solidale di contraente e subappaltatore ai soli obblighi retribuitivi e contributivi (previsione, quest’ultima, immutata).

4. Proroga del regime introdotto dal D.L. n. 32/2019.
A latere delle novità introdotte dall’art. 49, l’art. 51 del Decreto Semplificazioni bis è intervenuto sul regime derogatorio di cui all’art. 1, comma 18, del D.L. n. 32/2019, a norma del quale è sospeso l’obbligo di indicazione della terna di subappaltatori (art. 105, comma 6, D.Lgs. n. 50/2016) e sono altresì sospese le verifiche in sede di gara ex art. art 80 D. Lgs. n. 50/2016 riferite al subappaltatore: in particolare, l’art. 51 ha prorogato la vigenza di detto regime sino al 31 dicembre 2023.

 

Studio Legale DAL PIAZ

Lo Studio Legale DAL PIAZ vince al TAR Piemonte: Sentenza n. 447/2023 in materia di elementi essenziali dell’offerta ed applicabilità del soccorso istruttorio nel Partenariato Pubblico Privato.

L’illegittimità costituzionale dell’art. 177, comma 1, del Codice dei contratti pubblici.

Con ordinanza n. 166 in data 19.08.2020 il Consiglio di Stato (Sez. V), nel corso di un giudizio di impugnazione della Delibera dell’ANAC n. 614 del 04.07.2018[1], ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lett. iii), della L. n. 11/2016[2], e dell’art. 177 del Codice dei contratti pubblici (D. Lgs. n. 50/2016), per violazione degli artt. 3, comma 1, 41, comma 1, e 97, comma 2, della Costituzione.

Il quadro normativo.

Le norme censurate obbligano i titolari di concessioni di importo pari o superiore a € 150.000,00 già in essere all’entrata in vigore del Codice dei contratti pubblici (D. Lgs. n. 50/2016), e non assegnate con la formula della finanza di progetto o con procedure ad evidenza pubblica, ad esternalizzare, mediante affidamenti a terzi con procedura di evidenza pubblica, l’80% dei contratti di lavori, servizi e forniture, nonché a realizzare la restante parte di tali attività tramite Società in house o Società controllate o collegate, ovvero operatori individuati mediante procedura ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato.

La ratio dell’obbligo di dismissione totalitaria di lavori, servizi e forniture relativi ad una concessione affidata senza gara, cui si ricollega l’impossibilità per il concessionario di eseguire esso stesso le prestazioni oggetto della concessione, viene collegata alla “necessità di imporre regole concorrenziali, seppure a valle, […] quando sono mancate le gare a monte” (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. I, parere n. 823/2020), e, in generale, all’esigenza di sanare il contrasto con i principi comunitari di libera concorrenza.

Ai sensi del comma 3, dell’art. 177, del Codice dei contratti pubblici (che ha ripreso pressoché integralmente il principio ed il criterio direttivo esplicitato nella citata Legge delega n. 11/2016), il compito di definire le modalità di verifica del rispetto degli obblighi in capo ai concessionari è rimesso ad apposite Linee Guida dell’ANAC, che prevedono una penale “nel caso di situazioni di squilibrio reiterate per due anni consecutivi”.

Al fine di attuare quanto disposto dal Codice dei contratti pubblici, l’ANAC ha approvato la Delibera n. 614/2018 recante le Linee Guida n. 11, oggetto del giudizio amministrativo di prime cure, poi aggiornate ad opera della Delibera ANAC n. 570 del 26.06.2019[3].

Le questioni sollevate.

1) Il Collegio rimettente ha denunciato la violazione dell’art. 41, comma 1, Cost. nella parte in cui l’obbligo imposto ai concessionari dal compendio normativo in esame, in quanto esteso all’intera concessione, sarebbe “suscettibile di comportare uno stravolgimento degli equilibri economico-finanziari sottesi allo stesso rapporto concessorio […] su cui si fondano le scelte di pianificazione ed operative del concessionario/imprenditore”, e, quindi, lesivo della libertà di impresa costituzionalmente garantita.

Infatti, secondo il Giudice rimettente, l’attività economica è esercitata dal concessionario in base ad un titolo legittimo, e l’obbligo di dismissione totalitaria comporterebbe allo stesso “una vera e propria disgregazione del sottostante compendio aziendale, con depauperamento anche del patrimonio di conoscenze tecniche e tecnologiche e di professionalità maturate […] nello svolgimento di un rapporto diretto a perseguire non solo il profitto privato, ma anche l’interesse pubblico attuato dalla concessione”: il ruolo del titolare della concessione, quindi, sarebbe ridotto a mera stazione appaltante.

2) Il Consiglio di Stato ha, altresì, osservato che le norme censurate violano l’art. 3, comma 1, Cost. in quanto in contrasto rispetto alle legittime aspettative dei concessionari di proseguire l’attività economica in corso di svolgimento.

Inoltre, la previsione di un obbligo generalizzato di dismissione risulta in contrasto con il predetto parametro costituzionale sotto il profilo della ragionevolezza, poiché imposto indipendentemente “dalla struttura imprenditoriale che gestisce la concessione, dall’oggetto e dall’importanza del settore strategico cui si riferisce la concessione, oltre che dal suo valore economico […]”.

3) Infine, il Consiglio di Stato Ipotizza la violazione dell’art. 97 Cost. in quanto né la norma delegante (art. 1, comma 1, lett. iii), L. n. 11/2016) né la norma delegata (art. 177 del Codice dei contratti pubblici) considerano gli effetti dell’imposta dismissione sull’efficiente svolgimento di servizi pubblici essenziali.

La decisione della Corte: la dichiarazione di incostituzionalità.

Con Sentenza n. 218 del 23.11.2021, la Corte Costituzionale ha ritenuto fondate le questioni sollevate in riferimento agli artt. 3, comma 1, e 41, comma 1, Cost., ed assorbite le censure prospettate in riferimento all’art. 97, comma 2, Cost..

La Corte, chiamata a compiere una complessa operazione di bilanciamento tra la libertà di iniziativa economica privata e la tutela della concorrenza, ha statuito che l’imposizione dell’obbligo in capo ai titolari di concessioni già in essere, non assegnate con la formula della finanza di progetto o con procedure ad evidenza pubblica, di affidare completamente all’esterno l’attività oggetto di concessione (mediante appalto a terzi dell’80% dei contratti inerenti alla concessione stessa e mediante assegnazione a Società in house o controllate o collegate del restante 20%), costituisce “una misura irragionevole e sproporzionata rispetto al pur legittimo fine perseguito, in quanto tale lesiva della libertà di iniziativa economica […]”.

1) In merito al parametro della irragionevolezza del vincolo imposto:

“L’irragionevolezza dell’obbligo censurato si collega innanzitutto alle dimensioni del suo oggetto: come detto, la parte più grande delle attività concesse deve essere appaltata a terzi e la modesta percentuale restante non può comunque essere compiuta direttamente. L’impossibilità per l’imprenditore concessionario di conservare finanche un minimo di residua attività operativa trasforma la natura stessa della sua attività imprenditoriale, e lo tramuta da soggetto (più o meno direttamente) operativo in soggetto preposto ad attività esclusivamente burocratica di affidamento di commesse, cioè, nella sostanza, in una stazione appaltante.

[…]

Un ulteriore indice della irragionevolezza del vincolo, così come definito dalla previsione censurata, è costituito dalla sua mancata differenziazione o graduazione in ragione di elementi rilevanti, nel ricordato bilanciamento, per l’apprezzamento dello stesso interesse della concorrenza, quali fra gli altri le dimensioni della concessione – apparendo a tale fine di scarso rilievo la prevista soglia di applicazione alle concessioni di importo superiore a 150.000 euro, normalmente superata dalla quasi totalità delle concessioni –, le dimensioni e i caratteri del soggetto concessionario, l’epoca di assegnazione della concessione, la sua durata, il suo oggetto e il suo valore economico.

[…]”.

2) La Corte ritiene inoltre che l’adozione dell’obbligo radicale e generalizzato di esternalizzare non costituisca il “mezzo più mite” fra quelli idonei a raggiungere le condizioni di piena concorrenza.

“In questa logica, lo stesso legislatore sarebbe stato tenuto a perseguire l’obiettivo di tutela della concorrenza, non attraverso una misura radicale e ad applicazione indistinta, ma calibrando l’obbligo di affidamento all’esterno sulle varie e alquanto differenziate situazioni concrete, attenuandone la radicalità, se del caso attraverso una modulazione dei tempi, ovvero limitandolo ed escludendolo, ad esempio, laddove la posizione del destinatario apparisse particolarmente meritevole di protezione, e comunque in definitiva dando evidenza alle circostanze rilevanti in funzione di un adeguato bilanciamento dei due diversi aspetti della libertà di impresa, costituiti, come visto, dalla aspirazione a proseguire un’attività in atto, da un lato, e dall’esigenza di assicurare la piena concorrenza, dall’altro”.

Pertanto, le disposizioni normative in esame, non rispettano neppure il criterio della proporzionalità.

Quindi, la Corte Costituzionale con la sentenza in epigrafe ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1, lett. iii), della L. n. 11/2016, e 177 del Codice dei contratti pubblici.

 

Studio Legale DAL PIAZ

[1]“Linee guida n. 11 recanti: «Indicazioni per la verifica del rispetto del limite di cui all’art. 177, comma 1, del codice, da parte dei soggetti pubblici o privati titolari di concessioni di lavori, servizi pubblici o forniture già in essere alla data di entrata in vigore del codice non affidate con la formula della finanza di progetto ovvero con procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell’Unione europea»”.

[2]“Deleghe al Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”.

[3] “Linee guida n. 11 recanti: «Indicazioni per la verifica del rispetto del limite di cui all’articolo 177, comma 1, del codice, da parte dei soggetti pubblici o private titolari di concessioni di lavori, servizi pubblici o furniture già in essere alla data di entrata in vigore del codice non affidate con la formula della finanza di Progetto ovvero con procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell’Unione europea»”.

D.L. 73/2021 (Decreto Sostegni bis). La revisione dei prezzi nei contratti pubblici

Rispetto al 2020 il prezzo di acquisto dell’acciaio è aumentato di più del 40%, quello dei nastri per manufatti e barriere stradali è arrivato fino al 76% ed i costi del legno e del rame si sono innalzati di più di un terzo: sono questi alcuni dei rincari eccezionali dei prezzi dei più diffusi materiali da costruzione causate dagli effetti della pandemia.
Le conseguenze che numeri così elevati provocano nel mondo degli appalti pubblici sono gravi ed affliggono sia gli operatori economici che le Stazioni Appaltanti: il costo dei materiali aumenta improvvisamente ma i prezzi nei contratti rimangono invariati (dato che il D.Lgs. n. 50/2016 non prevede adeguati meccanismi di revisione), con il tangibile rischio dello stallo dei cantieri.

Già nel 2020 l’ANCE aveva rilevato la pericolosità e la straordinarietà della situazione ed aveva messo a disposizione sul proprio sito dei modelli di istanze con le quali gli appaltatori potevano chiedere il riconoscimento dei maggiori costi sopportati, in attesa di un invocato intervento del legislatore.

La soluzione normativa è stata introdotta in sede di conversione in Legge del D.L. n. 73/2021 (c.d. Decreto Sostegni bis[1]) con l’adozione dell’art. 1 septies, per mezzo del quale il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili ha previsto una specifica disciplina di revisione dei contratti pubblici.

L’art. 1 septies del D.L. 73/2021 e la sua attuazione

La normativa si applica ai contratti pubblici in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della Legge di conversione (ovvero il 25 luglio 2021), per i lavori eseguiti e contabilizzati nei primi 6 mesi del 2021[2].

Il piano di sostegni si basa sulle tabelle pubblicate dal Ministero contenenti le rilevazioni delle variazioni percentuali, in aumento o in diminuzione, superiori all’8% se riferite esclusivamente all’anno 2021 ed eccedenti il 10% complessivo se riferite a più anni, verificatesi nel primo semestre dell’anno 2021, dei singoli prezzi dei materiali da costruzione più significativi rispetto ai prezzi medi dell’anno 2020[3].

Gli operatori economici possono richiedere alle Stazioni Appaltanti una compensazione che si determina applicando le variazioni percentuali rilevate dal Ministero alle quantità dei singoli materiali impiegati nelle lavorazioni eseguite e contabilizzate dal direttore dei lavori dal primo gennaio 2021 fino al 30 giugno 2021.

A partire dal 23 novembre 2021 gli appaltatori hanno 15 giorni per presentare l’istanza di compensazione per le variazioni in aumento[4] alla Stazione Appaltante, indicando i materiali rincarati utilizzati nell’esecuzione dell’appalto e richiedendo al direttore dei lavori di accertare le relative quantità contabilizzate.

Sarà lo stesso direttore dei lavori che presenterà al RUP o al dirigente preposto il conteggio effettuato per la convalida e la successiva verifica della disponibilità delle somme nel quadro economico dello specifico appalto; la Stazione Appaltante potrà infatti provvedere alle compensazioni nei limiti del 50% delle risorse appositamente accantonate per imprevisti nel quadro economico di ogni intervento[5].

Per le cifre eccedenti il Ministero ha predisposto un apposito Fondo con una dotazione di 100.000.000,00 di euro[6], che saranno distribuiti tra gli operatori richiedenti non in relazione al valore del contratto per il quale si è proposta l’istanza bensì esclusivamente sulla base dell’appartenenza ad una delle tre categorie individuate ai sensi degli artt. 61 e 90 del Decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010 n. 207[7]: piccola impresa, media impresa, grande impresa[8]. Nel caso di raggruppamenti di imprese si farà riferimento alle dimensioni della mandataria.

Le Stazioni Appaltanti che richiederanno l’accesso al Fondo dovranno trasmettere al Ministero le istanze pervenute entro 60 giorni a partire dallo scorso 23 novembre, unitamente a:

  • documentazione giustificativa prodotta dall’aggiudicatario;
  • attestazione relativa all’importo ammesso a compensazione con la specificazione della categoria di appartenenza dell’impresa richiedente;
  • dichiarazione comprovante l’insufficienza delle proprie risorse finanziarie (risultanti dal quadro economico) per far fronte alla compensazione.

Nel caso in cui il Fondo non risulti sufficiente per coprire tutte le domande ricevute, le Stazioni Appaltanti beneficeranno in misura proporzionale alla distribuzione delle risorse: la percentuale di partecipazione da applicare a ciascuna richiesta di accesso al Fondo è determinata dal rapporto tra le cifre stanziate per la categoria di appartenenza e le richieste riferite alla medesima categoria. Tale percentuale sarà applicata dalla Stazione Appaltante per ogni singola istanza di compensazione.

L’assegnazione delle risorse sarà comunicata dalla Direzione generale per la regolazione dei contratti pubblici e la vigilanza sulle grandi opere alle Stazioni Appaltanti[9], le quali dovranno corrispondere a ciascun appaltatore la cifra spettante. In caso di raggruppamenti di imprese la somma verrà consegnata alla mandataria, la quale si occuperà di distribuirla alle mandanti in base agli accordi intercorrenti.

Infine, il Ministero ha pubblicato sul proprio sito una circolare nella quale ha chiarito le modalità operative per il calcolo e il pagamento della compensazione, consultabile al link
https://www.mit.gov.it/nfsmitgov/files/media/notizia/2021-11/CIRCOLARE_compensazione_prezzi.pdf

 

Studio Legale DAL PIAZ

[1] Convertito in L. n. 106 in data 23 luglio 2021.

[2] Anche in deroga all’art.133 del D. Lgs n. 163/2006 e all’art. 106, comma 1, lett. a) del D. Lgs n. 50/2016.

[3] Le tabelle sono allegate al Decreto 11 novembre 2021, pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 23 novembre 2021.

[4] Per le variazioni in diminuzione sarà la Stazione Appaltante ad avviare la procedura d’ufficio nella stessa finestra temporale: il RUP valuterà eventuali crediti e provvederà ai recuperi.

[5] Fatte salve le somme relative a impegni contrattuali già assunti, nonché le eventuali ulteriori somme a disposizione della Stazione Appaltante per lo stesso intervento e stanziate annualmente.

[6] Istituito e disciplinato con il Decreto 30 settembre 2021, pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 28 ottobre 2021.

[7] Regolamento di esecuzione ed attuazione del D.L. 163/2006.

[8] Il Fondo è stato internamente tripartito assegnando 34.000.000,00 euro alle piccole imprese e 33.000.000,00 euro ciascuna alle medie e grandi imprese.

[9] L’assegnazione alle Stazioni Appaltanti sarà pubblicata sul sito del Ministero.

POLICLINICO DI MONZA S.p.a., con il patrocinio dello Studio Legale DAL PIAZ, vince definitivamente in Consiglio di Stato il contenzioso relativo alla concessione degli Ospedali liguri

Con la Sentenza n. 6820 pubblicata in data 11.10.2021 il Consiglio di Stato ha posto fine alla querelle giudiziaria durata tre anni, ed avente ad oggetto la gara più importante a livello nazionale per l’affidamento in concessione (7 anni per un valore di € 242.049.948,00, con ulteriore proroga di 5 anni per un valore complessivo di € 414. 942.768,00) della gestione dei presidi ospedalieri liguri di Albenga e di Cairo Montenotte.

La Policlinico di Monza S.p.a., patrocinata dallo Studio Legale DAL PIAZ, ha così ottenuto l’annullamento dell’aggiudicazione all’Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano (Gruppo San Donato), rimanendo l’unica concorrente utilmente classificata in gara.

  1. La storia.

Il primo giudizio innanzi al T.A.R. per la Liguria.

Con  Decreto Dirigenziale n. 754 del 20.02.2018 la Regione Liguria ha indetto una “GARA EUROPEA A PROCEDURA APERTA PER L’AFFIDAMENTO IN REGIME DI CONCESSIONE DELLA GESTIONE DEI PRESIDI OSPEDALIERI Ospedale S. Charles – Bordighera, Ospedale S. Maria della Misericordia – Albenga, Ospedale S. Giuseppe – Cairo Montenotte”, suddivisa in due lotti autonomi, di cui il Lotto 2 riguarda gli Ospedali di Albenga e di Cairo Montenotte, da aggiudicare mediante applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa sulla base del miglior rapporto qualità prezzo, ai sensi degli artt. 60 e 95 del D.Lgs. n. 50/2016.

All’esito della procedura di gara (apertura e valutazione delle offerte tecniche e delle offerte economiche), l’Istituto Ortopedico Galeazzi ha ottenuto 87,177 punti, contro i 83,39 della Policlinico di Monza, aggiudicandosi la prima posizione.

Successivamente all’espletamento “positivo” del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta presentata dall’Istituto Galeazzi, necessario dalle caratteristiche anormalmente basse della stessa offerta, ai sensi dell’art. 97 del Codice dei contratti pubblici, il RUP ha formulato la proposta di aggiudicazione in favore dell’Istituto, disposta con Decreto Dirigenziale n. 793 del 21.02.2019.

I.I. Il ricorso promosso dalla Policlinico di Monza.

La Policlinico di Monza, assistita dallo Studio Legale DAL PIAZ, ha presentato ricorso volto ad ottenere l’annullamento, previa adozione di misura cautelare, dell’aggiudicazione in favore dell’Istituto Galeazzi ed il subentro nel contratto eventualmente stipulato, poi integrato da motivi aggiunti di ricorso all’esito di una complessa fase di accesso agli atti della gara, conclusa soltanto a seguito dell’instaurazione del giudizio.

In particolare, la Policlinico di Monza ha sollevato un unico e complesso motivo di diritto articolato tre distinte censure:

  1. illegittimità dell’operato della Stazione Appaltante (Regione Liguria) per la mancata ostensione integrale della documentazione relativa alla gara;
  2. violazione della lex specialis di gara e della normativa del Codice dei contratti pubblici (in particolare, art. 22 del Disciplinare di gara, e art. 97 del Codice) nella misura in cui la verifica circa la congruità dell’offerta presentata dall’Istituto Galeazzi è stata condotta dal RUP senza il prescritto supporto di una Commissione;
  3. carenza tecnica dell’offerta dell’aggiudicataria rispetto al requisito regionale prescritto per il personale di infermeria ed insostenibilità del margine operativo del 3% dalla stessa indicato.

Successivamente, preso atto della documentazione finalmente riversata in atti dalla Stazione Appaltante, la Policlinico di Monza, a mezzo ricorso per motivi aggiunti, ha promosso le seguenti nuove censure:

  1. insostenibilità dell’offerta economica proposta dall’Istituto Galeazzi in merito ai ricavi aggiuntivi prospettati ma non risultanti dalla copertura prevista dalla documentazione di gara (ricavi da ricoveri extraregionali, extrabudget, e altri ricavi sanitari derivanti dall’attivazione di ulteriori 10 posti letto, non previsti dalla legge di gara, presso l’Ospedale di Albenga, percorsi agevolati per pazienti solventi, e previsione di attività non presenti nell’assetto programmato dalla Regione o comunque vietate dalla legge), e correlata illegittimità per assenza di approfondita istruttoria in sede di verifica dell’anomalia da parte del RUP;
  2. mancata esclusione dell’offerta del Galeazzi, subordinata al verificarsi di condizioni future ed incerte, nonostante l’espressa previsione del divieto della c.d. “offerta condizionata” (art. 13 del Disciplinare di gara);
  3. violazione dell’art. 17 del Disciplinare di gara nella parte in cui l’Istituto Galeazzi ha giustificato la sussistenza del prescritto equilibrio economico-finanziario della propria offerta sulla base di ingenti ricavi aggiuntivi non realisticamente prospettabili alla luce dell’assetto accreditato delle due strutture ospedaliere;
  4. violazione di alcune “FAQ PRESIDI OSPEDALIERI” (nn. 5 e 29), in base alle quali spetta al solo concessionario domandare alla Stazione Appaltante una mutazione dell’attuale assetto accreditato delle strutture e, quindi, ottenere dei ricavi aggiuntivi determinati dalle attività correlate;
  5. violazione degli standard minimi e, quindi, insostenibilità organizzativa dell’offerta tecnica del Galeazzi relativamente al personale sanitario ed alla presenza di nurses nei reparti di anestesia.

I.II. La Sentenza n. 688/2019 del T.A.R. per la Liguria.

Con la Sentenza n. 688/2019 il T.A.R. per la Liguria ha statuito la fondatezza del ricorso promosso dalla Policlinico di Monza, annullando l’aggiudicazione in favore dell’Istituto Galeazzi.

In merito alla valutazione della “congruità, serietà e realizzabilità delle offerte che appaiono anormalmente basse” (ex art. 22 del Disciplinare di gara), il Giudice Amministrativo ha confermato la necessità che la stessa dovesse essere condotta unitamente dal RUP e da una Commissione specificatamente nominata (“Il tenore della lex specialis è chiaro nell’imporre che la valutazione di anomalia dell’offerta sia svolta obbligatoriamente dal RUP con il supporto della Commissione”).

In ordine ai ricavi aggiuntivi prospettati in sede di offerta economica dall’Istituto Galeazzi, il Giudice Amministrativo, nonostante il riconoscimento della legittimità in generale di tali proposte, ha comunque accolto la tesi prospettata dalla Policlinico di Monza in quanto “il RUP non ha richiesto, come previsto dalla lex specialis di gara, ulteriori chiarimenti in ordine alla fondatezza, plausibilità e attendibilità del business model proposto dall’aggiudicataria”, di fatto accettando le giustificazioni del Galeazzi “senza chiedersi se i dati esposti nelle tabelle fossero, o meno, supportati da elementi tali da farne ritenere l’attendibilità”.

I.III. L’aggiudicazione in favore dell’Istituto Galeazzi

e la proposizione di un nuovo ricorso.

A seguito della predetta Sentenza, la Commissione giudicatrice ed il RUP hanno avviato nuovamente il sub-procedimento volto alla verifica dell’anomalia dell’offerta dell’Istituto Galeazzi, che si è concluso con l’adozione del Decreto Dirigenziale n. 27 in data 07.01.2020 recante nuovamente l’aggiudicazione della gara in favore del Galeazzi.

La Policlinico di Monza ha quindi notificato nuovo ricorso al T.A.R. per la Liguria censurando le analisi condotte dalla Stazione Appaltante circa la sostenibilità economica dell’offerta dell’aggiudicataria, relativamente, soprattutto, a due temi:

  1. insostenibilità delle previsioni di ricavo del Galeazzi associate all’attività extraregionale;
  2. sopravvalutazione dei proventi da attività in solvenza.

Il T.A.R. per la Liguria, con Sentenza n. 371/2020, ha nuovamente accolto le tesi della Policlinico di Monza annullando l’aggiudicazione in favore dell’Istituto Galeazzi poiché insostenibile (Il business plan formulato dalla controinteressata si fonda su una serie di previsioni la cui attendibilità non risulta dimostrata... Orbene alla luce di questi dati, che sono quelli offerti dalla stessa controinteressata, ci si avvede della insostenibilità della previsione contenuta nel business plan della aggiudicataria […].

  1. Il giudizio innanzi al Consiglio di Stato.

Avverso la Sentenza n. 371/2020 del T.A.R. per la Liguria sia l’Istituto Galeazzi che la Regione Liguria hanno promosso appello innanzi al Consiglio di Stato (cause poi riunite per identità della sentenza impugnata, ex art. 96, comma 1, c.p.a.), per ottenere il rigetto del ricorso promosso in primo grado dalla Policlinico di Monza, e, quindi, la conferma dell’aggiudicazione al Galeazzi nelle more intervenuta.

In particolare, gli appellanti hanno censurato la pronuncia del Giudice Amministrativo sostenendo l’attendibilità delle stime prodotte in sede di gara dall’Istituto Galeazzi, e, comunque, pur nell’opinabilità delle valutazioni condotte dalla Commissione e dal RUP nella verifica di anomalia, hanno contestato il “sindacato sostitutivo” in concreto asseritamente esercitato dal T.A.R. rispetto alle valutazioni effettuate dagli organi della Stazione Appaltante, senza tuttavia disporre di una consulenza tecnico-economica.

II.I. La consulenza tecnica disposta dal Consiglio di Stato.

Il Consiglio di Stato, rilevando la specificità dei mercati oggetto del contendere, e, quindi, la necessità che il controllo di legittimità richiesto venga condotto con l’ausilio della “scienza qualificata e specialistica di un consulente tecnico”, all’esito dell’udienza pubblica in data 10.12.2020 ha disposto l’assunzione di consulenza tecnica d’ufficio relativamente alle questioni che involgono: “1) l’attendibilità del valore della produzione complessiva per i pazienti fuori regione ipotizzata dal Galeazzi (20,9% e non 25% come erroneamente indicato in sentenza) rispetto al valore della produzione per cittadini liguri; 2) l’attendibilità dell’ipotesi dei proventi da attività solvente ipotizzati dal Galeazzi (previsti in complessivi € 23.731.000 per i 7 anni di durata della concessione)”.

Pertanto, il Collegio ha incaricato il Prof. Carmelo Marisca, docente di economia aziendale presso il Dipartimento di Economia dell’Università degli Studi di Messina, formulando specifici quesiti[1].

All’esito della consulenza tecnica, il Consulente incaricato ha depositato la relazione peritale finale, nella quale ha attestato che “non è possibile considerare l’Offerta economica [dell’Istituto Galeazzi] in una condizione di equilibrio e, pertanto, il piano economico, nel suo complesso, non può considerarsi attendibile”.

II.II. La Sentenza n. 6820/2021 del Consiglio di Stato.

In data 11.10.2021, il Consiglio di Stato ha pubblicato la Sentenza n. 6820 con la quale, come richiesto dalla Policlinico di Monza, ha disatteso la richiesta di rinvio formulata nelle more dalla Regione Liguria e basata sul presunto avvio del procedimento di revoca della gara per la concessione degli Ospedali di Albenga e di Cairo di Montenotte[2], ed ha definitivamente accertato l’anomalia e l’insostenibilità dell’offerta dell’Istituto Galeazzi annullando anche la seconda aggiudicazione.

Il Collegio, chiarendo preliminarmente che gli apprezzamenti tecnici compiuti dalla Commissione giudicatrice e dal RUP, diversamente da quanto sostenuto dalla Regione Liguria e dall’Istituto Galeazzi, comunque non si sottraggono al controllo di legittimità e ragionevolezza condotto dal Giudice Amministrativo, ha riportato in atti le risultanze della consulenza tecnica svolta dal Prof. Marisca, che “depongono per la sostanziale conferma delle conclusioni cui è giunto il giudice di prime cure( […]L’assunzione del rischio di gestione sta proprio a significare che le dinamiche della domanda restano a carico del concessionario. Il rischio, correlato al fattore tempo e alla variabilità della domanda, è tuttavia, come si confida d’aver chiarito, cosa diversa dall’anomalia legata all’erronea assunzione, alla base del business plan, di dati e prospettazioni non attendibili”). Ad oggi, quindi, la Policlinico di Monza risulta l’unica concorrente utilmente classificata in gara.

La Regione Liguria, tuttavia, insiste per revocare la gara, ed il Presidente della Regione ha dichiarato che “La sentenza del Consiglio di Stato è intervenuta dopo che la Regione Liguria ha avviato la procedura di revoca del lotto 2 della gara relativa all’affidamento ai privati della gestione degli ospedali di Albenga e Cairo. Gli effetti della sentenza non incidono quindi sulla decisione assunta dalla Regione. Si rimane in attesa di avere lettura oltre che del dispositivo anche delle motivazioni. Ma al momento la posizione dell’Ente resta invariata rispetto al futuro dei due presìdi ospedalieri (che rimarranno pubblici)” (La Stampa, Mercoledì 13 ottobre 2021: “Ospedali, revoca della Regione ora c’è il rischio di nuovi ricorsi”).

Ovviamente, stupiscono molto tali dichiarazioni, posto che nella Sentenza n. 6820/2021 il Consiglio di Stato, come sopra illustrato, ha ampiamente motivato le ragioni del rigetto degli appelli promossi dalla Regione Liguria e dall’Istituto Galeazzi: pertanto, tali ragioni dovrebbero essere ben conosciute dal Presidente della Regione. Inoltre, come noto a qualsiasi giurista, non risponde al vero che “Gli effetti della sentenza non incidono quindi sulla decisione assunta dalla Regione” atteso che il Collegio ha ben specificato (cfr. nota 2 alla pag. precedente) che il “semplice “avvio” del procedimento di revoca della gara per cui è causa non è infatti idonea a determinare alcun mutamento sul piano degli interessi rilevanti ai fini della procedibilità del giudizio”.

Infatti, se la Regione Liguria porterà effettivamente a termine il procedimento di revoca della gara, la Policlinico di Monza potrà certamente impugnare il relativo provvedimento, avendone senz’altro interesse anche in base alle motivazioni della Sentenza n. 6820/2021, e valutare la proposizione, contro la Regione Liguria, di azione per il risarcimento dei danni conseguenti alla mancata aggiudicazione della gara stessa.

 

Studio Legale DAL PIAZ

Toti sugli ospedali di Albenga e Cairo: “La loro destinazione resta pubblica”

Ospedali, revoca della Regione ora c’è il rischio di nuovi ricorsi

Sentenza

[1] Ordinanza n. 8445/2020 del Consiglio di Stato: “1) se il trend della mobilità interregionale dei pazienti (tra il Piemonte e la Liguria, ma anche, in generale, tra regioni del centro e del sud, e regioni del nord), unitamente alla leva che l’istituto Galeazzi potrebbe verosimilmente operare sui pazienti provenienti dal basso Piemonte è già gestiti dalla sede milanese dal Galeazzi, letti alla luce dell’investimento tecnologico che quest’ultimo dichiara di voler fare presso le sedi ospedaliere liguri, oggetto di causa, al brand di cui esso gode nel sistema sanitario nazionale e nel mercato della sanità privata, e agli altri eventuali aspetti logistici rilevanti, consentano di ritenere verosimile (secondo un giudizio probabilistico tipico delle scienze economiche) la prognosi di una produzione complessiva per i pazienti fuori regione del 20,9% in rapporto al valore della produzione per cittadini liguri. Nel caso di non verosimiglianza, quale sia, alla luce delle variabili indicate, una prognosi prudenziale ragionevole.

2) con riguardo alla cd attività solvente:

2.1.) se corrisponde al vero che i valori medi delle rette giornaliere di degenza in solvenza praticati dall’Istituto Galeazzi sono: €/die 700 per i ricoveri in DO [degenza ordinaria] (escluso il reparto di Ortopedia); €/die 500 per i ricoveri in DH [Day Hospital] (escluso il reparto di Ortopedia); €/die 1.500 per i ricoveri DO per il reparto di Ortopedia; €/die 800 per i ricoveri DH per il reparto di Ortopedia”;

2.2.) se il tasso di saturazione della degenza ordinaria prospettato dal Galeazzi per le strutture liguri (95%) costituisca prognosi attendibile avuto riguardo ai tassi di occupazione che si registrano oggi in Liguria e alla percentuale di occupazione della sede attuale dello stesso Istituto Galeazzi, calcolata con criteri oggettivi e coerenti,

2.3.) se, in ragione dei fattori sopra elencati, risulti attendibile la stima fatta dal Galeazzi in sede di business plan, in ordine ai proventi da attività solvente (complessivi € 23.731.000 per i 7 anni di durata della concessione)

2.4.) quale sia alla luce della congrua valorizzazione delle variabili indicate, una prognosi prudenziale ragionevole dei proventi da attività solvente.

3) se la prognosi ragionevole del valore della produzione complessiva per i pazienti fuori regione e dell’attività solvente, così come individuata alla luce delle risposte ai quesiti sub 1) e 2) determini l’inattendibilità dell’intero busines plan e delle previste condizioni di equilibrio, avuto riguardo ai costi e agli oneri dichiarati in sede di offerta”.

 

[2] Sentenza n. 6820/2021 del Consiglio di Stato: “Non può darsi seguito alla richiesta di rinvio della decisione formulata dagli appellanti. La circostanza del semplice “avvio” del procedimento di revoca della gara per cui è causa non è infatti idonea a determinare alcun mutamento sul piano degli interessi rilevanti ai fini della procedibilità del giudizio, né a ben vedere lo sarebbe stata la revoca stessa della gara, ove ritualmente e tempestivamente contestata. I principi di efficienza economicità e ragionevole durata del processo impediscono, del resto, di correlare la gestione di quest’ultimo alle evoluzioni – sempre possibili in ragione dell’inesauribilità del potere amministrativo – dell’azione amministrativa. Può dunque procedersi alla valutazione dei gravami”.

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