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LA DETERMINAZIONE DEL DIES A QUO PER IMPUGNARE L’AGGIUDICAZIONE: LA SOLUZIONE DELL’ADUNANZA PLENARIA

ADUNANZA PLENARIA

DEL CONSIGLIO DI STATO

12 DEL 2 LUGLIO 2020

 

 

LA DETERMINAZIONE DEL DIES A QUO PER IMPUGNARE L’AGGIUDICAZIONE: LA SOLUZIONE DELL’ADUNANZA PLENARIA

 

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in una pronuncia in materia di appalti dello scorso 2 luglio[1], ha elencato cinque principi di diritto relativi alla decorrenza del termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione e alle dilazioni temporali che intervengono in caso di proposizione di un’istanza di accesso.

Tale pronuncia pone fine al lungo ed acceso dibattito sul tema, dal quale si sono sviluppati due orientamenti giurisprudenziali di segno opposto, di seguito esposti.

 

Nel caso preso in esame dalla sentenza, al termine della procedura di gara, la ricorrente ha impugnato l’atto di aggiudicazione chiedendone l’annullamento per violazione dell’art. 95 del D.Lgs. 50/2016, dell’art. 7.2 del capitolato d’oneri e per eccesso di potere.

In primo grado, il TAR ha dichiarato il ricorso irricevibile[2], a seguito dell’eccezione di tardività avanzata dalla convenuta, in quanto presentato 38 giorni dopo la pubblicazione dell’atto di aggiudicazione sul “Portale acquisti in rete PA nel sistema s.d.a.p.a.”.

Nell’argomentare la propria decisione, il TAR ha interpretato l’art. 120, V comma, del C.P.A. (Codice Processo Amministrativo) alla luce dei principi generali sul termine per l’impugnazione dei provvedimenti amministrativi e delle regole previste per l’impugnazione degli atti delle procedure di affidamento di appalti pubblici.

In particolare, il Giudice amministrativo ha chiarito che il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione decorre dalla notificazione, comunicazione o piena conoscenza dell’atto ai sensi dell’art. 41, II comma, del C.P.A., anche qualora non siano rispettate le forme della comunicazione ex art. 79 D.Lgs. 163/2006, espressamente richiamato dall’art. 120, V comma, C.P.A..

Inoltre, l’Amministrazione aggiudicatrice avrebbe fornito prova certa della piena conoscenza dell’aggiudicazione da parte della ricorrente.

 

La ricorrente ha quindi impugnato la sentenza chiedendo che il ricorso di I grado fosse dichiarato ricevibile, in quanto fondato, e deducendo i seguenti motivi.

  1. Mancanza della prova certa della piena conoscenza dell’aggiudicazione. A riguardo, non sussiste la prova dell’invio della comunicazione dell’atto di aggiudicazione (non essendo stato allegato alcun indirizzo mail del destinatario), né è dimostrata la correlazione tra la “M. S. a socio unico” ed un indirizzo mail della Società ricorrente.
  2. La mera comunicazione dell’aggiudicazione tramite sistema s.d.a.p.a. non è idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione del ricorso, dal momento che, ai sensi dell’art. 120, V comma, C.P.A., l’unica forma di comunicazione rilevante ai fini processuali è quella a mezzo PEC. Dal momento che tale comunicazione via PEC è avvenuta solamente in data 6 novembre 2018, la notificazione del ricorso in data 6 dicembre 2018 risulta dunque tempestiva.
  3. Anche la mera conoscenza dell’aggiudicazione non è, di per sé, idonea a far decorrere il termine per il ricorso, poiché la conoscenza dei vizi relativi agli atti di gara è possibile solamente a seguito di accesso agli atti, che nella presente vicenda è stato concesso solo in data 13 novembre 2018.

 

La Sezione Quinta del Consiglio di Stato ha individuato tre questioni controverse, concernenti, rispettivamente, le forme e le modalità di comunicazione dell’atto di aggiudicazione di un appalto, la data di inizio della decorrenza del termine per l’impugnazione del medesimo e i casi in cui, in mancanza di formale comunicazione, ne rilevi la piena ed effettiva conoscenza.

Alla luce dei principi di certezza dei rapporti giuridici, di stabilità dell’atto di aggiudicazione e dell’effettività della tutela giurisdizionale – ed in assenza di una giurisprudenza univoca sulle questioni rilevate – la Sezione Quinta ha sottoposto all’Adunanza Plenaria, con Ordinanza n. 2215 del 2020, l’esame e la soluzione dei seguenti quesiti:

a) Se il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione possa decorrere di norma dalla pubblicazione generalizzata degli atti di gara, tra cui devono comprendersi anche i verbali di gara, ivi comprese le operazioni tutte e le valutazioni operate dalle commissioni di gara delle offerte presentate, in coerenza con la previsione contenuta nell’art. 29 del D.Lgs. n. 50 del 2016;

b) Se le informazioni previste, d’ufficio o a richiesta, dall’art. 76 del D.Lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui consentono di vere ulteriori elementi per apprezzare i vizi già individuati ovvero per accertarne altri consentano la sola proposizione dei motivi aggiunti, eccettuata l’ipotesi da considerare patologica – con le ovvie conseguenza anche ai soli fini di eventuale responsabilità erariale – della omessa o incompleta pubblicazione prevista dal già citato articolo 29;

 

  1. c) Se la proposizione dell’istanza di accesso agli atti di gara non sia giammai idonea a far slittare il termine per la impugnazione del provvedimento di aggiudicazione, che decorre dalla pubblicazione ex art. 29 ovvero negli altri casi patologici dalla comunicazione ex art. 76, e legittima soltanto la eventuale proposizione dei motivi aggiunti, ovvero se essa comporti la dilazione temporale almeno con particolare riferimento al caso in cui le ragioni di doglianza siano tratte dalla conoscenza dei documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario ovvero delle giustificazioni da questi rese nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta;
  2. d) Se dal punto di vista sistematico la previsione dell’art. 120, V comma, C.P.A., che fa decorrere il termine per l’impugnazione degli atti di gara, in particolare dell’aggiudicazione dalla comunicazione individuale (ex art. 78 del D.Lgs. n. 50 del 2016) ovvero dalla conoscenza comunque acquisita del provvedimento, debba intendersi nel senso che essa indica due modi (di conoscenza) e due momenti (di decorrenza) del tutto equivalenti ed equipollenti tra di loro, senza che la comunicazione individuale possa ritenersi modalità principale e prevalente la conoscenza aliunde modalità secondaria o subordinata e meramente complementare;
  3. e) Se in ogni caso, con riferimento a quanto considerato in precedenza sub d), la pubblicazione degli atti di gara ex art. 29 del D.Lgs. n. 50 del 2016 debba considerarsi rientrante in quelle modalità di conoscenza aliunde;
  4. f) Se idonee a far decorrere il termine per l’impugnazione del provvedimento di aggiudicazione debbano considerare quelle forme di comunicazione e pubblicità individuate nella lex specialis di gara e accettate dagli operatori economici ai fini della stessa partecipazione alla procedura di gara”.

 

In materia di decorrenza del termine, l’Adunanza Plenaria ha distinto fra la disciplina generale ex art. 41, II comma, C.P.A. e la disciplina speciale ex art. 120, V comma, C.P.A..

Con riferimento a quest’ultima, l’Adunanza Plenaria ha rilevato che il comma V dell’art. 120 C.P.A. individua, come momento iniziale della decorrenza del termine per l’impugnazione, una “data oggettivamente riscontrabile”, da determinarsi secondo tre regole stabilite dallo stesso articolo, al fine di evitare ricorsi cd “al buio”:

  1. per l’impugnazione di atti “concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture”, incluse le aggiudicazioni, il termine decorre dalla data delle comunicazioni di cui all’art. 79 del D.Lgs. 163/2006;
  2. per l’impugnazione dei bandi e degli avvisi “con cui si indice una gara, autonomamente lesivi”, trova applicazione l’art. 66, VIII comma, D.Lgs. 163/2006, relativo alle modalità di pubblicazione;
  3. in ogni altro caso, la decorrenza del termine inizia dalla conoscenza dell’atto.

L’Adunanza Plenaria ha specificato, in relazione alle regole sub a) e b), che la decorrenza del termine per l’impugnazione dipende dal compimento delle “informazioni” e “pubblicazioni” cui l’Amministrazione aggiudicatrice è tenuta.

Secondo tale impostazione, quindi, in presenza di una “comunicazione completa ed esaustiva dell’aggiudicazione”, il ricorso può avvenire entro 30 giorni dalla comunicazione ex art. 79 D.Lgs. 163/2006. In caso di accesso agli atti, una nutrita giurisprudenza[3] riconosce una dilazione del termine (fino a massimo 10 giorni) per consentire la piena conoscenza degli atti e dei loro possibili vizi, qualora non evincibili dalla comunicazione di aggiudicazione.

In mancanza, invece, di una “comunicazione completa ed esaustiva”, il termine decorre dalla conoscenza, da parte dell’interessato, degli elementi tecnici dell’offerta dell’aggiudicatario e degli atti della procedura di gara.

 

Con l’entrata in vigore del D.Lgs. 50/2016, abrogativo del D.Lgs. 163/2006, è stata predisposta una nuova disciplina in materia di accesso, informazione e pubblicazione degli atti, descritta agli artt. 29 e 76 del nuovo Codice dei contratti pubblici.

Il D.Lgs. 50/2016 non ha tuttavia travolto il richiamo dell’articolo 120 C.P.A. all’art. 79 del precedente Codice dei contratti pubblici, che detta regole, relative alle comunicazioni e all’accesso agli atti, profondamente diverse rispetto a quelle stabilite dai summenzionati artt. 29 e 76 del D.Lgs. 50/2016.
Tale discrasia ha fatto sorgere importanti questioni interpretative concernenti, da un lato, il mantenimento del richiamo all’art. 79 del Codice abrogato all’interno dell’art. 120, V comma, del C.P.A. e, dall’altro, la disciplina sull’accesso, le informazioni e la pubblicità degli atti ex artt. 29 e 76 del vigente Codice dei contratti pubblici.

 

La copiosa giurisprudenza sul tema si è gradualmente ripartita in due orientamenti di senso opposto.

  • La prima tesi ammette la perdurante sussistenza del collegamento ex art. 120, V comma, C.P.A. alla disciplina delle comunicazioni. Tuttavia, tale richiamo non opera più nei confronti del previgente art. 79 del D.Lgs. 163/2006, bensì nei confronti del nuovo art. 76 del D.Lgs. 50/2016. Questo adattamento della disciplina comporta una dilazione temporale del termine per l’impugnazione pari a 15 giorni (e non più pari a 10 giorni) per consentire l’accesso agli atti di gara e, in caso di rifiuto o comportamenti dilatori da parte dell’Amministrazione aggiudicatrice, la decorrenza del termine per l’impugnazione a partire dal giorno in cui è stato concesso l’accesso.
  • Il secondo orientamento considera invece insussistente il predetto richiamo, con la conseguenza che il termine di trenta giorni per l’impugnazione dell’atto di aggiudicazione decorre, in ogni caso, dalla ricezione della comunicazione dell’aggiudicazione ovvero dalla conoscenza dell’aggiudicazione acquisita aliunde e che non vi è più distinzione tra vizi desumibili dall’atto di aggiudicazione e vizi rilevabili da altri atti, per i quali il termine comincerebbe a decorrere dal momento dell’effettiva conoscenza. Per i vizi conosciuti successivamente alla comunicazione è solamente possibile la proposizione dei motivi aggiunti.

 

L’Adunanza Plenaria, constatando che la questione affonda le proprie radici nel mancato coordinamento tra il nuovo D.Lgs. 50/2016 e le disposizioni del C.P.A. che ancora richiamavano il previgente Codice dei contratti pubblici, ha accolto la prima soluzione, argomentando la propria decisione come descritto in seguito.
L’Adunanza Plenaria ha attribuito un’importanza cruciale al richiamo al previgente art. 79 del D.Lgs. 163/2006, relativo alle informazioni e alle comunicazioni cui è tenuta l’Amministrazione aggiudicatrice, dal momento che siffatti adempimenti coincidono con la “data oggettivamente riscontrabile”, ex art. 120, V comma, del C.P.A., dalla quale decorre il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione.

In altri termini, l’entrata in vigore del nuovo Codice dei contratti pubblici non ha travolto la regola speciale di cui all’art. 120, V comma, del C.P.A., né, quindi, ha sollevato le Amministrazioni aggiudicatrici dai loro incombenti informativi per l’individuazione del dies a quo del termine di impugnazione.

 

Con riferimento all’accesso agli atti, sul quale l’art. 76 del D.Lgs. 50/2016 tace, l’Adunanza Plenaria ritiene che l’accesso non possa ritenersi precluso a seguito della mancata riproduzione delle relative regole nel nuovo Codice dei contratti pubblici. In virtù del rapporto tra norma generale e norma speciale, deve quindi considerarsi ri-espansa la disciplina generale sull’accesso informale ex art. 5 del D.P.R. 184/2006.

 

Inoltre, l’Adunanza Plenaria precisa che il rifiuto o i comportamenti dilatori dell’Amministrazione aggiudicatrice nell’accesso agli atti hanno l’effetto di far decorrere il termine per l’impugnazione dal momento in cui l’interessato ha conoscenza effettiva degli atti per i quali richiede l’accesso.

Tale precisazione recepisce le indicazioni dell’art. 2-quater della Direttiva CEE/1989/665 e della costante giurisprudenza della Corte di giustizia[4], che avevano delineato i principi della “data oggettivamente riscontrabile” e della piena conoscenza o conoscibilità dell’atto ai fini dell’impugnazione[5].

 

In sintesi, l’Adunanza Plenaria ritiene che per la decorrenza del termine per l’impugnazione debbano essere prese in considerazione:

  1. gli adempimenti cui le Amministrazioni aggiudicatrici sono tenute in tema di Informazione dei candidati e degli offerenti, ex articolo 76 del D.Lgs. 50/2016;
  2. le regole sull’accesso informale ex art. 5 del D.P.R. 184/2006, esercitabile entro il termine di 15 giorni fissato dall’art. 76, II comma, del D.Lgs. 50/2016;
  3. le regole sulla pubblicazione degli atti e dei relativi allegati ‘sul profilo del committente’ ex art. 29 del D.Lgs. 50/2016, che, oltre a far leva sulla diligenza delle imprese interessate, se rispettate, comportano la conoscenza legale di tali atti.

 

Su un’altra delle questioni sollevate dalla Sezione V, ossia sull’applicabilità del principio della piena conoscenza o conoscibilità “anche quando l’esigenza di proporre ricorso emerga dopo aver conosciuto i contenuti dell’offerta dell’aggiudicatario o le sue giustificazioni rese in sede di verifica dell’anomalia dell’offerta[6], l’Adunanza Plenaria ha risposto in senso positivo, ritenendo rilevante il tempo necessario per effettuare l’accesso ex art. 76, II comma, del D.Lgs. 50/2016. In tal modo, non si rende più necessario un ricorso cd “al buio”, seguito dalla proposizione dei motivi aggiunti per i vizi emersi dopo l’accesso.

 

Data la rilevanza della questione e l’incertezza interpretativa che l’ha contraddistinta per molto tempo, l’Adunanza Plenaria ha, infine, enunciato i seguenti principi di diritto:

a) il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione decorre dalla pubblicazione generalizzata degli atti di gara, tra cui devono comprendersi anche i verbali di gara, ivi comprese le operazioni tutte e le valutazioni operate dalle commissioni di gara delle offerte presentate, in coerenza con la previsione contenuta nell’art. 29 del D.Lgs. n. 50 del 2016;

  1. b) le informazioni previste, dufficio o a richiesta, dall 76 del D.lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui consentono di avere ulteriori elementi per apprezzare i vizi già individuati ovvero per accertarne altri, consentono la proposizione non solo dei motivi aggiunti, ma anche di un ricorso principale;
  2. c) la proposizione dellistanza di accesso agli atti di gara comporta la dilazione temporalequando i motivi di ricorso conseguano alla conoscenza dei documenti che completano lofferta dellaggiudicatario ovvero delle giustificazioni rese nellambito del procedimento di verifica dellanomalia dellofferta;
  3. d) la pubblicazione degli atti di gara, con i relativi eventuali allegati, ex art. 29 del decreto legislativo n. 50 del 2016, è idonea a far decorrere il termine di impugnazione;
  4. e) sono idonee a far decorrere il termine per limpugnazione dellatto di aggiudicazione le forme di comunicazione e di pubblicità individuate nel bando di gara ed accettate dai partecipanti alla gara, purché gli atti siano comunicati o pubblicati unitamente ai relativi allegati”.

 

L’ANALISI DELLA QUESTIONE NELLA SENTENZA DEL TAR LIGURIA N. 371/2020

 

Il problema relativo alla decorrenza del termine per l’impugnazione dell’atto di aggiudicazione è stato precedentemente sollevato in occasione della controversia sorta tra il Policlinico di Monza S.p.a. (ricorrente), rappresentato dallo Studio Legale Dal Piaz, e la Regione Liguria (insieme a Regione Liguria – Stazione Unica Appaltante Regionale e Regione Liguria – Direzione Centrale Organizzazione – Settore Affari Generali)[7], nonché la controinteressata Istituto Ortopedico Galeazzi S.p.a. (Gruppo San Donato).

 

Nella vicenda in questione, il Policlinico ha impugnato e chiesto l’annullamento di tutti gli atti, provvedimenti, documenti e verbali di gara relativi ad una gara per l’affidamento in regime di concessione della gestione dei presidi ospedalieri Ospedale S. Charles – Bordighera, Ospedale Santa Maria della Misericordia – Albenga, Ospedale S. Giuseppe – Cairo Montenotte ed in particolare il “Lotto 2 Ospedale S. Maia della Misericordia – Albenga, Ospedale S. Giuseppe – Cairo Montenotte”.

La parte ricorrente ha dedotto, in un unico motivo, la violazione e la falsa applicazione della lex specialis di gara, dei relativi atti allegati e della normativa ivi richiamata, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 50/2016, violazione e falsa applicazione delle Linee Guida ANAC ed atti attuativi, violazione e falsa applicazione della L. 241/1990, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 445/2000, violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 24 e 97 Cost., nonché eccesso di potere sotto il profilo della violazione di legge, difetto di istruttoria, difetto di motivazione, erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, illogicità, perplessità, disparità di trattamento, irragionevolezza, travisamento, ingiustizia grave e manifesta.

 

La Regione Liguria (resistente in giudizio) e la controinteressata hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso per tardività sulla base dell’art. 120, V comma, C.P.A., che prevede, per l’impugnazione degli atti delle procedure di gara, un termine di trenta giorni, decorrente dalla data di ricezione della comunicazione ex art. 79 D.Lgs. 163/2006.

Come precedentemente accennato, prima dell’intervento della pronuncia dell’Adunanza Plenaria dello scorso 2 luglio, la giurisprudenza era divisa tra due orientamenti opposti.

Il primo faceva salvo, negli effetti, il richiamo all’art. 79 dell’abrogato D.Lgs. 163/2006 e alla relativa disciplina sull’accesso agli atti; il secondo, invece, contemplava, come unico momento d’inizio della decorrenza del termine di trenta giorni per l’impugnazione degli atti della procedura di gara, la data della comunicazione dell’aggiudicazione, ovvero, in mancanza della comunicazione, dalla conoscenza acquisita aliunde, in virtù dell’abrogazione del D.Lgs. 163/2006 e della disciplina speciale sull’accesso agli atti ex art. 79, comma V-quater, dello stesso Decreto.

 

La Regione Liguria e la controinteressta, sposando la seconda tesi, hanno descritto il riferimento al vigente art. 76 del D.lgs. 50/2016 nel senso che all’Amministrazione aggiudicatrice è richiesto solamente di comunicare l’aggiudicazione, mentre gli altri elementi ex comma II del medesimo articolo possono essere trasmessi solo su richiesta dell’interessato.

Di conseguenza, dalla lettura dell’art. 120, V comma, C.P.A., in combinato disposto con le disposizioni del nuovo Codice dei contratti pubblici, interpretate in ossequio a tale secondo orientamento giurisprudenziale, la resistente e la controinteressata hanno dedotto che il termine di trenta giorni per l’impugnazione dell’aggiudicazione debba decorrere dalla data della comunicazione di cui al sopracitato art. 76 del D.Lgs. 50/2016.

 

Inoltre, è stato contestato l’intervenuto differimento del termine per l’impugnazione in ragione dell’accesso, effettuato dalla ricorrente, al fine di acquisire la piena conoscenza degli atti di gara.

 

La ricorrente ha opposto, relativamente alla seduta pubblica del 24 dicembre 2019, al termine del sub-procedimento di valutazione dell’anomalia dell’offerta aggiudicataria, che l’unico documento effettivamente ricevuto fosse il verbale relativo alla medesima seduta di scioglimento dell’anomalia, mentre i giustificativi e i chiarimenti prodotti dalla controinteressata, dai quali si potevano evincere i vizi successivamente lamentati con ricorso, erano stati trasmessi solamente in data 14 gennaio 2020 in seguito all’istanza di accesso formulata dalla ricorrente.

 

Sulla tardività del ricorso, intervenuto, secondo la tesi avversaria, 37 giorni dopo la comunicazione dell’aggiudicazione, la ricorrente ha invocato l’infondatezza dell’eccezione, dal momento che l’art. 76 del D.Lgs. 50/2016 concede una dilazione temporale di 15 giorni del termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione, quando questa non sia accompagnata dalla documentazione utile a rilevare gli eventuali vizi circa le valutazioni effettuate dall’Amministrazione aggiudicatrice.

Pertanto, secondo la ricorrente, il ricorso era stato proposto tempestivamente.

 

A sostegno dei propri argomenti, la ricorrente ha richiamato la giurisprudenza della Corte di giustizia[8], che ritiene efficace solamente il ricorso proposto nel termine decorrente dal momento in cui l’interessato viene a conoscenza degli eventuali vizi presenti nelle disposizioni relative all’aggiudicazione e che la possibilità di sollevare “motivi aggiunti” nell’ambito di un ricorso contro un’aggiudicazione, prospettata dall’art. 43 del D.Lgs. 104/2010, impone la previa impugnazione in abstracto dell’aggiudicazione, che non garantisce una tutela giurisdizionale effettiva, dato il concreto il rischio di rigetto del ricorso per infondatezza.

 

La ricorrente, in ossequio alla sopracitata giurisprudenza, ha individuato, come dies a quo del termine per l’impugnazione, la data della comunicazione dell’aggiudicazione o, in alternativa, il momento dell’effettiva conoscenza del contenuto dell’atto di aggiudicazione, qualora gli eventuali vizi non fossero direttamente evincibili dalla comunicazione.

Ad ulteriore conferma della diretta correlazione tra la conoscenza degli atti della procedura di gara – necessari per valutare le scelte dell’Amministrazione aggiudicatrice – e la decorrenza del termine per proporre il ricorso contro l’aggiudicazione, la giurisprudenza amministrativa ha più volte chiarito che, qualora la Stazione appaltante non garantisca l’accesso agli atti nei termini di legge, il termine per l’impugnazione non decorre fino al momento in cui l’accesso sia effettivamente consentito[9].

 

L’esigenza di celerità che la nuova disciplina mira a garantire non può comportare il sacrificio del principio di trasparenza, precludendo l’ostensione, all’occorrenza, degli atti utili alla rilevazione di eventuali vizi.

Inoltre, la celerità di un ricorso proposto entro trenta giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione, potrebbe perdere di significato se emerge, in seguito all’accesso agli atti, la necessità di proporre motivi aggiunti.

 

 

Il TAR Liguria ha accolto la tesi proposta dalla ricorrente, precisando che la linea restrittiva proposta dalla resistente e dalla controinteressata può trovare applicazione solamente quando vi sia la possibilità di esperire un ricorso non completamente al buio.

In altri termini, la decorrenza del termine di impugnazione dal momento della comunicazione dell’aggiudicazione dipende dalla possibilità che, dall’impugnazione della sola aggiudicazione o degli altri atti conosciuti, possa aversi un ricorso effettivamente fondato, cui può seguire la proposizione dei soli motivi aggiunti per i vizi conosciuti successivamente all’accesso agli altri atti di gara.

Solo in tal senso la preclusione di un ricorso principale dopo trenta giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione sarebbe accettabile.

 

A tal proposito, il TAR Liguria ha aggiunto che, in materia di gare pubbliche, la proposizione di un ricorso al buio al fine di non decadere dalla possibilità proporre motivi aggiunti riferiti allo stesso provvedimento “è in contrasto con il principio di parità delle armi e di effettività della tutela e con la disciplina prevista dalla normativa in materia di contributo unificato […] Richiedere il pagamento del contributo unificato a fronte di un ricorso all’inizio sicuramente infondato, come quello “al buio”, significherebbe rendere eccessivamente difficile l’accesso alla tutela giurisdizionale e introdurre una imposta sul diritto di accesso che è contraria a tutta la disciplina di materia. L’art. 25, comma 1, L. n. 241 del 1990, infatti, stabilisce che: “L’esame dei documenti è gratuito. Il rilascio di copia è subordinato soltanto al rimborso del costo di riproduzione, salve le disposizioni vigenti in materia di bollo, nonché i diritti di ricerca e di visura””.

 

Con riferimento al caso in esame, non era possibile rilevare gli eventuali vizi dell’atto di aggiudicazione, essendo questo fondato esclusivamente sulla verifica di anomalia dell’offerta, senza avere anche conoscenza dei verbali relativi agli esiti della verifica.

Il TAR ha quindi individuato, come momento iniziale della decorrenza del termine per l’impugnazione, la data in cui era stato concesso l’accesso agli atti, ossia il 14 gennaio 2020.

Pertanto, il ricorso è stato ritenuto tempestivo.

*

I casi sopra illustrati dimostrano come la necessità di assicurare la celerità dei procedimenti di gara non possa pregiudicare il principio della trasparenza amministrativa, attribuendo a quest’ultima, con particolare riferimento alla pubblicazione generalizzata degli atti di gara ex art. 29 del D.Lgs. 50/2016, rilevanza decisiva ai fini dell’impugnazione dell’aggiudicazione.

Tali pronunce hanno, inoltre, il merito di superare la prassi dei cd “ricorsi al buio”, dal momento che la decorrenza del termine per l’impugnazione è, ormai definitivamente, subordinata alla conoscenza di tutti gli atti di gara, nei limiti e nei termini previsti dalla disciplina dell’accesso.

 

Studio Legale DAL PIAZ

[1] Ad. Plen. Consiglio di Stato del 2 luglio 2020, n. 12.

[2] TAR Lazio, sent. del 18 marzo 2019, n. 3552.

[3] Cons. Stato, Sez. III, sent. del 28 agosto 2014, n. 4432; Cons. Stato, Sez. V, sent. del 5 febbraio 2018, n. 718; Cons. Stato, Sez. III, sent. del 3 luglio 2017, n. 3253; Cons. Stato, Sez. V, sent. del 27 aprile 2017, n. 1953; Cons. Stato, Sez. V, sent. del 23 febbraio 2017, n. 851; Cons. Stato, Sez. V, sent. del 13 febbraio 2017, n. 592; Cons. Stato, Sez. V, sent. del 10 febbraio 2015, n. 864.

[4] Corte, Sez. IV, sent. del 14 febbraio 2019, causa C-54/18, punti 21, 32 e 45; Corte, Sez. V, sent. dell’8 maggio 2014, causa C-161/13, punto 37

[5] Ad. Plen. Consiglio di Stato del 2 luglio 2020, n. 12, punti 24-28.3.

[6] Ad. Plen. Consiglio di Stato del 2 luglio 2020, n. 12, punto 31.

[7] TAR Liguria, Sez. I, sent. del 13 giugno 2020, n. 371.

[8] In particolare, Corte, sent. dell’8 maggio 2014, causa C-161/13.

[9] ex multis, Consiglio di Stato, Sez. III, sent. del 22 luglio 2016, n. 3308;
Consiglio di Stato, Sez. III, sent. del 3 marzo 2016, n. 1143;

Consiglio di Stato, Sez. V, sent. del 7 settembre 2015, n. 4144;

Consiglio di Stato, Sez. V, sent. del 6 maggio 2015, n. 2274;

Consiglio di Stato, Sez. III, sent. del 7 gennaio 2015, n. 25;

Consiglio di Stato, Sez. V, sent. Del 13 marzo 2014, n. 1250.


[4]Il Consiglio di Stato nell’Ordinanza cautelare n. 688/2023 ritiene che la Bozza di Convenzione “costituisce lo strumento negoziale avente la funzione di prestabilire gli impegni contrattuali reciprocamente assunti dalle parti sulla base del progetto tecnico e del piano economico-finanziario, ai quali è affidata la regolamentazione del rapporto con l’operatore economico in caso di aggiudicazione”

Lo Studio Legale DAL PIAZ è incaricato di verificare eventuali responsabilità nei possibili errori progettuali del nuovo Porto turistico, mai aperto, di Stresa.

[1]Così Consiglio di Stato, Sez. V, n. 804/2021.
[2]Secondo il citato orientamento ““[…] il soccorso istruttorio ha come finalità quella di consentire l’integrazione della documentazione già prodotta in gara, ma ritenuta dalla stazione appaltante incompleta o irregolare sotto un profilo formale, e non anche di consentire all’offerente di formare atti in data successiva a quella di scadenza del termine di presentazione delle offerte(Consiglio di Stato, sez. V , 22/10/2018, n. 6005); (…)” (TAR Lazio, Roma, sez. III, 22 settembre 2020, n. 9661); e deve ritenersi escluso il soccorso istruttorio in merito a “carenze strutturali” dell’offerta tecnica, giacché “(…) le rilevate lacune riflettono una carenza essenziale dell’offerta, tale da determinarne incertezza assoluta o indeterminatezza del suo contenuto e, come tali, non sono suscettive né di soccorso istruttorio ai sensi dell’art. 83, comma 9 del decreto legislativo n. 50 del 2016 (cfr. Consiglio di Stato, sez. V , 13/02/2019 , n. 1030) né di un intervento suppletivo del giudice” Così Consiglio di Stato, Sez. III, n. 2003/2022; Consiglio di Stato, Sez. III, 19 agosto 2020 n. 5140.
[3]Così Consiglio di Stato, Sez. V, n. 10325/2022.
[4]Il Consiglio di Stato nell’Ordinanza cautelare n. 688/2023 ritiene che la Bozza di Convenzione “costituisce lo strumento negoziale avente la funzione di prestabilire gli impegni contrattuali reciprocamente assunti dalle parti sulla base del progetto tecnico e del piano economico-finanziario, ai quali è affidata la regolamentazione del rapporto con l’operatore economico in caso di aggiudicazione”

L’ASSUNZIONE DEL PERSONALE NELLE SOCIETÀ IN HOUSE TRA L’EVIDENZA PUBBLICA E LA C.D. CLAUSOLA SOCIALE

Nel caso in cui la pubblica amministrazione decida di procedere all’affidamento di servizi pubblici ad una società in house, che subentra ad un operatore privato individuato con precedente procedura a pubblica evidenza, tra le problematiche che si possono riscontrare particolare rilevanza assume il tema dell’assunzione del personale, trattandosi di un punto di convergenza tra normativa pubblicistica, privatistica e giuslavoristica.

Tali criticità trovano origine nel passaggio stesso dalla gestione del soggetto privato, i cui contratti di lavoro prevedevano la c.d. “clausola sociale” (che promuove la stabilità occupazionale del personale già impiegato), ad un regime di affidamento in house di un servizio da parte dei soci pubblici, dunque attribuito senza l’espletamento di una precedente gara pubblica.

Da un lato, è infatti richiesto alla società affidataria di rispettare le previsioni specifiche degli affidamenti in house e che postulano l’applicazione dei principi dell’evidenza pubblica nelle procedure di assunzione. D’altra parte, l’art. 50 del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016) prevede il rispetto degli obblighi contenuti nel Contratto Collettivo di categoria: qualora questo richieda l’applicazione della c.d. clausola sociale si manifestano però nodi problematici che solo una lettura combinata della normativa vigente e della giurisprudenza può contribuire a sciogliere.

I Contratti Collettivi Nazionali e la tutela dell’occupazione

L’obbligo di inserimento della clausola sociale da parte della stazione appaltante nell’atto di affidamento del servizio prevede che la società subentrante assuma il personale già in forza nell’impresa cessante.

Il CCNL di categoria può declinare variamente tale obbligo, ad esempio prevedendo l’assunzione a tempo indeterminato e senza effettuazione del periodo di prova dei lavoratori già assunti prima dell’inizio della nuova gestione o della scadenza effettiva del precedente contratto di appalto.

Lo scopo di queste previsioni è anche quello di intervenire, a tutela dei lavoratori, in settori produttivi in cui il fenomeno delle esternalizzazioni e della successione di contratti di appalto risulta più diffuso, con la precisazione che le clausole contenute nel CCNL sono opponibili all’impresa subentrante solo qualora anch’essa applichi lo stesso contratto collettivo o altro contratto che contempli analogo obbligo.

Nell’ambito degli appalti pubblici, l’art. 50 del D.Lgs. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici) richiede all’amministrazione affidante un servizio con gara pubblica il rispetto della clausola sociale presente nel CCNL. Tale disposizione prevede infatti che “per gli affidamenti dei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale, con particolare riguardo a quelli relativi a contratti ad alta intensità di manodopera, i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti inseriscono, nel rispetto dei principi dell’Unione europea, specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo l’applicazione da parte dell’aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 […]”.

Anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha contribuito a delineare l’applicazione della clausola sociale, affermando più volte che “l’obbligo di riassorbimento del personale impiegato dal precedente appaltatore deve essere armonizzato con l’organizzazione d’impresa scelta dall’operatore subentrante e non può essere interpretato dalla stazione appaltante in termini rigidamente automatici ed escludenti” (da ultimo: Consiglio di Stato, sez. III, 30.01.2019 n. 750; Consiglio di Stato, sez. V, 28.08.2017 n. 4079; Consiglio di Stato, sez. IV, 2.12.2013 n. 5725).

Ne deriva che il nuovo datore di lavoro deve procedere con l’assunzione sulla base della clausola sociale ben potendo, però, una volta assunto il dipendente, inserirlo nell’organizzazione aziendale in base alle proprie esigenze (e fermo restando il rispetto della normativa giuslavoristica): tale interpretazione intende bilanciare gli interessi contrapposti della tutela del lavoro e della libertà di iniziativa economica dell’impresa.

Specificità del regime in house in ordine ai rapporti di lavoro

ed all’assunzione del personale

Si rammenta che la società in house è caratterizzata dalla presenza del c.d. “controllo analogo” che l’amministrazione proprietaria esercita su di essa, disponendone come di una propria articolazione interna, di una longa manus. In giurisprudenza è stato rilevato come l’affidamento pubblico mediante in house contract non consente propriamente di configurare un rapporto contrattuale intersoggettivo: la società in house non può ritenersi terza rispetto all’amministrazione controllante bensì deve considerarsi come uno dei servizi propri dell’amministrazione stessa (ex multis: Consiglio di Stato, Ad. Plen., 3.3.2008 n. 1).

La disciplina dei rapporti di lavoro da applicare ai dipendenti delle società in house è ovviamente quella prevista dal diritto privato, come ribadito dai principi contenuti nel Codice civile agli artt. 2093 e 2129, a norma dei quali le disposizioni relative al rapporto di lavoro nell’impresa si applicano anche agli enti pubblici in mancanza di deroghe o comunque nel caso in cui questi ultimi esercitino un’attività imprenditoriale.

Criticità sorgono invece, come rilevato, nella fase di reclutamento del personale, dovendosi applicare in capo ai dipendenti delle società partecipate da pubbliche amministrazioni e/o in house le disposizioni che stabiliscono a carico degli enti locali divieti o limitazioni alle assunzioni, contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva.

A tal proposito, il Legislatore con il Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica (D.Lgs. n. 175/2016) ha operato una spinta “pubblicistica” (o di “moralizzazione”) in materia di assunzioni, già caldeggiata da precedente giurisprudenza contabile, disponendo all’art. 19 che:

2) Le società a controllo pubblico stabiliscono, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale nel rispetto dei principi, anche di derivazione europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi di cui all’articolo 35, comma 3, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 […]

4) Salvo quanto previsto dall’articolo 2126 del Codice civile, ai fini retributivi, i contratti di lavoro stipulati in assenza dei provvedimenti o delle procedure di cui al comma 2, sono nulli. Resta ferma la giurisdizione ordinaria sulla validità dei provvedimenti e delle procedure di reclutamento del personale”.

L’espresso riferimento al comma 3 dell’articolo 35 del D.Lgs. n. 165/2001[1] comporta che i principi cui si conformano le procedure di reclutamento nella pubblica amministrazione – pubblicità, imparzialità, economicità, decentramento delle procedure selettive, celerità, adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti, rispetto delle pari opportunità di genere, professionalità ed indipendenza delle Commissioni esaminatrici – sono dunque pienamente applicabili alle procedure di selezione finalizzate all’assunzione del personale attuate dalle società a controllo pubblico e/o in house.

La giurisprudenza in materia

Proprio con riferimento all’applicabilità del secondo comma dell’art. 19 del D.Lgs. n. 175/2016 rispetto al “canale preferenziale” delle clausole sociali si è espressa la giurisprudenza contabile, pronunciandosi in ordine alla nullità dei contratti di lavoro stipulati in violazione di suddette previsioni e mettendo dunque in relazione il Testo Unico suddetto con i Contratti Collettivi Nazionali.

Infatti, è stato sottolineato come il ricorso alle clausole sociali: “non può essere utilizzato come strumento per eludere il rispetto dei principi dell’evidenza pubblica previsti in materia di assunzioni da parte delle società a partecipazione pubblica, che trovano diretto fondamento nell’articolo 97 della Costituzione” (Corte dei Conti Liguria n. 14/2019).

In particolare, in caso di affidamento in house di un servizio pubblico locale in precedenza svolto da una società privata (aggiudicataria di precedente gara pubblica), la società affidataria non può assumere direttamente il personale “ma deve procedervi previa definizione, nel regolamento interno, di criteri e modalità (aventi eventualmente fonte nel contratto collettivo nazionale di riferimento) che garantiscano, come imposto all’amministrazione pubblica socia, imparzialità e trasparenza nell’individuazione dei lavoratori da assumere” (Corte dei Conti Lombardia con sentenza n. 184/2017).

D’altra parte, la giurisprudenza amministrativa non ravvisa contrasti tra l’applicazione della clausola sociale (laddove esistente) ed i principi in materia di reclutamento del personale nelle società a partecipazione pubblica, posto che il Consiglio di Stato ha affermato che questi ultimi non vengono violati qualora si proceda con l’assunzione “a tempo indeterminato dei dipendenti in servizio presso il gestore uscente in asserita applicazione della c.d. clausola sociale […] se l’assunzione avviene per la durata del servizio svolto dalla società in house e questo anche se il rapporto sia stato definito a tempo indeterminato in quanto l’apposizione di un termine definitivo di risoluzione del rapporto fuga qualsiasi dubbio di assunzione a tempo indeterminato” (Consiglio di Stato, sez. V, 11.12.2018 n. 5853).

In attuale mancanza di significative pronunce del giudice del lavoro, è possibile pertanto che quest’ultimo, decidendo una eventuale controversia insorta a seguito di mancata applicazione della clausola sociale in occasione dell’assunzione di dipendenti in una società in house (nuova affidataria in via diretta di un servizio), privilegi gli interessi dei lavoratori (già assunti presso l’operatore privato affidatario del servizio con gara pubblica)  sottesi alla clausola sociale, come già implicitamente affermato dal Consiglio di Stato, anche se, comunque, non è possibile “neppure nel caso si tratti di società partecipate, che la forma privata della regolamentazione del rapporto di lavoro travalichi principi a tutela del contenimento della spesa per la corretta gestione delle casse pubbliche, se non – in ipotesi – nei casi espressamente previsti da leggi o fonti comunque generali” (Tribunale di Grosseto, sez. Lavoro, con sentenza 16.09.2020 n. 137).

Conclusioni

Gli approdi giurisprudenziali nell’interpretazione della vigente normativa mostrano come la materia in esame sia ancora passibile di diverse interpretazioni, anche se alcuni punti fermi possono essere individuati.

La pubblica amministrazione deve infatti, in ogni caso, agire in conformità con il disposto dell’art. 19 del Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica (D.Lgs. n. 175/2016) procedendo a selezioni pubbliche di personale, mediante l’adozione di un regolamento interno, come richiesto dalla giurisprudenza contabile, contenente criteri e modalità (aventi eventualmente fonte nel Contratto Collettivo Nazionale di riferimento) che garantiscano, come imposto all’amministrazione pubblica socia, imparzialità e trasparenza nell’individuazione dei lavoratori da assumere (richiedendo ad esempio, in caso di assunzione da parte di società in house di personale dipendente del gestore uscente, il possesso di specifici titoli da prendersi in considerazione qualora i candidati superino le prove di selezione).

In attesa di vagliare i possibili ulteriori arresti giurisprudenziali in materia, è dunque necessario, per le società pubbliche partecipate e/o comunque in house, presidiare l’applicazione dei principi delle procedure ad evidenza pubblica in caso di assunzione di personale dipendente, ma anche dare priorità alla tutela occupazionale in caso di sussistenza di clausola sociale nei contratti dei lavoratori del gestore uscente del servizio affidato in via diretta, dai soci pubblici, alla società in house medesima.

 

Studio Legale DAL PIAZ

[1] “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”.

LE MODIFICHE IN MATERIA DI APPALTI PUBBLICI D.Lgs. n. 50/2016 – D.L. n. 76/2020 – D.L. n. 32/2019

DECRETO LEGGE 31 MAGGIO 2021 N. 77

c.d. “DECRETO SEMPLIFICAZIONI BIS”

 

Con l’entrata in vigore del D.L. n. 77/2021 “Semplificazioni bis” (Titolo IV) il legislatore ha modificato anche la disciplina in materia di appalti pubblici, innovando il Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 50/2016) e la normativa derogatoria introdotta con decretazione d’urgenza (D.L. n. 32/2019 c.d. “Decreto Sblocca Cantieri”; D.L. n. 76/2020 c.d. “Decreto Semplificazioni”).

L’art. 49 del D.L. n. 77/2021: “Modifiche alla disciplina del subappalto”

La disciplina nazionale del subappalto, già oggetto di interventi da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Decisioni 26 settembre 2019 – C63/1827 novembre 2019 – C402/1830 gennaio 2020, C395/18) che ne ha decretato l’incompatibilità con i principi eurounitari a causa del limite quantitativo imposto dal Codice dei contratti pubblici (30%), poi temporaneamente derogato dal citato Decreto Sblocca Cantieri (40%), è stata oggetto di riforma da parte dell’art. 49 del D.L. n. 77/2021, che prevede:

1)  un regime temporaneo, fino al 31 ottobre 2021, derogatorio rispetto alle previsioni vigenti, che ammette il subappalto fino alla quota pari al 50% dell’importo complessivo del contratto di lavori, forniture e servizi;

2) a partire dal 1 novembre 2021, la rimozione del limite quantitativo generale e predeterminato al subappalto, con la modifica all’art. 105, comma 2, del D.Lgs. n. 50/2016, e l’abrogazione del limite quantitativo stabilito per il subappalto di opere superspecialistiche (ex art. 89, comma 11, D.Lgs. n. 50/2016[1]), ora fissato al 30% dall’art. 105, comma 5, del Codice.

Con decorrenza immediata, la disciplina del subappalto viene modificata come segue.

1)  A pena di nullità è fatto divieto ai soggetti affidatari di cedere il contratto – ad eccezione delle ipotesi espressamente previste dall’art. 106, comma 1, lett. d) del Codice, ossia in caso di modifica dei contratti durante il loro periodo di efficacia[2] – e di affidare a terzi l’integrale esecuzione delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto, nonché di cedere la prevalente esecuzione delle lavorazioni relative al complesso delle categorie prevalenti e dei contratti ad alta intensità di manodopera (art. 105, comma 1, secondo e terzo periodo, del D.Lgs. n. 50/2016, come modificato dall’art. 49, comma 1, lett. b), n. 1, Decreto Semplificazioni bis).

Pertanto, a differenza della previgente disciplina che vietava, a pena di nullità, solamente la cessione del contratto, il D.L. Semplificazioni bis estende il divieto anche all’affidamento delle prestazioni sopra specificate.

2)  E’ fatto obbligo al subappaltatore, relativamente alle opere affidate in subappalto, di garantire gli stessi standard qualitativi  e  prestazionali  previsti nel contratto di appalto e riconoscere ai lavoratori  un  trattamento economico e normativo non inferiore a quello che avrebbe garantito il contraente principale, inclusa l’applicazione dei medesimi  contratti collettivi nazionali di  lavoro,  qualora  le  attivita’  oggetto  di subappalto   coincidano   con   quelle   caratterizzanti    l’oggetto dell’appalto ovvero riguardino le lavorazioni relative alle categorie prevalenti e  siano  incluse  nell’oggetto  sociale  del contraente principale” (art. 105, comma 14, primo periodo, D.Lgs. n. 50/2016, come modificato dall’art. 49, comma 1, lett. b), n. 2, Decreto Semplificazioni bis).

A partire dal 1 novembre 2021, inoltre:

1)  le Stazioni appaltanti potranno indicare nei documenti di gara – previa adeguata motivazione nella determina a contrarre, ed avvalendosi, eventualmente, del parere delle Prefetture competenti – le prestazioni o le lavorazioni oggetto del contratto di appalto da eseguire solamente a cura dell’aggiudicatario, in ragione:

–   delle specifiche caratteristiche dell’appalto;

– dell’esigenza di rafforzare il controllo delle attività di cantiere, e, in generale, dei luoghi di lavoro;

– dell’esigenza di prevenire il rischio di infiltrazioni criminali, a meno che i        subappaltatori siano iscritti nelle c.d. white list (ex art. 1, comma 52, L. n. 190/2012), ovvero nell’anagrafe antimafia (ex art. 30 del D.L. n. 189/2016): art. 105, comma 2, terzo periolo, D.Lgs. n. 50/2016, come modificato dall’art. 49, comma 2, lett. a), Decreto Semplificazioni bis;

2) è prevista la responsabilità in solido del contraente principale e del subappaltatore nei confronti della Stazione Appaltante relativamente alle prestazioni oggetto di subappalto (art. 105, comma 8, D.Lgs. n. 50/2016, come modificato dall’art. 49, comma 2, lett. c), Decreto Semplificazioni bis).

L’art. 51 del D.L. n. 77/2021:

“Modifiche al decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76

[Decreto Semplificazioni]”

Il D.L. “Semplificazioni bis” introduce importanti modifiche anche al c.d. “Decreto Semplificazioni” (D.L. n. 76/2020), adottato nel periodo pandemico al fine di accelerare le procedure di affidamento degli appalti sottosoglia fino al 31 dicembre 2021.

In particolare, il D.L. n. 77/2021 innova l’art. 1 del D.L. n. 76/2020, riducendo a due le tipologie di affidamento dei contratti sottosoglia comunitaria, a fronte delle cinque categorie introdotte dal Decreto Sblocca Cantieri all’art. 36, comma 2, del Codice dei contratti pubblici, che disciplina i “Contratti sotto soglia”[3], modificandone, inoltre, i presupposti, e prorogando al 30 giugno 2023 il termine entro cui tali procedure in deroga – avviate a partire dal 1 giugno 2021 – sono utilmente adottabili.

Le due le tipologie di affidamento dei contratti sottosoglia comunitaria sono:

1 –  l’affidamento diretto “puro”, anche senza consultazione di più operatori economici, per lavori di importo inferiore a 150.000,00 e per servizi e forniture, ivi compresi i servizi di ingegneria e architettura e l’attività di progettazione, di importo inferiore a 139.000,00 (a fronte della originaria soglia fissata in 75.000,00) (lett. a); resta fermo l’obbligo dell’osservanza dei principi fissati dall’art. 30 del Codice dei contratti pubblici (economicità, efficacia, tempestività, correttezza, libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità e pubblicità).

2 –  la procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara, di cui all’articolo 63 del D.Lgs n. 50/2016, previa consultazione di almeno cinque operatori economici, ove esistenti, nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti, che tenga conto anche di una diversa dislocazione territoriale delle imprese invitate, individuati in base ad indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, per l’affidamento di servizi e forniture, ivi compresi i servizi di ingegneria e architettura e l’attività di progettazione, di importo pari o superiore ad € 139.000 euro (a fronte dell’originaria soglia fissata in 75.000,00) e fino alle soglie di cui all’articolo 35 del Codice, e di lavori di importo pari o superiore a € 150.000,00  e inferiore a € 350.000,00 , ovvero di almeno dieci operatori per lavori di importo pari o superiore a € 350.000,00 e inferiore a un milione di euro, ovvero di almeno quindici operatori per lavori di importo pari o superiore a un milione di euro e fino alle soglie di cui all’articolo 35 del D.Lgs. n. 50/2016 (lett. b).

L’art. 52 del D.L. n. 77/2021:

“Modifiche al decreto-legge 18 aprile 2019 n. 32 [Decreto Sblocca Cantieri] e prime misure di riduzione delle stazioni appaltanti”

L’art. 52 del D.L. Semplificazioni bis ha apportato modifiche al D.L. “Sblocca Cantieri” 18 aprile 2019 n. 32 (art. 1).

In particolare, è stato prorogato al 30 giugno 2023 – rispetto all’iniziale termine del 31 dicembre 2021 di cui all’art. 1, comma 1, lett. b) del D.L. n. 32/2019 – il termine di sospensione sperimentale del divieto di ricorso all’appalto c.d. integrato stabilito dall’art. 59, comma 1, quarto periodo, del Codice dei contratti pubblici (che prevede il divieto di ricorrere “all’affidamento congiunto della progettazione e dell’esecuzione di lavori ad esclusione dei casi di affidamento a contraente generale, finanza di progetto, affidamento in concessione partenariato pubblico privato, contratto di disponibilità, locazione finanziaria, nonché delle opere di urbanizzazione a scomputo […]”).

Inoltre, vengono prorogati al 2023 tutti termini transitori stabiliti dall’art. 1 del Decreto Sblocca Cantieri[4], imposti dal legislatore nell’ottica di “rilanciare gli investimenti pubblici e di facilitare l’apertura dei cantieri per la realizzazione delle opere pubbliche” (ex art. 1, comma 1, D.L. n. 32/2019).

 

Studio Legale DAL PIAZ

[1] Art. 89, comma 11, D.Lgs. n. 50/2016: “Non è ammesso l’avvalimento qualora nell’oggetto dell’appalto o della concessione di lavori rientrino opere per le quali sono necessari lavori o componenti di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica, quali strutture, impianti e opere speciali […]”.

[2] Art. 106, comma 1, lett. d), D.Lgs. n. 50/2016 – Modifica dei contratti durante il periodo di efficacia: d) se un nuovo contraente sostituisce quello a cui la stazione appaltante aveva inizialmente aggiudicato l’appalto a causa di una delle seguenti circostanze:

1) una clausola di revisione inequivocabile in conformità alle disposizioni di cui alla lettera a);

2) all’aggiudicatario iniziale succede, per causa di morte o a seguito di ristrutturazioni societarie, comprese rilevazioni, fusioni, scissioni, acquisizione o insolvenza, un altro operatore economico che soddisfi i criteri di selezione qualitativa stabiliti inizialmente, purché ciò non implichi altre modifiche sostanziali al contratto e non sia finalizzato ad eludere l’applicazione del presente codice;

3) nel caso in cui l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore si assuma gli obblighi del contraente principale nei confronti dei suoi subappaltatori”.

[3] Art. 36, comma 2, D.Lgs. n. 50/2016: “[…] le stazioni appaltanti procedono all’affidamento di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di cui all’articolo 35, secondo le seguenti modalità:

  1. a) per affidamenti di importo inferiore a 40.000 euro, mediante affidamento diretto anche senza previa consultazione di due o più operatori economici o per i lavori in amministrazione diretta. La pubblicazione dell’avviso sui risultati della procedura di affidamento non è obbligatoria;
    b) per affidamenti di importo pari o superiore a 40.000 euro e inferiore a 150.000 euro per i lavori, o alle soglie di cui all’
    articolo 35per le forniture e i servizi, mediante affidamento diretto previa valutazione di tre preventivi, ove esistenti, per i lavori, e, per i servizi e le forniture, di almeno cinque operatori economici individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti. I lavori possono essere eseguiti anche in amministrazione diretta, fatto salvo l’acquisto e il noleggio di mezzi, per i quali si applica comunque la procedura di cui al periodo precedente. L’avviso sui risultati della procedura di affidamento contiene l’indicazione anche dei soggetti invitati;
    c) per affidamenti di lavori di importo pari o superiore a 150.000 euro e inferiore a 350.000 euro, mediante la procedura negoziata di cui all’
    articolo 63previa consultazione, ove esistenti, di almeno dieci operatori economici, nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti, individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici. L’avviso sui risultati della procedura di affidamento contiene l’indicazione anche dei soggetti invitati;
    c-bis) per affidamenti di lavori di importo pari o superiore a 350.000 euro e inferiore a 1.000.000 di euro, mediante la procedura negoziata di cui all’
    articolo 63 previa consultazione, ove esistenti, di almeno quindici operatori economici, nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti, individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici. L’avviso sui risultati della procedura di affidamento contiene l’indicazione anche dei soggetti invitati;
    d) per affidamenti di lavori di importo pari o superiore a 1.000.000 di euro e fino alle soglie di cui all’
    articolo 35, mediante ricorso alle procedure di cui all’articolo 60 [Procedura aperta], fatto salvo quanto previsto dall’articolo 97, comma 8.

 

[4] In particolare:

art. 1, comma 3, Decreto Sblocca Cantieri: fino al 30 giugno 2023 [a fronte dell’originario termine fissato in data 31 dicembre 2021], possibilità di applicazione anche ai settori ordinari della disciplina dell’art. 133, comma 8 del Codice, ai sensi del quale “gli enti aggiudicatori possono decidere che le offerte siano esaminate prima della verifica dell’idoneità degli offerenti”;

art. 1, comma 4: “Per gli anni dal 2019 al 2023 [a fronte dell’originaria previsione del periodo compreso tra gli anni 2019-2021i soggetti attuatori di opere per le quali deve essere realizzata la progettazione possono avviare le relative procedure di affidamento anche in caso di disponibilità di finanziamenti limitati alle sole attività di progettazione. Le opere la cui progettazione è stata realizzata ai sensi del periodo precedente sono considerate prioritariamente ai fini dell’assegnazione dei finanziamenti per la loro realizzazione”;

art. 1, comma 6: “Per gli anni dal 2019 al 2023 [a fronte dell’originaria previsione del periodo compreso tra gli anni 2019-2021], i contratti di lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria, ad esclusione degli interventi di manutenzione straordinaria che prevedono il rinnovo o la sostituzione di parti strutturali delle opere o di impianti, possono essere affidati, nel rispetto delle procedure di scelta del contraente previste dal decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, sulla base del progetto definitivo costituito almeno da una relazione generale, dall’elenco dei prezzi unitari delle lavorazioni previste, dal computo metrico-estimativo, dal piano di sicurezza e di coordinamento con l’individuazione analitica dei costi della sicurezza da non assoggettare a ribasso. L’esecuzione dei predetti lavori può prescindere dall’avvenuta redazione e approvazione del progetto esecutivo”;

art. 1, comma 7: “In deroga all’articolo 215, comma 3, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, fino 30 giugno 2023 [a fronte dell’originario termine fissato al 30 dicembre 2021], il Consiglio superiore dei lavori pubblici esprime il parere obbligatorio di cui al comma 3 del medesimo articolo 215 esclusivamente sui progetti di fattibilità tecnica ed economica di lavori pubblici di competenza statale, o comunque finanziati per almeno il 50 per cento dallo Stato, di importo pari o superiore ai 100 milioni di euro. Per i lavori pubblici di importo inferiore a 100 milioni di euro e fino a 50 milioni di euro, le competenze del Consiglio superiore sono esercitate dai comitati tecnici amministrativi presso i Provveditorati interregionali per le opere pubbliche. Per i lavori pubblici di importo inferiore a 50 milioni di euro si prescinde dall’acquisizione del parere di cui all’articolo 215, comma 3, del citato decreto legislativo n. 50 del 2016. Restano ferme le disposizioni relative all’acquisizione del parere del Consiglio superiori dei lavori pubblici relativamente alla costruzione e all’esercizio delle dighe di ritenuta”;

art. 1, comma 10: “Fino al 30 giugno 2023 [a fronte dell’originario termine fissato in data 31 dicembre 2021], possono essere oggetto di riserva anche gli aspetti progettuali che sono stati oggetto di verifica ai sensi dell’articolo 25 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, con conseguente estensione dell’ambito di applicazione dell’accordo bonario di cui all’articolo 205 del medesimo decreto legislativo;

art. 1, comma 18: viene differita al 31 dicembre 2021 la sospensione dell’obbligo di indicazione della terna dei subappaltatori in sede di offerta in caso di rischio di infiltrazione mafiosa (art. 1, comma 53, L. n.190/2012).

Il problema delle proroghe automatiche delle concessioni demaniali marittime

Il dibattito, ormai di lunga data, inerente il rinnovo delle concessioni demaniali marittime a finalità turistico-ricreative è stato recentemente oggetto di numerose pronunce giurisprudenziali. La materia delle concessioni demaniali marittime si trova, infatti, in uno stato di grande incertezza, conseguenza del contrasto del regime delle proroghe automatiche previsto dalla normativa nazionale con la disciplina prospettata dal diritto “euro-unitario”.

Ricostruzione diacronica del quadro normativo

Il diritto europeo

In ambito europeo, l’istituto delle concessioni demaniali marittime è sottoposto alla disciplina prevista dagli artt. 49 e 56 TFUE, che mira a garantire la mobilità delle imprese e dei professionisti all’interno dell’Unione europea, attraverso l’espresso divieto di porre restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro, al fine di ottenere la libera prestazione dei servizi imprenditoriali, professionali o comunque attività economiche diverse dal lavoro dipendente. Tali disposizioni, in quanto incondizionate e sufficientemente precise[1], sono dotate di effetto “diretto”; ne consegue la necessaria disapplicazione delle norme nazionali che comportano un ostacolo alla libertà di circolazione dei cittadini e delle imprese.

In attuazione di tali principi, l’Unione europea ha adottato la “famosa” Direttiva Bolkestein, 123/2006/CE, volta ad incrementare la libera circolazione dei “servizi”, nel significato ampio del termine, comprensivo di qualsiasi attività economica non salariata fornita normalmente dietro retribuzione.

Nello specifico, l’art. 12 della Direttiva 123/2006/CE prevede che, qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri, per rilasciare l’autorizzazione, sono tenuti ad adottare una procedura imparziale e trasparente di selezione dei candidati, con il divieto di procedure di rinnovo automatico ovvero di qualsivoglia vantaggio nei confronti del prestatore uscente o persone che con tale prestatore abbiano particolari legami.

Il diritto nazionale

Per quanto concerne il diritto nazionale, il quadro normativo delle concessioni demaniali marittime è stato oggetto di numerose modifiche.

Innanzitutto, il testo originario dell’art. 37 del Codice della navigazione, che introduceva nel nostro ordinamento il c.d. “diritto di insistenza”, ossia il diritto di preferenza dei concessionari uscenti (“Al fine della tutela dell’ambiente costiero, per il rilascio di nuove concessioni demaniali marittime per attività turistico-ricreative è data preferenza alle richieste che importino attrezzature non fisse e completamente amovibili. È altresì data preferenza alle precedenti concessioni, già rilasciate, in sede di rinnovo rispetto alle nuove istanze”) si poneva chiaramente in contrasto con i principi di concorrenza e di libertà di stabilimento.

Quindi, è stato emanato il D.L. 30 dicembre 2009 n. 194, che prevedeva l’abrogazione del secondo periodo del secondo comma dell’art. 37 del Codice della Navigazione e la proroga del termine di durata delle concessioni demaniali marittime in essere alla data di entrata in vigore dello stesso Decreto ed in scadenza entro il 31 dicembre 2015, fino a tale data. Tuttavia, in sede di conversione, attraverso l’adozione della seguente clausola di salvezza “delle disposizioni di cui all’articolo 03, comma 4-bis, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494” è stato ripristinato il c.d. “diritto di insistenza”, sino all’emanazione della Legge 17 dicembre 2010 n. 217, con la quale il legislatore ha abrogato tali disposizioni.[2]

Successivamente, è stato introdotto il D.L. 18 ottobre 2012 n. 179, che, all’art. 34, ha modificato l’art. 1, comma 18, del D. L. n. 194 del 2009, spostando il termine di durata delle concessioni al 31 dicembre 2020.

Nel 2018, timoroso della vicina scadenza, il Parlamento italiano ha riproposto l’ozioso meccanismo di proroga automatica, impedendo così, nuovamente, l’applicazione di procedure di selezione competitiva in materia. Infatti, con l’art. 1, commi 682, 683, 684, della L. 30 dicembre 2018 n. 145, è stata introdotta l’estensione della durata delle concessioni demaniali marittime a uso turistico-ricreativo per 15 anni; dunque, fino al 31 dicembre 2033.

Infine, recentemente il legislatore, con la L. 17 luglio 2020 n. 77, ha riproposto la proroga automatica delle concessioni del demanio marittimo, confermando la scadenza previamente stabilita al 2033.

IL RAPPORTO TRA DIRITTO EUROPEO E NORMATIVA ITALIANA

Il regime giuridico delle proroghe automatiche: la ricostruzione interpretativa della giurisprudenza maggioritaria

Alla luce di quanto esposto, la disciplina delle concessioni demaniali marittime si presenta incerta e claudicante.

La giurisprudenza comunitaria ha progressivamente privilegiato l’interpretazione favorevole alla disapplicazione del regime delle proroghe automatiche delle concessioni demaniali marittime, di cui all’art. 1, commi 682, 683,684, della L. n. 145 del 2018, poiché ritenuto in contrasto con l’ordinamento “euro-unitario”.

In particolare, la nota sentenza della Corte di Giustizia UE, “Promoimpresa”, del 14 luglio del 2016, ha segnato profondamente il dibattito dottrinario e giurisprudenziale in materia, statuendo che la normativa nazionale (vigente ratione temporis), che prevedeva la proroga ex lege delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali per le attività turistico-ricreative in assenza di procedure di selezione aperta, fosse in contrasto con l’art. 12 della Direttiva Bolkestein. Le concessioni demaniali marittime a uso turistico-ricreativo rientrano, infatti, nel campo di applicazione della suindicata Direttiva, restando rimessa al giudice nazionale la valutazione circa la natura “scarsa” o meno della risorsa naturale attribuita in concessione. Con la pronuncia in questione, la Corte di Giustizia UE ha collegato indissolubilmente la disciplina delle concessioni del demanio marittimo alla Direttiva 123/2006/CE, dalla quale scaturisce l’obbligo di procedere attraverso procedure ad evidenza pubblica al fine di assegnare le concessioni in scadenza.

Allo stesso modo, la Corte di Giustizia ha affermato che l’art. 49 TFUE si ponesse in contrasto con “…una normativa nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che consente una proroga automatica delle concessioni demaniali pubbliche in essere per attività turistico-ricreative, nei limiti in cui tali concessioni presentano un interesse transfrontaliero certo”.

Tuttavia, nonostante l’influenza della presente pronuncia, il Parlamento italiano ha continuato ad estendere i termini di scadenza delle concessioni, da ultimo, come detto, con l’art. 1, commi 682,683,684, della L. 30 dicembre 2018, n. 145.

Per tale motivo, con l’approssimarsi delle stagioni estive si assiste al proliferare di pronunce giurisprudenziali nazionali volte a risolvere l’annoso problema di compatibilità con il diritto comunitario delle normative nazionali in tema di rinnovo delle concessioni demaniali.

La giurisprudenza amministrativa maggioritaria afferma il contrasto del regime nazionale dell’art. 1, commi 682 e ss., della L. n. 145 del 2018, con l’art. 12 della Direttiva 2006/123/CE, nonché con gli artt. 49 e 56 del TFUE, in quanto suscettibile di limitare ingiustificatamente la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi nel mercato interno, determinando una disparità di trattamento tra operatori economici mediante preclusioni o ostacoli alla gestione dei beni demaniali oggetto di concessione.

Per l’effetto, la recente giurisprudenza statuisce che la proroga legislativa delle concessioni balneari fino al 2033 debba essere disapplicata.[3]

A tal proposito, il Consiglio di Stato, con la pronuncia n. 2002 del 9 marzo 2021, ha ribadito che il rilascio della concessione demaniale marittima ad uso turistico ricreativo, in ragione della normativa disciplinante il settore, non può sottostare ad un rinnovo automatico, essendo necessaria una selezione tra gli aspiranti concessionari.[4]

Inoltre, il novellato art. 37, comma 2, del Codice della Navigazione stabilisce che “Al fine della tutela dell’ambiente costiero, per il rilascio di nuove concessioni demaniali marittime per attività turistico-ricreative è data preferenza alle richieste che importino attrezzature non fisse e completamente amovibili”. Pertanto, con l’abrogazione del c.d. “diritto di insistenza” ed in conformità ai principi di concorrenza, corretto funzionamento dei mercati, nonché libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi, “il titolare del titolo concessorio in questione può vantare un mero interesse di fatto a che l’amministrazione proceda ad una nuova concessione in suo favore e non già una situazione qualificata in qualità di concessionario uscente, con conseguente inconfigurabilità di alcun obbligo di proroga ex lege o da parte dell’amministrazione”.[5]

Peraltro, anche la Corte Costituzionale, con la recente sentenza del 29 gennaio 2021 n. 10, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma di legge regionale che prevedeva un meccanismo di rinnovo automatico delle concessioni demaniali marittime in essere, poiché comportava la sottrazione della materia alla disciplina concorrenziale.

Ne consegue che la proroga automatica delle concessioni demaniali in assenza di gara non può avere cittadinanza nel nostro ordinamento in quanto contrastante con i principi “euro-unitari”.

A tal proposito, appare inevitabile il richiamo alla storica sentenza “Costa contro Enel” del 15 luglio 1964, con la quale la Corte di Giustizia ha sancito il principio del primato del diritto comunitario sulla disciplina nazionale, stabilendo che, in caso di contrasto fra una norma interna e una norma europea, quest’ultima prevale al fine di garantire l’uniforme applicazione del diritto europeo in tutti gli Stati membri.

Inoltre, con la celebre sentenza “Simmenthal” del 9 marzo 1978, la Corte di Giustizia UE ha affermato il potere dei giudici ordinari di disapplicare la normativa nazionale in contrasto con le norme comunitarie direttamente applicabili, dichiarando che “in forza del principio della preminenza del diritto comunitario, il giudice nazionale, incaricato di applicare le disposizioni del diritto comunitario ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando, all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale”.

L’orientamento giurisprudenziale contrario

Totalmente discorde alla ricostruzione interpretativa suesposta è la recente e singolare decisione del T.A.R. Puglia -Lecce, adottata con sentenza n. 1321 del 27 novembre 2020, da ultimo confermata con la pronuncia n. 268 del 15 febbraio 2021.

La Sezione di Lecce del T.A.R. Puglia, infatti, ritiene che la Direttiva Bolkestein non sia qualificabile come “self-executing”, in quanto non possiede i requisiti oggettivi dell’auto-esecutività: pertanto, non è suscettibile di diretta ed immediata applicazione, necessitando di una specifica normativa nazionale attuativa. Dunque, la qualifica della Direttiva “servizi”, quale esente da diretta applicazione, ha condotto il T.A.R. Puglia – Lecce a respingere la disapplicazione dell’art. 1, commi 682 e ss., della L. n. 145 del 2018, ritenuta ingiustificata poiché la materia non sarebbe regolata da una norma concorrente superiore.

CONCLUSIONI

Gli incostanti approdi della giurisprudenza amministrativa sul tema delle concessioni del demanio marittimo per finalità turistico-ricreative comportano evidenti conseguenze sulla certezza della normativa realmente applicabile, sull’attività imprenditoriale e, naturalmente, sulla tutela del bene demaniale stesso.

La richiamata scelta del legislatore di estendere nuovamente il termine di scadenza delle concessioni demaniali marittime rafforza un meccanismo ozioso e controproducente, cui il Parlamento italiano è particolarmente affezionato. L’inadeguato quadro normativo disciplinante la materia, necessita, dunque, di una rapida e consapevole riforma.

Infatti, al netto degli ovvi interessi economici di parte, sinora molto tutelati dalle istituzioni nazionali e locali italiane, le proroghe automatiche delle autorizzazioni demaniali marittime dovrebbero essere, una volta per tutte, eliminate, poiché sottraggono l’istituto dalle procedure di selezione competitiva, ponendosi in conflitto con i principi comunitari di concorrenza, corretto funzionamento del mercato, trasparenza, imparzialità, nonché libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi.

Per di più, lo stato attuale di grande incertezza della materia delle concessioni del demanio marittimo non è di interesse per l’ordinamento italiano, in quanto la violazione del diritto comunitario può comportare, come noto, l’ennesimo avvio di una procedura formale di infrazione con conseguenti gravi sanzioni pecuniarie a carico del nostro Stato.

 

Studio Legale DAL PIAZ

[1] Cfr. in proposito, Corte di Giustizia, sentenza 5 aprile 1979, Ratti, 148/78, punto 23, “Ne consegue che il giudice nazionale cui il singolo amministrato che si sia conformato alle disposizioni di una direttiva chieda di disapplicare una norma interna incompatibile con detta direttiva non recepita nell’ordinamento interno dello Stato inadempiente deve accogliere tale richiesta, se l’obbligo di cui trattasi è incondizionato e sufficientemente preciso”; Corte di Giustizia, sentenza 1 luglio 2010, Gassmayr, C‑194/08, punto 45, “Una disposizione del diritto dell’Unione è incondizionata se sancisce un obbligo non soggetto ad alcuna condizione né subordinato, per quanto riguarda la sua osservanza o i suoi effetti, all’emanazione di alcun atto da parte delle istituzioni della Comunità o degli Stati membri. Essa è sufficientemente precisa per poter essere invocata da un singolo ed applicata dal giudice allorché sancisce un obbligo in ter- mini non equivoci”.

[2] R. Trudu, La nuova “proroga” delle concessioni demaniali marittime deve essere disapplicata, in Azienditalia, 2019, 6, 889 (commento alla normativa).

[3] Cfr. T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, 08 marzo 2021, n. 363; T.A.R. Campania Salerno Sez. II, 29 gennaio 2021, n. 265.

[4] Cfr. Cons. St. Sez. VI, 17 luglio 2020, n. 4610; Cons. St. Sez. VI, 18 novembre 2019, n. 7874; Cons. St. Sez. VI, 6 giugno 2018, n. 3412.

[5] Cfr. T.A.R. Toscana Sez. II, 08 marzo 2021, n. 363; T.A.R. Campania – Salerno Sez. II, 29 gennaio 2021, n. 265; T.A.R. Campania – Napoli Sez. VII, 16 giugno 2020, n. 2432; T.A.R. Campania – Salerno Sez. II, 10 febbraio 2020, n. 221.

DIFETTO DI GIURISDIZIONE IN TEMA DI APPALTI PUBBLICI: SEZIONI UNITE della CORTE di CASSAZIONE ORDINANZA n. 19598 del 18.09.2020

DIFETTO DI GIURISDIZIONE IN TEMA DI APPALTI PUBBLICI

 

SEZIONI UNITE della CORTE di CASSAZIONE

ORDINANZA n. 19598 del 18.09.2020

 

 

Con la recentissima Ordinanza interlocutoria n. 19598 del 18.09.2020 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno effettuato un rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea su tre questioni in materia di “difetto di tutela giurisdizionale” nell’ambito degli appalti pubblici relativamente ad un contenzioso in cui è presente lo Studio Legale Dal Piaz.

L’Ordinanza risulta particolarmente significativa in quanto si pone in netto contrato con la giurisprudenza formatasi in seno alle stesse Sezioni Unite a seguito della Sentenza della Corte Costituzionale n. 6 del 2018.

 

IL CASO

Una Pubblica Amministrazione indiceva una procedura di gara, da aggiudicare in base al criterio dell’offerta più vantaggiosa, volta ad individuare un’agenzia per il lavoro cui affidare la somministrazione temporanea di personale.

Nel bando di gara era prevista una “soglia di sbarramento” alle offerte tecniche, il cui superamento era necessario per partecipare al prosieguo della gara.

La ricorrente, esclusa per il mancato superamento della “soglia di sbarramento”, impugnava dinanzi al competente T.A.R. la propria esclusione, deducendo una serie di vizi (tra cui, l’irragionevolezza dei punteggi tecnici, l’inadeguata determinazione dei criteri e l’illegittima nomina della commissione di gara).

Il T.A.R., pur rigettando le eccezioni sollevate dall’Amministrazione e dall’aggiudicataria in ordine alla legittimazione della ricorrente a proporre i motivi di ricorso (eccezioni argomentate sul presupposto che quest’ultima era stata esclusa dalla gara per insufficienza della propria offerta tecnica), respingeva l’impugnazione nel merito.

La ricorrente proponeva appello e l’aggiudicataria interponeva appello incidentale, censurando la Sentenza nella parte in cui aveva ritenuto ammissibili (pur avendole respinte nel merito) le censure volte ad ottenere il travolgimento della gara, laddove invece avrebbero dovuto essere ritenute inammissibili poiché proposte da un soggetto che era stato escluso dalla procedura.

Il Consiglio di Stato, in accoglimento dell’appello incidentale, stabiliva che la ricorrente non era legittimata a proporre motivi di ricorso volti ad ottenere il travolgimento della gara, in quanto ne era stata esclusa ed essendo per tale ragione “portatrice di un interesse di mero fatto, analogo a quello di qualunque altro operatore economico del settore che non ha partecipato alla gara”.

Avverso tale Sentenza la ricorrente proponeva ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione sotto i profili della violazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale e del diniego di accesso alla tutela medesima.

 

IL PROBLEMA DELL’INDIVIDUAZIONE DEI

MOTIVI INERENTI ALLA GIURISDIZIONE

Muovendo dal concetto di giurisdizione, il principale tema controverso riguarda la sussumibilità del c.d. “divieto di tutela giurisdizionale” (ancorché non accertata o non ancora accertata, nel giudizio in esame), derivante dalla difforme interpretazione, e conseguente applicazione, della normativa comunitaria da parte di organi giurisdizionali interni rispetto a quella fornita dalla Corte di Giustizia, alternativamente sotto la fattispecie della violazione di legge oppure quella del motivo “inerente alla giurisdizione”.

Le conseguenze pratiche sono rilevanti: nel primo caso, la vertenza può essere sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite, mentre, nel secondo caso, residua unicamente, de jure condito, lo strumento dell’azione di risarcimento del danno nei confronti dello Stato.

L’orientamento attualmente vigente (almeno fino alla pubblicazione dell’Ordinanza in commento) è stato scolpito dalla Sentenza n. 6 del 2018 della Corte Costituzionale, secondo la quale alle Sezioni Unite, in sede di controllo di giurisdizione, è precluso di intervenire in caso di violazione di norme dell’Unione e della CEDU, la quale, invero, integrerebbe una semplice violazione di legge.

La Consulta, consapevole dell’esistenza (e della rilevanza, anche nell’ottica dell’armonizzazione comunitaria) del problema e della necessità di apportare specifici rimedi, ha auspicato l’introduzione di una nuova ipotesi di revocazione della Sentenza ex art. 395 c.p.c..

La suddetta impostazione, con la quale è stata fornita un’interpretazione dell’art. 111, comma 8, Cost. (a norma del quale, si rammenta, “contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione”), è stata immediatamente accolta anche dalle Sezioni Unite (che precedentemente aderivano ad un orientamento opposto) ed applicata, tra l’altro, in materia di esclusione e di aggiudicazione di appalti pubblici.

Le Sezioni Unite, con l’Ordinanza in oggetto, muovendo dalla considerazione secondo cui costituisce primaria esigenza di sistema quella di impedire il consolidamento e la stratificazione di decisioni del Consiglio di Stato contrarie al diritto comunitario, indicano il ricorso per cassazione quale strumento più idoneo per porre rimedio a tali violazioni e rilevano che il giudice nazionale che applica norme nazionali confliggenti con disposizioni comunitarie, come interpretate dalla Corte di Giustizia, esercita un potere giurisdizionale di cui è privo, “per avere compiuto un’attività di diretta produzione normativa non consentita nemmeno al legislatore nazionale”, incorrendo nel vizio di difetto di giurisdizione censurabile dinanzi alle Sezioni Unite ex art. 111, comma 8, Cost..

In altre parole, le Sezioni Unite rivendicano il proprio ruolo, certamente indebolito dalla Corte Costituzionale, di garanti della conforme interpretazione del diritto dell’Unione da parte dei giudici nazionali nonché del rispetto del principio di effettività della tutela giurisdizionale: “il ricorso per cassazione costituisc[e] l’estremo rimedio apprestato dall’ordinamento nazionale per evitare la formazione di qualunque giudicato contrario al diritto dell’Unione”.

Per tutte le susesposte ragioni, le Sezioni Unite, sollevando la prima questione pregiudiziale, chiedono alla Corte di Giustizia di prendere posizione circa la conformità alla normativa europea dell’interpretazione dell’art. 111, comma 8, Cost. (e degli artt. 360, comma 1, n. 1, e 362, primo comma, c.p.c. e 110 c.p.a.) risultante dalla Sentenza n. 6/2018 della Corte Costituzionale, nella parte in cui quest’ultima ha stabilito che il rimedio del ricorso per cassazione non può essere utilizzato per impugnare Sentenze del Consiglio di Stato che si fondino su un’interpretazione di leggi nazionali confliggenti con quella della Corte di Giustizia.

 

LA QUESTIONE DELLA PROPONIBILITÀ DEL RINVIO

PREGIUDIZIALE DA PARTE DELLE SEZIONI UNITE

L’eventuale decisione della Corte di Giustizia in senso conforme a quanto prospettato nell’Ordinanza di rinvio risulterebbe contraddittoria, ed anche svuotata di significato pratico, se non accompagnata da un’analoga statuizione sulla seconda questione pregiudiziale sollevata dalle Sezioni Unite, volta a censurare l’orientamento giurisprudenziale secondo cui non è proponibile ricorso per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione avverso le Sentenze del Consiglio di Stato nei casi in cui quest’ultimo abbia omesso di effettuare il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia e che, in aggiunta, preclude alle Sezioni Unite la possibilità stessa di effettuare direttamente il rinvio pregiudiziale.

Tale ultima tesi, vale la pena evidenziarlo, era stata avallata in tempi recentissimi dalle stesse Sezioni Unite, che, con Sentenza n. 6460 del 06.03.2020 avevano espressamente affermato che “difetta in radice il potere di questa Corte di disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, omesso dal Consiglio di Stato nella sentenza impugnata, siccome spetta a queste Sezioni Unite solo di vagliarne il rispetto dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa, senza che, su tale attribuzione di controllo, siano evidenziabili norme dell’Unione Europea su cui possano ipotizzarsi quesiti interpretativi”.

 

LA LEGITTIMAZIONE DEL CONCORRENTE ESCLUSO

A CONTESTARE LA GARA

La terza questione oggetto di rinvio pregiudiziale, il cui esito orienterà, con ogni probabilità, le decisioni dei giudici amministrativi, concerne specificamente la legittimazione del concorrente che, pur essendo in possesso dei requisiti di ammissione alla gara, ne sia stato escluso a causa dell’insufficiente valutazione dell’offerta tecnica, a proporre motivi di ricorso volti a travolgere la gara stessa.

Il tema contribuisce peraltro ad arricchire la nozione evolutiva dell’interesse ad agire.

La ragione del rinvio pregiudiziale trova fondamento nella possibile violazione da parte del Consiglio di Stato dei principi elaborati dalla Corte di Giustizia in alcuni precedenti (05.09.2019, C-333/18, LOMBARDI; 05.04.2016, C-689/13, PULIGIENICA; 04.07.2013, C. 100/12, FASTWEB) secondo i quali il concorrente escluso è comunque legittimato a proporre censure volte a travolgere la gara poiché non sarebbe possibile escludere a priori l’irregolarità delle offerte dell’aggiudicataria e di altri eventuali partecipanti, con la conseguenza che, se accertata, l’Amministrazione dovrebbe indire una nuova gara, alla quale potrebbe partecipare anche il concorrente escluso dalla prima procedura.

Nello specifico, le Sezioni Unite interrogano la Corte di Giustizia circa l’applicabilità dei principi espressi nelle citate decisioni, le quali, invero, avevano ad oggetto il possesso dei requisiti di partecipazione del concorrente escluso e dell’aggiudicatario. Nel caso dell’Ordinanza in commento, invece, come detto, l’impugnazione consegue l’esclusione, cui è necessariamente preceduto l’accertamento della sussistenza dei requisiti di partecipazione, dovuta all’insufficienza dell’offerta tecnica ed al conseguente mancato superamento della “soglia di sbarramento”.

 

CONCLUSIONI

Le decisioni della Corte di Giustizia incideranno tanto su questioni di portata generale, come quella riguardante i limiti del ricorso per motivi inerenti alla giurisdizione o del potere (o dovere) dei giudizi nazionali di operare il rinvio pregiudiziale, potenzialmente riguardanti diversi settori del diritto, quanto sul tema specifico, di particolare rilevo ed attualità a livello italiano ed europeo, nel presente contesto economico, degli appalti pubblici.

Proprio in tale ultima materia, potrebbe, peraltro, intervenire un nuovo revirement giurisprudenziale, pochissimi anni dopo quello avvenuto per effetto della richiamata Sentenza n. 6/2018 della Corte Costituzionale.

 

Studio Legale DAL PIAZ

DECRETO SEMPLIFICAZIONI N. 76/2020 E LEGGE DI CONVERSIONE N. 120/2020: LE NOVITÀ IN MATERIA DI APPALTI E CONTRATTI PUBBLICI

DECRETO SEMPLIFICAZIONI N. 76/2020 E LEGGE DI CONVERSIONE N. 120/2020: LE NOVITÀ IN MATERIA DI APPALTI E CONTRATTI PUBBLICI

 

LE MODIFICHE AL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI

D.Lgs. n. 50/2016

 

Indice degli argomenti trattati

  • AFFIDAMENTI SOTTOSOGLIA
    • Articolo 1, commi 1 e 2, D.L. n. 76/2020 – PROCEDURE IN DEROGA
    • Articolo 1, comma 2, D.L. n. 76/2020 – AVVISI RELATIVI ALLE PROCEDURE SOTTOSOGLIA
    • Articolo 1, comma 3, D.L. n. 76/2020 – CRITERI DI AGGIUDICAZIONE PER LA PROCEDURA NEGOZIATA
    • Articolo 1, comma 1, D.L. n. 76/2020 – TERMINI OBBLIGATORI DI CONCLUSIONE DELLE PROCEDURE E RESPONSABILITÀ DEL RUP E DELL’OE
    • Articolo 1, commi 3 e 4, D.L. 76/2020 – PRINCIPI IN MATERIA DI DETERMINA SEMPLIFICATA, OFFERTE ANOMALE E GARANZIE

 

  • MOTIVAZIONE DELL’AFFIDAMENTO

 

  • PRINCIPI COMUNI NEGLI AFFIDAMENTI SOTTO SOGLIA

3.1) Articolo 1, comma 2, lett. b) D.L. n. 76/2020 – IL PRINCIPIO DI ROTAZIONE

 

  • INDAGINI DI MERCATO ED ELENCO FORNITORI

4.1) Articolo 1, comma 2, lett. b), D.L. n. 76/2020

  • CLAUSOLA SOCIALE

 

  • AFFIDAMENTI SOPRASOGLIA
    • Articolo 2, comma 1, D.L. n. 76/2020
    • TERMINI OBBLIGATORI DI CONCLUSIONE DELLE PROCEDURE e RESPONSABILITÀ DEL RESPONSABILE UNICO DEL PROCEDIMENTO E DELL’OPERATORE ECONOMICO
    • Articolo 2, comma 2, D.L. n. 76/2020 – PROCEDURE APPLICABILI
    • Articolo 2, comma 3, D.L. n. 76/2020 – NUOVE FATTISPECIE PER UTILIZZO DELLA PROCEDURA NEGOZIATA SENZA BANDO DI CUI ALL’ARTICOLO 63 D.LGS. N.50/2016
    • Articolo 2, comma 3, D.L. n. 76/2020 – NUOVE FATTISPECIE PER UTILIZZO DELLA PROCEDURA NEGOZIATA SENZA BANDO DI CUI ALL’ARTICOLO 63 D.LGS. N.50/2016
    • Articolo 2, comma 4, D.L. n. 76/2020 – PROCEDURA DEROGATORIA «GENERALE»
    • Articolo 2, comma 5, D.L. n. 76/2020 – RESPONSABILE UNICO DEL PROCEDIMENTO
    • Articolo 2, comma 6, D.L. n. 76/2020 – DIRITTO DI ACCESSO CIVICO
    • Articolo 2-bis, D.L. n. 76/2020 – RAGGRUPPAMENTI TEMPORANEI DI IMPRESE (RTI)

 

  • VERIFICHE ANTIMAFIA E PROTOCOLLI DI LEGALITÀ
    • Articolo 3, D.L. n. 76/2020

 

  • CONCLUSIONE DEI CONTRATTI
    • Articolo 4, D.L. n. 76/2020

 

  • RESPONSABILITÀ ERARIALE DEI FUNZIONARI PUBBLICI

9.1) Articolo 21, D.L. n. 76/2020

 

  • RICORSI GIURISDIZIONALI
    • Articolo 4, comma 2, D.L. n. 76/2020 – ONERE MOTIVAZIONALE DELLA SOSPENSIONE CAUTELARE
    • Articolo 4, comma 3, D.L. n. 76/2020 – LIMITI ALLA CADUCAZIONE DEL CONTRATTO
    • Articolo 4, comma 4, lett. a), D.L. n. 76/2020 – MODALITÀ DI DEFINIZIONE DELLE CONTROVERSIE
    • 4, comma 4, lett. b), D.L. n. 76/2020 – PUBBLICAZIONE SENTENZE E DISPOSITIVI

 

  • SERVIZI DI PULIZIA O LAVANDERIA IN AMBITO SANITARIO
    • 4-bis, D.L. n. 76/2020

 

  • SOSPENSIONE DELL’ESECUZIONE DELL’OPERA PUBBLICA

12.1) Articolo 5, D.L. n. 76/2020

 

  • COLLEGIO CONSULTIVO TECNICO
    • Articolo 6, comma 1, D.L. n. 76/2020
    • Articolo 6, comma 2, D.L. n. 76/2020 – I COMPONENTI DEL COLLEGIO CONSULTIVO TECNICO
    • Articolo 6, comma 3, D.L. n. 76/2020 – LE DECISONI DEL COLLEGIO CONSULTIVO TECNICO

 

  • ALTRE DISPOSIZIONI URGENTI
    • Articolo 8, D.L. n. 76/2020

 

  • RIEPILOGO DELLE MODIFICHE ED INTEGRAZIONI AL

CODICE CONTRATTI PUBBLICI

 

  • DURC E DOCUMENTO RELATIVO A CONGRUITÀ INCIDENZA DELLA MANODOPERA
    • Articolo 8, comma 10 e 10-bis, D.L. n. 76/2020

 

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Il Decreto-legge del 16 luglio 2020 n. 76, recante: «Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale», recentemente intervenuto a modificare il Codice dei contratti pubblici, è entrato in vigore il 15 settembre 2020 nella versione convertita dalla Legge n. 120 del 2020.

 

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  • AFFIDAMENTI SOTTOSOGLIA.
    • Articolo 1, commi 1 e 2, D.L. n. 76/2020 – PROCEDURE IN DEROGA

Le novità più significative interessano gli AFFIDAMENTI SOTTOSOGLIA.

Il legislatore ha inteso introdurre tali modifiche temporanee “al fine di incentivare gli investimenti pubblici nel settore delle infrastrutture e dei servizi pubblici, nonché al fine di far fronte alle ricadute economiche negative a seguito delle misure di contenimento e dell’emergenza sanitaria globale del  COVID-19.

Per gli AFFIDAMENTI SOTTOSOGLIA, qualora la determina a contrarre o altro atto di avvio del procedimento equivalente sia adottato entro il 31 dicembre 2021, è prevista la deroga temporanea delle norme di cui all’articolo 36, comma 2, e all’articolo 157, comma 2, del Codice dei contratti pubblici. In questi casi si applica quanto previsto dal successivo comma 2 dell’articolo 1 D.L. n. 76/2020 che prevede le seguenti procedure in deroga:

  1. a) affidamento diretto per lavori di importo inferiore a 150.000 euro e per servizi e forniture, inclusi i servizi di ingegneria e architettura e attività di progettazione, di importo inferiore a 75.000 euro;
  2. b) procedura negoziata, senza bando, di cui all’articolo 63 del D.Lgs. n. 50/2016, previa consultazione di almeno cinque operatori economici, nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti, che tenga conto anche di una diversa dislocazione territoriale delle imprese invitate, individuati in base ad indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, per l’affidamento di servizi e forniture, compresi i servizi di ingegneria e architettura e l’attività di progettazione, di importo pari o superiore a 75.000 euro e fino alle soglie comunitarie di cui all’articolo 35 del D.Lgs. n. 50/2016 e di lavori di importo pari o superiore a 150.000 euro e inferiore a 350.000 euro, ovvero previa consultazione di almeno dieci operatori per lavori di importo pari o superiore a 350.000 euro e inferiore a un milione di euro, ovvero previa consultazione di almeno quindici operatori per lavori di importo pari o superiore a un milione di euro e fino alle soglie comunitarie di cui all’articolo 35 del D.Lgs. n. 50/2016.

Circa l’obbligatorietà o meno del rispetto delle disposizioni di cui all’articolo 1, comma 2, lett. a) e b) si registra l’interpretazione dell’Anac[1] che lascia aperta la possibilità per le stazioni appaltanti di ricorrere alle procedure ordinarie, previa adeguata motivazione. Osserva Anac, al riguardo, che: “sebbene l’art. 2 del dl. non abbia fatto salva la richiamata facoltà, la perdurante applicabilità dei principi di cui al comma 1 dell’art. 30 induce a ritenere che il regime in deroga non abbia privato, pur nella situazione eccezionale creatasi a seguito delle misure di contenimento e dell’emergenza sanitaria globale, le stazioni appaltanti della possibilità di ricorrere a soluzioni aperte alla più ampia concorrenza qualora appaiano le più idonee a soddisfare il proprio fabbisogno.”

Mentre, l’Istituto per la Finanza e l’Economia Locale (IFEL), fondazione dell’ANCI, al riguardo, ritiene che: “il decreto legge, nell’introdurre un temporaneo regime derogatorio in materia di affidamenti non impedisca alle stazioni appaltanti di utilizzare le procedure ordinarie in luogo di quelle “accelerate” disciplinate dal decreto stesso. Tuttavia, si consiglia che questa opzione sia congruamente motivata dalla stazione appaltante che l’adotta: a) in relazione al rispetto del principio di non aggravamento del procedimento; b) in relazione al rispetto dei termini di conclusione del procedimento espressamente previste con norma perentoria dal D.L. 76/2020; c) in relazione agli obiettivi di incentivazione degli investimenti e di argine alle ricadute economiche negative seguite all’emergenza COVID.”[2]

COMMENTO – In realtà, considerata la lettera dell’articolo 1, riteniamo che il D.L. n.76/2020 introduca (temporaneamente) delle procedure derogatorie, rispetto al Codice dei contratti pubblici, che le stazioni appaltanti sono tenute ad osservare, stante la finalità di accelerare le procedure sottosoglia per gli affidamenti pubblici e quindi di incentivare la ripresa economica. D’altra parte, le stazioni appaltanti avrebbero la possibilità di procedere comunque all’affidamento diretto tramite acquisizione di preventivi, tutelandosi e rispettando così i principi di cui all’art. 30 D.Lgs. n. 50/2016 e di rotazione.

 

  • Articolo 1, comma 2, D.L. n. 76/2020 – AVVISI RELATIVI ALLE PROCEDURE SOTTOSOGLIA

Le stazioni appaltanti sono tenute a pubblicare nei rispettivi siti internet istituzionali l’avviso dell’avvio delle procedure negoziate.

Per gli affidamenti diretti fino a 40.000 euro non è obbligatoria la pubblicazione dell’esito della procedura di affidamento, mentre, per gli affidamenti diretti da 40.000 euro fino a 75.000 euro è obbligatoria la pubblicazione dell’esito della procedura, con indicazione dei soggetti invitati.

In tale caso, il legislatore ha modificato l’articolo 36, comma 2, lett. a), D.Lgs. n. 50/2016, introducendo la previsione generale della non obbligatorietà della pubblicazione dell’avviso sui risultati della procedura di affidamento diretto di importo inferiore a 40.000 euro.

 

  • Articolo 1, comma 3, D.L. n. 76/2020 – CRITERI DI AGGIUDICAZIONE PER LA PROCEDURA NEGOZIATA

Gli affidamenti diretti possono essere realizzati tramite determina a contrarre, o atto equivalente, che contenga gli elementi semplificati descritti nell’articolo 32, comma 2, del D.Lgs. n. 50/2016.

Invece, nel caso di procedura negoziata senza bando le stazioni appaltanti hanno la possibilità di scegliere quale criterio di affidamento utilizzare, nel rispetto dei principi di trasparenza, di  non  discriminazione e di parità di trattamento: il criterio dell’OEPV, offerta economicamente più vantaggiosa, ovvero il criterio del minor prezzo.

Tuttavia, occorre tenere presenti i casi di cui all’articolo 95, comma 3, D.Lgs. n. 50/2016 in cui persiste l’obbligo di fare ricorso all’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo, anche in caso di procedura negoziata:

  1. a) i contratti relativi ai servizi sociali e di ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica, nonché ai servizi ad alta intensità di manodopera, come definiti all’articolo 50, comma 1 fatti salvi gli affidamenti ai sensi dell’articolo 36, comma 2, lettera a);
  2. b) i contratti relativi all’affidamento dei servizi di ingegneria e architettura e degli altri servizi di natura tecnica e intellettuale di importo pari o superiore a 40.000 euro;

b-bis) I contratti di servizi e le forniture di importo pari o superiore a 40.000 euro caratterizzati da notevole contenuto tecnologico o che hanno un carattere innovativo.

COMMENTO – Quindi, il recente intervento è fonte di perplessità e presenta un’evidente discrasia, stante la lettera poco chiara della disposizione in esame. Invero, l’introduzione in sede di conversione (nel comma 3 dell’articolo 1 D.L. n. 76/2020) del rinvio all’art. 95, comma 3, D.Lgs. n.50/2016, comporta il richiamo alle soglie tradizionali dell’affidamento sotto e soprasoglia di 40.000 euro, mentre, nel D.L. n. 76/2020 il legislatore ha innalzato le soglie di affidamento diretto a 75.000 euro. Per cui non è chiaro, nei casi succitati, se l’obbligo di fare ricorso all’offerta economicamente più vantaggiosa sorga a partire dalla soglia di 40.000 euro o da quella di 75.000 euro.

Secondo il nostro parere, il D.L. n. 76/2020 introduce una normativa speciale che incide anche sul Codice degli Appalti, e che pertanto prevale.

 

1.4 ) Articolo 1, comma 1, D.L. n. 76/2020 – TERMINI OBBLIGATORI DI CONCLUSIONE DELLE   PROCEDURE E RESPONSABILITÀ DEL RUP E DELL’OE

In caso di affidamento diretto l’aggiudicazione o l’individuazione del contraente deve avvenire entro 2 mesi dall’atto di avvio del procedimento.

Invece, in caso di procedura negoziata senza bando l’aggiudicazione o l’individuazione del contraente deve avvenire entro 4 mesi dall’atto di avvio del procedimento.

Inoltre, il mancato  rispetto  dei  termini suddetti, la  mancata  tempestiva  stipulazione  del  contratto  e  il tardivo avvio dell’esecuzione dello stesso possono essere valutati ai fini della responsabilità del Rup (responsabile unico del procedimento) per danno erariale. Qualora tali ritardi siano imputabili all’operatore economico, costituiscono causa di esclusione dell’operatore dalla procedura o di risoluzione del contratto per inadempimento che viene senza indugio dichiarata dalla stazione appaltante e opera di diritto.

COMMENTO – La norma però non specifica le modalità e i criteri per l’accertamento dell’imputabilità del ritardo all’operatore economico. In ogni caso si tratta di ipotesi di ritardo tipicamente riconducibili alla condotta della stazione appaltante.

 

  • Articolo 1, commi 3 e 4, D.L. 76/2020 – PRINCIPI IN MATERIA DI DETERMINA SEMPLIFICATA, OFFERTE ANOMALE E GARANZIE

Gli affidamenti diretti possono essere realizzati tramite determina a contrarre semplificata o atto equivalente, con i contenuti di cui all’art. 32, comma 2, del D.Lgs. n.50/2016.

Con riferimento ad entrambe le procedure in deroga sono previste importanti novità:

-nel caso di aggiudicazioni al prezzo più basso, si procede all’esclusione automatica di cui all’art. 97 del D.Lgs. n.50/2016 anche qualora il numero delle offerte ammesse sia pari o superiore a 5 (invece di 10);

non sono richieste garanzie provvisorie per la partecipazione alla procedura, salvo ricorrano particolari esigenze che devono essere indicate dalla stazione appaltante nell’avviso di indizione della procedura: in tale ultimo caso l’importo è dimezzato rispetto a quello indicato nell’art. 93 del Codice (di norma 2%).

 

2) MOTIVAZIONE DELL’AFFIDAMENTO

Per quanto riguarda la determina a contrarre semplificata e i requisiti specifici viene richiamato l’articolo 32, comma 2, del D.Lgs. n. 50/2016 secondo il quale la determina a contrarre, o l’atto equivalente, deve contenere, in modo semplificato, l’oggetto dell’affidamento, l’importo, il fornitore, le ragioni della scelta del fornitore, il possesso da parte del fornitore dei requisiti di carattere generale, nonché il possesso dei requisiti tecnico-professionali, ove richiesti.

Occorre, inoltre, a nostro avviso, tener conto anche dei criteri di selezione e scelta del contraente delineati nelle Linee Guida Anac n. 4[3], pur sempre vigenti anche con riferimento alle procedure sottosoglia in deroga introdotte nel D. L. n. 76/2020, .

Per cui la stazione appaltante deve motivare adeguatamente in merito alla scelta dell’aggiudicatario, dando dettagliatamente conto: a) del possesso da parte dell’operatore economico selezionato dei requisiti richiesti nella determina a contrarre o nell’atto ad essa equivalente, b) della rispondenza di quanto offerto all’interesse pubblico che la stazione appaltante deve soddisfare, c) di eventuali caratteristiche migliorative offerte dal contraente, d) della congruità del prezzo in rapporto alla qualità della prestazione, e) del rispetto del principio di rotazione.

Sempre al fine di dare un’adeguata motivazione dell’affidamento, l’Anac suggerisce la possibilità di ricorrere alla comparazione dei listini di mercato, di offerte precedenti per commesse identiche o analoghe o all’analisi dei prezzi praticati ad altre amministrazioni.

In ogni caso, pure in caso di affidamento diretto, il confronto dei preventivi di spesa forniti da due o più operatori economici rappresenta una best practice anche alla luce del principio di concorrenza.

Poi, per affidamenti di modico valore, o per affidamenti effettuati nel rispetto di apposito regolamento (ad esempio regolamento di contabilità) già adottato dalla stazione appaltante, che tiene conto dei principi comunitari e nazionali in materia di affidamento di contratti pubblici, la motivazione della scelta dell’affidatario diretto può essere espressa in forma sintetica, anche richiamando il regolamento stesso nella determina ovvero nell’atto equivalente redatti in modo semplificato.

Invero, in un recente esame degli articoli del D. L. n.  76/2020 l’Anac[4] afferma, con riferimento agli affidamenti diretti, che: “L’estrema semplificazione procedurale, che sembra esaurirsi nell’obbligo di motivare, in modo semplificato, la scelta dell’affidatario individuato discrezionalmente, va temperata alla luce dei richiamati principi. Anche in costanza di regime derogatorio, il principio di rotazione degli affidamenti, fa sì che, in caso di contratti rientranti nel medesimo settore merceologico, categorie di opere e settore di servizi di quello precedente, l’affidamento al contraente uscente conservi carattere eccezionale e richieda un onere motivazionale più stringente. Inoltre, deve continuare a essere considerata una best practice la scelta della stazione appaltante di acquisire informazioni, dati, documenti volti a identificare le soluzioni presenti sul mercato per soddisfare i propri fabbisogni e la platea dei potenziali affidatari e di procedere al confronto dei preventivi di spesa forniti da due o più operatori economici.

 

3) PRINCIPI COMUNI NEGLI AFFIDAMENTI SOTTO SOGLIA

3.1) Articolo 1, comma 2, lett. b) D.L. n. 76/2020 – IL PRINCIPIO DI ROTAZIONE

Nelle Linee Guida Anac n. 4 sono stati “standardizzati” una serie di principi che si ritiene debbano senz’altro essere rispettati nell’ambito delle procedure sottosoglia poc’anzi descritte, affidamento diretto e procedura negoziata: il principio di economicità, il principio di efficacia, il principio di tempestività, il principio di correttezza, il principio di libera concorrenza, il principio di non discriminazione e di parità di trattamento, il principio di trasparenza e pubblicità, il principio di proporzionalità, il principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti, i criteri di sostenibilità energetica e ambientale, il principio di prevenzione e risoluzione dei conflitti di interessi

Si tratta, infatti, di principi che trovano applicazione nella generalità dei casi, pur non essendo espressamente richiamati dal D.L. n. 76/2020: altrimenti il legislatore ne avrebbe espressamente escluso l’applicazione.

Tra questi assume rilievo il principio di rotazione richiamato nell’articolo 1, comma 2, lett. b), D. L. n. 76/2020 con riferimento alla procedura negoziata senza bando.

In tal caso si prevede il rispetto di un criterio di rotazione degli inviti che tenga conto anche di una diversa dislocazione territoriale delle imprese invitate, e l’individuazione degli operatori economici in base ad indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici. L’elenco dei soggetti invitati è incluso nell’avviso sui risultati della procedura di affidamento.

COMMENTO – La lettera della norma non è molto chiara e lascia alcune perplessità circa la sua corretta interpretazione: a nostro avviso si potrebbe interpretare nel senso di un’attenuazione dell’applicazione della rotazione qualora le imprese non siano prossime alla stazione appaltante in termini territoriali. Rispetto, invece, ad eventuali dubbi che potrebbero sorgere circa la vigenza del principio di rotazione anche con riferimento all’ipotesi di cui all’articolo 1, comma 2, lett.a) D.L. n. 76/2020, ritieniamo che tale principio trovi applicazione anche nell’affidamento diretto, in quanto rientrante tra i principi comuni previsti nelle Linee Guida Anac n. 4, certamente applicabili in via generale.

 

  • INDAGINI DI MERCATO ED ELENCO FORNITORI

4.1) Articolo 1, comma 2, lett. b), D.L. n. 76/2020

L’articolo 1, comma 1, lett. b), D.L. n.76/2020 richiede il previo svolgimento di indagini di mercato o consultazione di elenchi fornitori per le procedure negoziate senza bando, diversamente da quanto previsto dall’art. 63 D.Lgs. n. 50/2016[5].

L’indagine di mercato è preordinata a conoscere gli operatori interessati a partecipare alle procedure di selezione per lo specifico affidamento, al fine di valutare: 1) l’assetto del mercato, 2) i potenziali concorrenti, 3) gli operatori interessati, 4) le relative caratteristiche soggettive, 5) le soluzioni tecniche disponibili, 6) le condizioni economiche praticate, 7) le clausole contrattuali generalmente accettate, al fine di verificarne la rispondenza alle reali esigenze della stazione appaltante.

COMMENTO – La lettera della norma suggerisce di intendere la previsione come obbligatoria. Pertanto, riteniamo che le procedure negoziate indette con determina a contrarre adottata entro il 31 dicembre 2021 dovranno avere luogo previo svolgimento di indagini di mercato o consultazione di elenchi fornitori.  

 

  • CLAUSOLA SOCIALE

Il D. L. n. 76/2020 in sede di conversione ha integrato l’articolo 36, comma 1, D.Lgs. 50/2016 circa i contratti sotto soglia, aggiungendo il periodo: “Le stazioni appaltanti applicano le disposizioni di cui all’articolo 50.”

Per cui per le procedure sotto soglia trova applicazione l’articolo 50, comma, D.Lgs. n. 50/2016 che impone l’inserimento di specifiche clausole sociali, volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, nei  bandi  di  gara, negli avvisi e negli inviti.

 

  • AFFIDAMENTI SOPRASOGLIA
    • Articolo 2, comma 1, D.L. n. 76/2020

Per gli AFFIDAMENTI SOPRASOGLIA, qualora la determina a contrarre o altro atto di avvio del procedimento equivalente sia adottato entro il 31 dicembre 2021, si applicano le previsioni contenute nello stesso articolo 2 D.L. n. 76/2020.

 

  • TERMINI OBBLIGATORI DI CONCLUSIONE DELLE PROCEDURE e RESPONSABILITÀ DEL RUP E DELL’OE

L’aggiudicazione o l’individuazione definitiva del contraente deve avvenire entro 6 mesi dalla data di adozione dell’atto di avvio del procedimento.

Il  mancato  rispetto  dei  termini suddetti, la  mancata  tempestiva  stipulazione  del  contratto  e  il tardivo avvio dell’esecuzione dello stesso possono essere valutati ai fini della responsabilità del Rup (responsabile unico del procedimento) per danno erariale. Qualora tali ritardi siano imputabili all’operatore economico, costituiscono causa di esclusione dell’operatore dalla procedura o di risoluzione del contratto per inadempimento che viene senza indugio dichiarata dalla stazione appaltante e opera di diritto.

COMMENTO – Anche in tale disposizione non è specificato in quali casi e come vada accertato il profilo dell’imputabilità del ritardo, cui si riconnette la risoluzione di diritto o l’esclusione in danno dell’operatore economico.

 

  • Articolo 2, comma 2, D.L. n. 76/2020 – PROCEDURE APPLICABILI

I CONTRATTI DI LAVORI, FORNITURE E SERVIZI SOPRA SOGLIA, inclusi i servizi di ingegneria e architettura, vengono affidati con le seguenti procedure:

procedura aperta o ristretta;

procedura competitiva con negoziazione (artt. 60 e 61 del Codice per i settori ordinari; artt. 123 e 124 del Codice per i settori speciali) o dialogo competitivo (art. 64 del Codice), previa motivazione sulla sussistenza dei presupposti di legge.

Inoltre, in ogni caso, si applicano i termini ridotti secondo la previsione di cui all’articolo 8, comma 1, lettera c), del D.L. 76/2020.

 

  • Articolo 2, comma 3, D.L. n. 76/2020 – NUOVE FATTISPECIE PER UTILIZZO DELLA PROCEDURA NEGOZIATA SENZA BANDO DI CUI ALL’ARTICOLO 63 D.LGS. N.50/2016

Per l’affidamento delle attività di esecuzione di lavori, servizi e forniture, nonché dei servizi di ingegneria e architettura, inclusa l’attività di progettazione, di opere di importo pari o superiore alle soglie di cui all’articolo 35 del D.Lgs. n. 50/2016 n. 50, la procedura negoziata di cui all’articolo 63 del D.Lgs. n. 50/2016, per i settori ordinari, e di cui all’articolo 125, per i settori speciali, può essere utilizzata, previa pubblicazione dell’avviso di indizione della gara o di altro atto equivalente, nel rispetto di un criterio di rotazione, nella misura strettamente necessaria quando, per ragioni di estrema urgenza derivanti dagli effetti negativi della crisi causata dalla pandemia da COVID-19 o dal periodo di sospensione delle attività determinato dalle misure di contenimento adottate per fronteggiare la crisi, i termini, anche abbreviati, previsti dalle procedure ordinarie non possono essere rispettati.

Sul punto l’Anac[6] ha sollevato alcune perplessità: “Sempre in relazione a tale aspetto, la norma stabilisce, al comma 3, che nel caso in cui i termini previsti dalle procedure ordinarie anche abbreviati non possono essere rispettati, per ragioni di estrema urgenza derivanti dagli effetti negativi della crisi causata dalla pandemia COVID-19 o dal periodo di sospensione delle attività determinato dalle misure di contenimento adottate per fronteggiare la crisi, per l’affidamento dei contratti pubblici, la procedura negoziata di cui all’art. 63 del Codice, per i settori ordinari, e di cui all’articolo 125, per i settori speciali, può essere utilizzata nella misura strettamente necessaria. La disposizione introdotta collega l’estrema urgenza agli effetti negativi derivanti dall’emergenza sanitaria in corso o dal periodo di sospensione delle attività economiche derivanti dalla stessa, quale ragione che giustifica di per sé il ricorso alla procedura negoziata senza bando. Si tratta, come è evidente, di una disposizione che, pur condivisa da questa Autorità, si presta a margini interpretativi piuttosto ampi. Fermo restando quanto già detto sopra, si evidenzia al riguardo che la generica correlazione dell’estrema urgenza agli effetti della pandemia in corso, può consentire un ricorso diffuso alla procedura negoziata senza bando, lasciando un ambito di discrezionalità molto significativo in capo alle stazioni appaltanti sui casi in cui possono ritenersi sussistenti i predetti caratteri dell’estrema urgenza. La stazione appaltante dovrebbe comunque fornire adeguata motivazione in ordine all’impossibilità di rispettare i termini (già ridotti) delle procedure diverse da quella negoziata senza bando”.

 

  • Articolo 2, comma 3, D.L. n. 76/2020 – NUOVE FATTISPECIE PER UTILIZZO DELLA PROCEDURA NEGOZIATA SENZA BANDO DI CUI ALL’ARTICOLO 63 D.LGS. N.50/2016

La procedura negoziata di cui all’articolo 63 D.Lgs. n. 50/2016, per i settori ordinari, e di cui all’articolo 125, per i settori speciali, può essere utilizzata altresì per l’affidamento delle attività di esecuzione di lavori, servizi e forniture di importo pari o superiore alle soglie di cui all’articolo 35 del D.Lgs. n. 50/2016, anche in caso di singoli operatori economici con sede operativa collocata in aree di preesistente crisi industriale complessa ai sensi dell’articolo 27 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, che, con riferimento a dette aree ed anteriormente alla dichiarazione dello stato di emergenza sanitaria da COVID-19 del 31 gennaio 2020, abbiano stipulato con le pubbliche amministrazioni competenti un accordo di programma ai sensi dell’articolo 252-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato precisa che il ricorso alla procedura negoziata senza previa pubblicazione, quale deroga procedurale, riveste carattere di “eccezionalità” rispetto all’obbligo di individuare il loro contraente attraverso il confronto concorrenziale: sicché, costituisce principio ormai consolidato che la scelta di tale modalità, sebbene rientrante nell’alveo discrezionale della singola stazione sppaltante, richiede sia un particolare rigore nell’individuazione dei presupposti giustificativi, da interpretarsi restrittivamente[7], sia un onere motivazione specifico in capo alla medesima.

 

  • Articolo 2, comma 4, D.L. n. 76/2020 – PROCEDURA DEROGATORIA «GENERALE»

Il comma 4 dell’articolo 2, D.L. n. 76/2020 stabilisce disposizioni di deroga alla normativa vigente (fatti salvi i profili specificati) in relazione sia ai casi previsti dal comma 3 (COVID 19) sia ad una ampia serie di settori espressamente elencati, quali:

– edilizia scolastica e universitaria;

– edilizia sanitaria, giudiziaria e penitenziaria;

– infrastrutture per la sicurezza pubblica;

– infrastrutture per attività di ricerca scientifica;

– trasporti e infrastrutture stradali, ferroviarie, portuali, aeroportuali, lacuali e idriche, ivi compresi gli interventi inseriti nei contratti di programma ANAS-Mit 2016-2020 e RFI-Mit 2017 – 2021 e relativi aggiornamenti;

– interventi funzionali alla realizzazione del Piano Nazionale Energia e Clima (PNIEC);

– per i contratti relativi o collegati ad essi;

– interventi per la messa a norma o in sicurezza degli edifici pubblici destinati ad attività istituzionali, al fine di sostenere le imprese ed i professionisti del comparto edile, anche operanti nell’edilizia specializzata sui beni vincolati dal punto di vista culturale o paesaggistico, nonché per recuperare e valorizzare il patrimonio esistente.

Nei casi elencati le stazioni appaltanti, per l’affidamento delle attività di esecuzione di lavori, servizi e forniture nonché dei servizi di ingegneria e architettura, inclusa l’attività di progettazione, e per l’esecuzione dei relativi contratti, operano in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatto salvo il rispetto:

  • delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159;
  • dei vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea, ivi inclusi quelli derivanti dalle direttive 2014/24/UE e 2014/25/UE;
  • dei principi di cui agli articoli 30 (Principi generali), 34 (CAM) e 42 (Conflitto di interesse) del Codice;
  • disposizioni in materia di subappalto.

 

  • Articolo 2, comma 5, D.L. n. 76/2020 – RESPONSABILE UNICO DEL PROCEDIMENTO

Per ogni procedura di appalto viene nominato un Responsabile unico del procedimento (Rup) che, con propria determinazione adeguatamente motivata, valida ed approva ciascuna fase progettuale o di esecuzione del contratto, anche in corso d’opera.

COMMENTO – Rispetto a tale previsione emergono alcune perplessità, perché, in primo luogo, non è chiaro quale genere di “validità” il Rup attribuisca alle fasi suddette, anche se non riteniamo che si tratti di una sorta di validazione (?) corrispondente a quella necessaria per i progetti.

Inoltre, non è chiaro a quale procedura si riferisca la norma: a tutte le procedure derogatorie, a quelle di cui al comma 4, ovvero anche a quelle di cui al comma 3.

 

  • Articolo 2, comma 6, D.L. n. 76/2020 – DIRITTO DI ACCESSO CIVICO

Gli atti delle stazioni appaltanti adottati ai sensi del presente articolo sono pubblicati e aggiornati nei rispettivi siti internet istituzionali nella sezione «Amministrazione trasparente» e sono soggetti alla disciplina di cui al D.Lgs 14 marzo 2013, n. 33 Nella medesima sezione sono pubblicati gli ulteriori atti indicati all’articolo 29, comma 1, del D.Lgs n. 50 del 2016.

 

  • Articolo 2-bis, D.L. n. 76/2020 – RAGGRUPPAMENTI TEMPORANEI IMPRESE (RTI)

Alle procedure di affidamento dei contratti pubblici sotto soglia e dei contratti pubblici sopra soglia, di cui agli articoli 1 e 2 del D.L. n. 76/2020, gli operatori economici possono partecipare anche in forma di raggruppamenti temporanei di cui all’articolo 3, comma 1, lettera u), del D.Lgs. n. 50/2016.

COMMENTO – La norma può costituire fonte di dubbi interpretativi: il richiamo all’articolo 3, comma1, lettera u), del D.Lgs. n. 50/2016 può essere infatti letto in un’ottica di semplificazione della procedura anche per l’operatore economico, per cui i raggruppamenti e le altre forme associative per la partecipazione degli operatori economici alle gare potrebbero essere costituiti anche mediante semplice scrittura privata non autenticata.

 

  • VERIFICHE ANTIMAFIA E PROTOCOLLI DI LEGALITÀ
    • Articolo 3, D.L. n. 76/2020

Sono state introdotte norme transitorie, applicabili fino al 31 dicembre 2021 che consentono alle pubbliche amministrazioni:

  1. a) di corrispondere ai privati agevolazioni o benefici economici, anche in assenza della documentazione antimafia, con il vincolo della restituzione laddove in esito alle verifiche antimafia dovesse essere pronunciata una interdittiva (comma 1);
  2. b) di stipulare contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture sulla base di un’informativa antimafia liberatoria provvisoria, valida per 60 giorni, con il vincolo del recesso se le verifiche successive dovessero comportare interdittiva antimafia (commi 2 e 4), fatto salvo il pagamento delle opere già eseguite ed il rimborso delle spese eseguite per la parte rimanente.

La disposizione consente di eseguire le verifiche antimafia attingendo alla Banca Dati Nazionale Unica Antimafia ed a tutte le banche dati disponibili (comma 3) e demanda al Ministro dell’Interno l’individuazione di ulteriori misure di semplificazione per le verifiche che competono alle prefetture (comma 5).

Continuerà ad applicarsi la disciplina generale del Codice antimafia di cui al D.Lgs. n. 159/2011 (comma 6), integrata dalla previsione di protocolli di legalità.

Il comma 7, intervenendo sul Codice antimafia, prevede che il Ministero dell’interno possa stipulare protocolli con le associazioni di categoria e grandi imprese, per l’estensione anche ai rapporti tra privati della disciplina sulla documentazione antimafia, attualmente limitata ai rapporti tra i privati e un interlocutore pubblico.

 

  • CONCLUSIONE DEI CONTRATTI
    • Articolo 4, D.L. n. 76/2020

L’articolo 4 del D.L. n. 76/2020 ha apportato alcune modifiche all’articolo 32, comma 8, del D.Lgs. n. 50/2016.

In virtù di tale intervento è ora previsto che, una volta divenuta efficace l’aggiudicazione, la stipulazione del contratto di appalto o di concessione deve avere luogo entro i successivi sessanta giorni, salvo diverso termine previsto nel bando o nell’invito ad offrire, ovvero l’ipotesi di differimento espressamente concordata con l’aggiudicatario, purché comunque giustificata dall’interesse alla sollecita esecuzione del contratto.

Inoltre, la mancata stipulazione del contratto nel termine previsto deve essere motivata con specifico riferimento all’interesse della stazione appaltante e a quello nazionale alla sollecita esecuzione del contratto e viene valutata ai fini della responsabilità erariale e disciplinare del dirigente preposto. Non costituisce giustificazione adeguata per la mancata stipulazione del contratto nel termine previsto, salvo quanto previsto dai commi 9 e 11, la pendenza di un ricorso giurisdizionale, nel cui ambito non sia stata disposta o inibita la stipulazione del contratto.

Le stazioni appaltanti hanno facoltà di stipulare contratti di assicurazione della propria responsabilità civile derivante dalla conclusione del contratto e dalla prosecuzione o sospensione della sua esecuzione.

 

  • RESPONSABILITÀ ERARIALE DEI FUNZIONARI PUBBLICI
    • Articolo 21, D.L. n. 76/2020

Limitatamente ai fatti commessi dalla data di entrata in vigore del D.L. n. 76/2020 e fino al 31 dicembre 2021, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità di cui all’articolo 1 della Legge 14 gennaio 1994 n. 20, è limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta.

La limitazione di responsabilità prevista dal primo periodo non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente.

Pertanto, per le condotte poste in essere dai pubblici funzionari è stata prevista fino al 31 dicembre 2021 una limitazione della responsabilità erariale, non più punibile per colpa grave, ma solo per dolo, salva l’ipotesi di omissione o inerzia.

  • RICORSI GIURISDIZIONALI
    • Articolo 4, comma 2, D.L. n. 76/2020 – ONERE MOTIVAZIONALE DELLA SOSPENSIONE CAUTELARE

In caso di impugnazione degli atti relativi alle procedure di affidamento previste negli articoli 1 e 2, comma 2, del D.L: n. 76/2020, qualora rientranti nell’ambito applicativo dell’articolo 119, comma 1, lettera a), del Codice del Processo Amministrativo (CPA – D.Lgs 2 luglio 2010 n. 104), si applica l’articolo 125, comma 2, del medesimo Codice.

Il Giudice Amministrativo, in virtù dell’articolo 125, comma 2, CPA, è tenuto al rispetto di un particolare onere motivazionale sulla sua decisone cautelare: prima di sospendere l’affidamento, deve motivare circa l’impatto della sua pronuncia sull’interesse pubblico legato all’esecuzione dell’appalto.

COMMENTO – Il legislatore, sempre nell’ottica di garantire l’accelerazione dello svolgimento delle procedure di affidamento di appalti pubblici, ha inteso aggravare l’onere motivazionale della c.d. “sospensiva” pronunciata dal Giudice Amministrativo.

 

  • Articolo 4, comma 3, D.L. n. 76/2020 – LIMITI ALLA CADUCAZIONE DEL CONTRATTO

In caso di impugnazione degli atti relativi alle procedure di affidamento di cui all’art. 2, comma 3, del D.L. n. 76/2020, relativo alle procedure di massima urgenza in deroga derivanti dalla pandemia da COVID 19 ovvero in caso di “lockdown”, si applica l’articolo 125 del CPA: quindi, oltre all’aggravamento dell’onere motivazionale nella pronuncia cautelare, per il Giudice Amministrativo è stabilito un limite alla caducazione del contratto in seguito all’illegittimità dell’aggiudicazione.

In virtù del rinvio all’articolo 125 cit., per le controversie relative ad infrastrutture strategiche ed insediamenti produttivi non si applica l’art. 122 CPA

Pertanto, se nelle more del giudizio innanzi al Giudice Amministrativo la stazione appaltante ha stipulato il contratto, questo non viene meno per effetto di un’eventuale sentenza di accoglimento del ricorso del Tar o del Consiglio di Stato.

 

  • Articolo 4, comma 4, lett. a), D.L. n. 76/2020 – MODALITÀ DI DEFINIZIONE DELLE CONTROVERSIE

L’articolo 4, comma 4, lett. a), D.L. n.76/2020 ha modificato l’articolo 120, comma 6, CPA con valenza generale per qualsiasi giudizio amministrativo.

Il giudizio, qualora le parti richiedano congiuntamente di limitare la decisione all’esame di un’unica questione, nonché in ogni altro caso compatibilmente con le esigenze di difesa di tutte le parti in relazione alla complessità della causa, è di norma definito in esito all’udienza cautelare ove ne ricorrano i presupposti, e, in mancanza, viene comunque definito con sentenza in forma semplificata ad una udienza fissata d’ufficio e da tenersi entro quarantacinque giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente.

 

  • 4, comma 4, lett. b), D.L. n. 76/2020 – PUBBLICAZIONE SENTENZE E DISPOSITIVI

L’articolo 4, comma 4, lett. b), D.L. n.76/2020 ha modificato l’articolo 120, comma 9, CPA accelerando i termini di deposito della sentenza.

Il Giudice Amministrativo deposita la sentenza con la quale definisce il giudizio entro quindici giorni dall’udienza di discussione. Quando la stesura della motivazione è particolarmente complessa, il Giudice comunque è tenuto a pubblicare il dispositivo nel termine di cui al primo periodo, indicando anche le domande eventualmente accolte e le misure per darvi attuazione, e comunque deposita la sentenza entro trenta giorni dall’udienza.

 

  • SERVIZI DI PULIZIA O LAVANDERIA IN AMBITO SANITARIO

(articolo inserito in sede di conversione)

  • 4-bis, D.L. n. 76/2020
  1. In considerazione dell’incremento dei costi derivanti dall’adeguamento alle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 nell’erogazione dei servizi di pulizia o di lavanderia in ambito sanitario o ospedaliero, nel caso in cui detto l’adeguamento determini un incremento di spesa di importo superiore al 20 per cento del prezzo indicato nel bando di gara o nella lettera di invito, le stazioni appaltanti, in relazione alle procedure di affidamento aggiudicate in data anteriore al 31 gennaio 2020, possono procedere, qualora non abbiano già provveduto alla stipulazione del contratto e l’aggiudicatario non si sia già avvalso della facoltà di cui all’articolo 32, comma 8, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, alla revoca dell’aggiudicazione, ai sensi dell’articolo 21-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241. In tal caso, il provvedimento di revoca è comunicato all’aggiudicatario entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.
  2. In relazione ai contratti dei servizi di pulizia o di lavanderia in ambito sanitario o ospedaliero, in corso di esecuzione alla data del 31 gennaio 2020 ed ancora efficaci alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le stazioni appaltanti possono procedere alla risoluzione degli stessi, ai sensi dell’articolo 108 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, nel caso in cui dall’adeguamento alle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 derivi un incremento di prezzo superiore al 20 per cento del valore del contratto iniziale. La risoluzione del contratto di appalto è dichiarata dalla stazione appaltante entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.
  3. In relazione ai contratti di cui al comma 2, resta ferma la possibilità di procedere alla loro modifica nei limiti e secondo le modalità di cui all’articolo 106 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.

 

12) SOSPENSIONE DELL’ESECUZIONE DELL’OPERA PUBBLICA

  • Articolo 5, D.L. n. 76/2020

Fino al 31 dicembre 2021, in deroga all’art. 107 D.Lgs. n. 50/2016, la sospensione, volontaria o coattiva, dell’esecuzione di lavori diretti alla realizzazione delle opere pubbliche di importo pari o superiore alle soglie comunitarie, anche se già iniziati, può avvenire – esclusivamente per il tempo strettamente necessario al loro superamento – per le seguenti ragioni:

  1. a) cause previste da disposizioni di legge penale, dal Codice antimafia nonché da vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione Europea;
  2. b) gravi ragioni di ordine pubblico, salute pubblica o dei soggetti coinvolti nella realizzazione delle opere, ivi incluse le misure adottate per contrastare l’emergenza sanitaria globale da COVID-19;
  3. c) gravi ragioni di ordine tecnico, idonee a incidere sulla realizzazione a regola d’arte dell’opera, in relazione alle modalità di superamento delle quali non vi è accordo tra le parti;
  4. d) gravi ragioni di pubblico interesse.

La sospensione è in ogni caso disposta dal Rup.

Sono poi previste diverse modalità di gestire le fattispecie contemplate dalla disposizione:

– nelle ipotesi di cui alla lettera a) si provvede ai sensi del comma 4 in materia di risoluzione di diritto del contratto e conseguente scelta delle modalità di prosecuzione, salva assoluta impossibilità di proseguire;

– nelle ipotesi di cui alle lettere b) e d), le stazioni appaltanti provvedono su determinazione del Collegio Consultivo Tecnico (su cui infra n. 13). Si prevede il termine di 15 giorni dalla comunicazione allo stesso Collegio Consultivo Tecnico della sospensione dei lavori, e di successivi 10 giorni per autorizzare la prosecuzione dei lavori, salva assoluta impossibilità di proseguire;

– nelle ipotesi di cui alla lettera c) il Collegio Consultivo Tecnico, entro 15 giorni dalla comunicazione della sospensione dei lavori ovvero della causa che potrebbe determinarla:

  • adotta una determinazione con cui accerta l’esistenza di una causa tecnica di legittima sospensione dei lavori;
  • indica inoltre le modalità, tra quelle indicate al comma 4 dell’art. 5 in commento, con cui proseguire i lavori e le eventuali modifiche necessarie da apportare per la realizzazione dell’opera a regola d’arte.

La stazione appaltante provvede nei successivi 5 giorni.

Il comma 4 dell’articolo 5 del D.L. n. 76/2020 prevede che nel caso in cui la prosecuzione dei lavori, per qualsiasi motivo – ivi incluse la crisi o l’insolvenza dell’esecutore anche in caso di concordato con continuità aziendale ovvero di autorizzazione all’esercizio provvisorio dell’impresa – non possa proseguire con il soggetto designato né, in caso di esecutore plurisoggettivo, con altra impresa del raggruppamento designato, ove in possesso dei requisiti adeguati ai lavori ancora da realizzare, la stazione appaltante, previo parere del Collegio Consultivo Tecnico, dichiara senza indugio la risoluzione del contratto, in deroga alla procedura di cui all’art. 108, commi 3 e 4, del Codice dei contratti pubblici . La risoluzione opera di diritto.

In questi casi, la stazione appaltante provvede secondo una delle seguenti modalità:

  1. a) procede all’esecuzione in via diretta dei lavori, anche avvalendosi, nei casi consentiti dalla legge, previa convenzione, di altri enti o società pubbliche;
  2. b) interpella progressivamente i soggetti che hanno partecipato alla originaria procedura di gara come risultanti dalla relativa graduatoria, al fine di stipulare un nuovo contratto per l’affidamento del completamento dei lavori, se tecnicamente ed economicamente possibile e alle medesime condizioni proposte dall’operatore economico interpellato;
  3. c) indìce una nuova procedura per l’affidamento del completamento dell’opera;
  4. d) propone alle autorità governative la nomina di un commissario straordinario per lo svolgimento delle attività necessarie al completamento dell’opera.

Quanto sopra si applica anche in caso di ritardo dell’avvio o dell’esecuzione dei lavori, non giustificato dalle esigenze descritte, che abbia una durata di compiuta realizzazione per un numero di giorni pari o superiore a 1/10 del tempo previsto o stabilito per la realizzazione dell’opera e comunque pari ad almeno 30 giorni per ogni anno previsto o stabilito per la realizzazione dell’opera, da calcolare a decorrere dal 17 luglio 2020.

 

  • COLLEGIO CONSULTIVO TECNICO
    • Articolo 6, comma 1, D.L. n. 76/2020

Fino al 31 dicembre 2021, per i lavori relativi ad opere pubbliche di importo pari o superiore alle soglie comunitarie, è obbligatoria la costituzione presso ogni stazione appaltante di un Collegio Consultivo Tecnico.

Il CCT va costituito prima dell’avvio dell’esecuzione o comunque non oltre 10 giorni da tale data, oppure entro 30 giorni per i contratti la cui esecuzione sia già iniziata.

Il CCT ha funzioni in materia di sospensione dell’esecuzione dell’opera pubblica (art. 5, D.L. n. 76/2020) e di assistenza per la rapida risoluzione delle controversie o delle dispute tecniche che possono insorgere nel corso dell’esecuzione.

 

  • Articolo 6, comma 2, D.L. n. 76/2020 – I COMPONENTI DEL COLLEGIO CONSULTIVO TECNICO

Il CCT è formato, a scelta della stazione appaltante, da tre componenti, o cinque in caso di motivata complessità dell’opera e di eterogeneità delle professionalità richieste, dotati di esperienza e qualificazione professionale adeguata alla tipologia dell’opera, tra ingegneri, architetti, giuristi ed economisti con comprovata esperienza nel settore degli appalti delle concessioni e degli investimenti pubblici, anche in relazione allo specifico oggetto del contratto e alla specifica conoscenza di metodi e strumenti elettronici quali quelli di modellazione per l’edilizia e le infrastrutture (BIM), maturata per effetto del conseguimento di un dottorato di ricerca, oppure che siano in grado di dimostrare un’esperienza pratica e professionale di almeno dieci anni nel settore di riferimento.

 

  • Articolo 6, comma 3, D.L. n. 76/2020 – LE DECISONI DEL COLLEGIO CONSULTIVO TECNICO

Le determinazioni del CCT di tale collegio hanno la natura del lodo contrattuale previsto dall’articolo 808-ter c.p.c., salva diversa e motivata volontà delle parti.

Inoltre, l’inosservanza delle determinazioni del CCT viene valutata ai fini della responsabilità del soggetto agente per danno erariale e costituisce, salvo prova contraria, grave inadempimento degli obblighi contrattuali; l’osservanza delle determinazioni del CCT è causa di esclusione della responsabilità del soggetto agente per danno erariale, salvo il dolo.

 

COMMENTO – Tale previsione è fonte di forti perplessità in merito alla natura giuridica e alla eventuale impugnabilità delle decisioni del CCT.

Non è chiarito, infatti, se le decisioni del CCT costituiscano lodo stante la presenza dell’esplicito riferimento all’art 808 ter c.p.c. ovvero se abbiano solo la natura di lodo e come tali, pertanto, vincolino comunque le parti. Se, infatti, le determinazioni costituissero lodo irrituale, la decisone del CCT sarebbe impugnabile dinnanzi al Giudice Civile, con l’effetto di dilazionare ulteriormente i tempi delle procedure. 

A nostro avviso, poiché il CCT costituisce un nuovo organo tecnico dotato di competenza qualificata che ha il compito di coadiuvare la stazione appaltante, di accelerare l’esecuzione dei lavori e fornire uno strumento di risoluzione di problematiche, le decisioni del CCT dovrebbero avere unicamente la natura (come prevede la lettera della norma) di lodo, e non costituire lodo: pertanto, non dovrebbero essere autonomamente impugnabili durante la fase di esecuzione dell’affidamento dinnanzi al Giudice Civile per le ipotesi di impugnazione previste per il lodo irrituale, ma eventualmente potrebbero essere censurate in caso di successiva azione civile avente ad oggetto l’esecuzione del contratto.

 

Sul punto l’Anac[8] illustra problemi interpretativi e applicativi in questi termini: “La nuova normativa risulta destinata ad introdurre nel nostro ordinamento uno strumento di risoluzione alternativa delle controversie modellato sulla figura del Dispute Board conosciuto dall’esperienza della contrattualistica internazionale (omissis). Nondimeno la disciplina contenuta nel decreto semplificazioni reca alcuni elementi che portano la disciplina stessa a discostarsi in più punti da questi modelli nazionali e internazionali, a cominciare dalla possibile obbligatorietà dell’impianto dell’organismo in oggetto, venendo a evidenziare conseguentemente significativi motivi di criticità.”.

E ancora sulla forma giuridica e sull’oggetto delle decisioni del CCT, l’Anac[9] prosegue: “quanto alla forma giuridica dell’esercizio delle funzioni, la previsione per la quale le determinazioni del CCT hanno la natura del lodo contrattuale previsto dall’art. 808-ter c.p.c. (seppure fatta salva diversa e motivata volontà espressamente manifestata in forma scritta dalle parti, e tuttavia senza alcuna previsione dei tempi di esercizio dell’opzione e in ogni caso non consentendo al singolo contraente di impedire l’esito effettuale predeterminato dal legislatore) si allontana decisamente anch’essa dalla richiamata esperienza del Dispute Board, ove le determinazioni del Board stesso, vincolanti o meno che siano per le parti, oltre ad essere sempre ricorribili, come essenziale elemento di garanzia per tutti gli interessi in gioco, mediante azione giudiziaria, possono avere valenza propedeutica rispetto al giudizio arbitrale. Da questo punto di vista, inoltre, la diretta riconduzione della funzione del CCT nell’alveo della funzione arbitrale (seppure dell’arbitrato irrituale) presenta evidenti profili di criticità sistemica.”.

Infine, l’Anac[10] conclude: “non sono chiari i rapporti tra il collegio costitutivo tecnico (nella attuale forma obbligatoria) e gli istituti dell’accordo bonario, dell’arbitrato o della transazione, per evitare forme di sovrapposizione.”.

Pertanto, l’articolo 6, comma 3, D.L. n. 76/2020 lascia irrisolte una serie di questioni giuridiche dai risvolti applicativi rilevanti.

 

  • ALTRE DISPOSIZIONI URGENTI
    • Articolo 8, D.L. n. 76/2020

In relazione alle procedure disciplinate dal D.Lgs. n. 50/2016, pendenti oppure avviate a decorrere dal 15 settembre 2020 e fino al 31 dicembre 2021, trovano applicazione una serie di disposizioni previste nell’articolo 8, comma 1, D.L. n. 76/2020:

  1. a) si prevede che è sempre autorizzata la consegna dei lavori in via di urgenza e, nel caso di servizi e forniture, l’esecuzione del contratto in via d’urgenza, nelle more della verifica dei requisiti di cui all’articolo 80 D.Lgs. n. 50/2016, nonché dei requisiti di qualificazione previsti per la partecipazione alla procedura;
  2. b) le stazioni appaltanti possono prevedere, a pena di esclusione dalla procedura, l’obbligo per l’operatore economico di procedere alla visita dei luoghi, nonché alla consultazione sul posto dei documenti di gara e relativi allegati esclusivamente laddove detto adempimento sia strettamente indispensabile in ragione della tipologia, del contenuto o della complessità dell’appalto da affidare;
  3. c) in relazione alle procedure ordinarie, si applicano le riduzioni dei termini procedimentali per ragioni di urgenza previste dalle disposizioni del D.Lgs. n. 50/2016; nella motivazione del provvedimento che dispone la riduzione dei termini non è necessario dar conto delle ragioni di urgenza;
  4. d) le procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture possono essere avviate anche in mancanza di una specifica previsione nei documenti di programmazione già adottati, a condizione che entro 30 giorni decorrenti dal 15 settembre 2020 si provveda ad un aggiornamento in conseguenza degli effetti dell’emergenza COVID 19.

I successivi commi dell’articolo 8, del D. L. n. 76/2020 contengono una serie di previsioni introdotte in un’ottica acceleratoria.

In relazione alle procedure per le quali sia scaduto entro il 22 febbraio 2020 il termine per la presentazione delle offerte, le stazioni appaltanti provvedono all’adozione dell’eventuale provvedimento di aggiudicazione entro la data del 31 dicembre 2020.

Le stazioni appaltanti provvedono entro il 31 dicembre 2020 all’aggiudicazione degli appalti basati su accordi-quadro, che siano efficaci alla data del 17 luglio 2020, ovvero all’esecuzione.

Con riferimento ai lavori in corso di esecuzione alla data del 15 settembre 2020:

  1. a) il direttore dei lavori adotta il SAL (stato di avanzamento dei lavori) delle lavorazioni effettuate fino a quella data entro 15 giorni anche in deroga alle specifiche clausole contrattuali;
  • il certificato di pagamento va emesso contestualmente e comunque entro 5 giorni dall’adozione del SAL;
  • il pagamento viene effettuato entro 15 giorni dall’emissione del certificato di pagamento;
  1. b) sono riconosciuti i maggiori costi derivanti dall’adeguamento e dall’integrazione, da parte del coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione, del piano di sicurezza e coordinamento in attuazione delle misure di contenimento previste per l’emergenza sanitaria da COVID 19;
  2. c) ove il rispetto delle misure di contenimento impedisca, anche solo parzialmente, il regolare svolgimento dei lavori ovvero la regolare esecuzione dei servizi o delle forniture, ciò costituisce causa di forza maggiore ai sensi dell’art. 107, comma 4, D. L.gs. n. 50/2016 in materia di sospensione parziale dell’esecuzione.

 

  • RIEPILOGO DELLE MODIFICHE ED INTEGRAZIONI AL

CODICE CONTRATTI PUBBLICI

L’articolo 8, commi 5 e 6, del D.L. n. 76/2020 reca una serie di modifiche al D.Lgs. n. 50/2016 in tema di:

  • qualificazione delle stazioni appaltanti e centrali di committenza (art. 38 CCP);
  • motivi di esclusione in relazione ad irregolarità relative al pagamento delle imposte e tasse ovvero di contributi previdenziali (art. 80 CCP);
  • livelli delle coperture assicurative contro i rischi professionali richieste dalle stazioni appaltanti (art. 83 CCP);
  • finanza di progetto (art. 183 CCP).

In sede di conversione sono state approvate modifiche in materia di:

  • operatori economici per servizi di architettura e ingegneria (art. 46 CCP);
  • raggruppamenti temporanei e consorzi ordinari (art. 48 CCP);
  • clausole sociali e partecipazione di micro, piccole e medie imprese (art. 36 CCP);
  • forme speciali di partenariato per patrimonio culturale (art. 151 CCP);
  • partenariato pubblico privato per contratti di rendimento energetico e di prestazione energetica – EPC (art. 180 CCP);
  • riferimenti al Terzo settore ai sensi del decreto legislativo n. 117 del 2017 ( 30 e 59 CCP).

L’articolo 8, comma 6-bis, D.L. n. 76/2020, prevede – in considerazione dell’emergenza sanitaria COVID 19 e delle conseguenti esigenze di accelerazione dell’iter autorizzativo di grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale aventi impatto sull’ambiente, sulla città o sull’assetto del territorio – che, sino al 31 dicembre 2023, su richiesta delle amministrazioni aggiudicatrici, le Regioni possano autorizzare la deroga alla procedura di dibattito pubblico, previo parere favorevole della maggioranza delle amministrazioni provinciali e comunali interessate. In tal caso si consente, quindi, alle medesime amministrazioni aggiudicatrici di procedere direttamente agli studi di prefattibilità tecnico economica nonché alle successive fasi progettuali, nel rispetto delle norme del codice dei contratti pubblici. La disposizione prevede tale possibilità di deroga laddove le Regioni ritengano le suddette opere di particolare interesse pubblico e rilevanza sociale.

Ai sensi dell’articolo 8, comma 7, D.L. n. 76/2020 è stato prorogato al 31 dicembre 2021 il termine di sospensione dell’applicazione di talune norme del D.Lgs. n. 50/2016 – disposte dal D.L. n. 32/2019, c.d. “Sblocca cantieri” – concernenti, rispettivamente:

  • il divieto di c.d. “appalto integrato” (art. 59 CCP);
  • selezione dei componenti delle commissioni per la valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico ed economico (art. 77 CCP).

Inoltre, sono state prorogate al 31 dicembre 2021 le disposizioni recanti l’estensione ai settori ordinari della possibilità di inversione procedimentale della verifica dei requisiti prevista attualmente soltanto per i settori speciali (art. 133, comma 8, D.Lgs. n. 50/2016).

Ulteriori modifiche riguardano la disciplina concernente i pareri del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.

 

  • DURC E DOCUMENTO RELATIVO A CONGRUITÀ INCIDENZA DELLA MANODOPERA
    • Articolo 8, comma 10 e 10-bis, D.L. n. 76/2020

Il comma 10 dell’articolo 8 D. L. n. 76/2020 prevede che la proroga della validità dei DURC, già stabilita dalla legislazione vigente per quelli in scadenza tra il 31 gennaio 2020 e il 31 luglio 2020, non sia applicabile quando sia richiesto di produrre il DURC – oppure di dichiararne il possesso o comunque quando sia necessario indicare, dichiarare o autocertificare la regolarità contributiva – ai fini della selezione del contraente o per la stipulazione del contratto relativamente a lavori, servizi o forniture previsti o in qualunque modo disciplinati dal D.L. 76/2020.

Quindi, viene meno l’ultrattività del DURC oltre la data del 31 luglio 2020 e per tale documento vale la normale scadenza. 

Il nuovo comma 10-bis dell’articolo 8, del D.L. n. 76/2020 prevede – per le procedure disciplinate dal Codice dei Contratti Pubblici – che al DURC sia aggiunto il documento relativo alla congruità dell’incidenza della manodopera, con riferimento allo specifico intervento. La disposizione demanda la definizione delle relative modalità di attuazione ad un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottarsi entro sessanta giorni dal 15 settembre 2020.

 

 

Studio Legale DAL PIAZ

[1] Vedi: Anac, Esame e commento degli articoli del decreto-legge 16 luglio 2020, n.76 <<Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale>> in tema di contratti pubblici, trasparenza e anticorruzione, del 4 agosto 2020, p. 5.

[2] Vedi: Formazione IFEL per i Comuni, Decreto semplificazioni Esame delle principali deroghe al codice dei contratti, a cura di Antonio Bertelli del 22.09.2020, Sito della Fondazione IFEL: https://www.fondazioneifel.it/documenti-e-pubblicazioni/item/download/4237_b60b321c4702b6dc76d1362a8f574ac9

[3] Vedi: Anac, Linee Guida n. 4, di attuazione del Decreto Legislativo 18 aprile 2016, n. 50, recanti “Procedure per l’affidamento dei contratti pubblici di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, indagini di mercato e formazione e gestione degli elenchi di operatori economici”, punto 4.3.

[4] V. Anac, op. cit., p. 4.

[5] Articolo 63 D.Lgs. n. 50/2016 – Uso della procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara: “1. Nei casi e nelle circostanze indicati nei seguenti commi, le amministrazioni aggiudicatrici possono aggiudicare appalti pubblici mediante una procedura negoziata senza previa pubblicazione, dandone conto con adeguata motivazione nel primo atto della procedura.

(omissis)

  1. Ove possibile, le amministrazioni aggiudicatrici individuano gli operatori economici da consultare sulla base di informazioni riguardanti le caratteristiche di qualificazione economica e finanziaria e tecniche e professionali desunte dal mercato, nel rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza, rotazione, e selezionano almeno cinque operatori economici, se sussistono in tale numero soggetti idonei. L’amministrazione aggiudicatrice sceglie l’operatore economico che ha offerto le condizioni più vantaggiose, ai sensi dell’articolo 95, previa verifica del possesso dei requisiti di partecipazione previsti per l’affidamento di contratti di uguale importo mediante procedura aperta, ristretta o mediante procedura competitiva con negoziazione.”

[6] V. Anac, op. cit., pp. 8 e 9.

[7] Così, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 24.01.2020 n. 608 e sez. V, 08.08.2019 n. 5628.

[8] V. Anac, op. cit., p. 21.

[9] V. Anac, op. cit., p. 23.

[10] V. Anac, op. cit., p. 24.

Lo Studio Legale DAL PIAZ vince al TAR Piemonte: Sentenza n. 447/2023 in materia di elementi essenziali dell’offerta ed applicabilità del soccorso istruttorio nel Partenariato Pubblico Privato.

DECRETO LEGGE 18 APRILE 2019 N. 32

c.d. “DECRETO SBLOCCA CANTIERI”

 

LIMITE AL SUBAPPALTO DEL 40%:

la Sentenza n. 34 del T.A.R. per la Valle d’Aosta

pubblicata in data 03.08.2020

 

 

Ai sensi dell’art. 1, comma 18 del D.L. n. 32/2019 (convertito in L. n. 55/2019), in deroga alla previsione contenuta nell’art. 105 del Codice dei Contratti Pubblici[1] che fissa il limite del subappalto alla quota del 30% dell’importo complessivo del contratto, fino al 31 dicembre 2020, “il subappalto è indicato dalle stazioni appaltanti nel bando di gara e non può superare la quota del 40 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture”.

 

Con la sentenza n. 34 del 3.8.2020 del T.A.R. per la Valle d’Aosta ha disposto l’annullamento, ai sensi dell’art. 71 della Direttiva n. 2014/24/UE, della lex specialis di gara avente ad oggetto “l’affidamento del servizio di ventiloterapia domiciliare e dispositivi medici cosiddetti “equivalenti” destinato agli assistiti del Sistema Sanitario Regionale della Regione Autonoma Valle d’Aosta affetti da sindrome delle apnee ostruttive del sonno” nella parte in cui prevede, conformemente alla normativa nazionale di cui all’art. 1, comma 18, del c.d. “Decreto Sblocca Cantieri”, l’affidamento in subappalto ad una quota massima del 40% dell’importo complessivo della gara.

Segnatamente, il Collegio, in un contenzioso in cui lo Studio Legale DAL PIAZ assiste IN.VA S.p.a., Società di committenza regionale, riconoscendo il primato e la diretta applicabilità della normativa europea e delle statuizioni risultanti dalle sentenze interpretative della Corte di Giustizia (di cui infra) e citando la recente Sentenza del Consiglio di Stato n. 389 del 16.01.2020, ha affermato la portata escludente della clausola in materia di subappalto e, pertanto, annullato il disciplinare di gara nella parte in cui prevede detta limitazione.

 

Il rapporto tra il diritto europeo e la normativa italiana: la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea

 

Il diritto europeo, ed in particolare la previsione contenuta nell’art. 71 della Direttiva n. 2014/24/UE in materia di appalti pubblici, poiché non contiene limitazioni, per l’appaltatore principale, in ordine alla possibilità di subappaltare a terzi l’esecuzione del contratto di appalto, si pone in netta contrapposizione rispetto a quanto stabilito dal Legislatore italiano prima nell’art. 105 del Codice dei Contratti Pubblici e, da ultimo, nell’art. 1, comma 18, del D.L. 32/2019, c.d. “Decreto Sblocca Cantieri”.

Sul punto, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha più volte affermato che una normativa nazionale non può vietare in modo generale e astratto, senza una valutazione effettuata caso per caso da parte della Stazione Appaltante, il ricorso al subappalto che superi una percentuale fissa del valore complessivo dell’appalto.

In particolare:

Sentenza “Tedeschi S.r.l.” del 27.11.2019, causa C-402/18: il Giudice europeo sottolinea il carattere astratto della previsione nazionale italiana (ex art. 118 del D.Lgs. n. 163/2006 – provvedimento abrogato dal D.Lgs. n. 50/2016), in contrasto con la Direttiva 2004/18/CE (ora abrogata dalla Direttiva 2014/24/UE), nella parte in cui impone un limite al ricorso ai subappaltatori “a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità degli eventuali subappaltatori e il carattere essenziale degli incarichi di cui si tratterebbe”; in ordine al dichiarato intento del Governo italiano di rendere la partecipazione agli appalti pubblici meno appetibile per le organizzazioni criminali e, conseguentemente, tutelare l’ordine pubblico, la Corte di Giustizia considera la suddetta limitazione quantitativa al subappalto eccessiva rispetto a quanto necessario per il raggiungimento dell’obiettivo (pt. nn. 38- 40–45);

Sentenza “Vitali S.p.a.” del 26.09.2019, causa C-63/18: “la normativa nazionale […] vieta in modo generale e astratto il ricorso al subappalto che superi una percentuale fissa dell’appalto pubblico in parola, cosicché tale divieto si applica indipendentemente dal settore economico interessato dall’appalto di cui trattasi, dalla natura dei lavori o dall’identità dei subappaltatori. Inoltre, un siffatto divieto generale non lascia alcuno spazio a una valutazione caso per caso da parte dell’ente aggiudicatore” (pt. n. 40).

 

Alle medesime conclusioni, relativamente al limite del subappalto al 30% (ex art. 105 del Codice dei Contratti Pubblici), il Consiglio di Stato, nella Sentenza n. 389 del 16.01.2020, ha riconosciuto che il limite quantitativo posto “deve ritenersi superato per effetto delle sentenze della Corte di giustizia”.

 

L’immediata applicabilità delle statuizioni contenute nelle sentenze interpretative della Corte di Giustizia

 

Con la Sentenza n. 113/1985[2], la Corte Costituzionale, al fine di garantire uniformità e certezza ai principi del diritto europeo in tutti gli Stati membri, ha statuito l’immediata e necessaria applicazione della disciplina contenuta nelle norme europee e nelle statuizioni risultanti dalle sentenze interpretative della Corte di Giustizia.

Per l’effetto, in presenza di legge ordinaria dello Stato, “non importa se anteriore o successiva”, incompatibile con la normativa europea o con le pronunce del Giudice europeo, è onere delle Autorità nazionali (siano esse giurisdizionali o amministrative) risolvere il contrasto dando prevalenza alle seconde e disapplicando la prima.

Nel caso di specie, come altresì affermato dal T.A.R. per la Valle d’Aosta nella Sentenza n. 34/2020, considerata la primazia del diritto europeo e, specificatamente, della disposizione contenuta nell’art. 71 della Direttiva n. 2014/24/UE, deve essere riconosciuta la possibilità ai singoli operatori economici di “partecipare alle gare d’appalto ricorrendo al subappalto senza limiti quantitativi”[3].

 

ANAC: l’Atto di segnalazione n. 8 del 13 novembre 2019

 

A seguito dei succitati pronunciamenti della Corte di Giustizia europea e la conseguente necessità di adeguare la normativa italiana ai principi europei, l’Autorità Nazionale Anticorruzione ha inviato al Governo ed al Parlamento l’Atto di segnalazione n. 8 del 2019, presentando una proposta di modifica della normativa nazionale in grado di operare una compensazione degli interessi investiti dalla questione in oggetto e fornire alle Stazioni Appaltanti indicazioni normative chiare e concordanti.

In particolare, secondo l’ANAC, il Giudice europeo, con le predette sentenze, non ha inteso offrire agli operatori economici la possibilità di ricorrere al subappalto in via illimitata, bensì ha censurato il limite previsto dal diritto italiano in quanto eccessivo rispetto allo scopo perseguito (tutela degli interessi generali di ordine e sicurezza pubblica)[4].

Per l’effetto, l’ANAC ha proposto l’obbligo per la Stazione appaltante, in caso di imposizione di un limite quantitativo al subappalto, di offrire una adeguata motivazione in ordine alla scelta operata, soprattutto riferendosi allo specifico contesto di gara, al settore economico o merceologico di riferimento, al valore ed alla complessità dell’appalto ed all’eventuale esigenza di non parcellizzare l’appalto stante la necessità di prevenire rischi corruttivi o collusivi.

Inoltre, l’ANAC sostiene la possibilità di imporre ai concorrenti l’individuazione dei futuri appaltatori già in sede di offerta.

*

Dal quadro normativo e giurisprudenziale proposto in materia di subappalto, emerge chiaramente la necessità di un intervento del Legislatore nazionale, che ponga fine al contrasto esistente tra la disciplina europea e quella nazionale e che sia in grado di offrire alle Stazioni appaltanti una norma chiara, precisa e concordante, in grado di scongiurare eventuali contenziosi sul punto.

Quindi, l’esigenza di evitare infiltrazioni nella filiera degli appalti pubblici attraverso il ricorso al subappalto da parte della criminalità organizzata, recentemente ed ulteriormente dibattuta e sostenuta in occasione delle riforme introdotte al Codice dei Contratti Pubblici con il D.L. 16 luglio 2020 n. 76 (Decreto “Semplificazioni”), va salvaguardata mediante prescrizioni di altra natura e non imponendo un limite generale ed inderogabile al subappalto stesso.

Peraltro, sul punto il Legislatore si ostina a non intervenire con le dovute celerità ed attenzione, ingenerando incertezze nell’operato delle Stazioni appaltanti.

 

Studio Legale DAL PIAZ

[1] Ai sensi dell’art. 105, comma 2, del D.Lgs. n. 50/2016, “il subappalto è il contratto con il quale l’appaltatore affida a terzi l’esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto. Costituisce, comunque, subappalto qualsiasi contratto avente ad oggetto attività ovunque espletate che richiedono l’impiego di manodopera, quali le forniture con posa in opera e i noli a caldo, se singolarmente di importo superiore al 2 per cento dell’importo delle prestazioni affidate o di importo superiore a 100.000 euro e qualora l’incidenza del costo della manodopera e del personale sia superiore al 50 per cento dell’importo del contratto da affidare. Fatto salvo quanto previsto dal comma 5, l’eventuale subappalto non può superare la quota del 30 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture. […]. L’affidatario comunica alla stazione appaltante, prima dell’inizio della prestazione, per tutti i sub-contratti che non sono subappalti, stipulati per l’esecuzione dell’appalto, il nome del sub-contraente, l’importo del sub-contratto, l’oggetto del lavoro, servizio o fornitura affidati. Sono, altresì, comunicate alla stazione appaltante eventuali modifiche a tali informazioni avvenute nel corso del sub-contratto. È altresì fatto obbligo di acquisire nuova autorizzazione integrativa qualora l’oggetto del subappalto subisca variazioni e l’importo dello stesso sia incrementato nonché siano variati i requisiti di cui al comma 7.”;

[2] Corte cost., (ud. 19-04-1985) 23-04-1985, n. 113;

[3] T.A.R. per la Valle d’Aosta, Sentenza n. 34/2020, pubblicata in data 03.08.2020, par. 16;

[4] Sentenza “Vitali S.p.a.”, causa C-63/18, pt. nn. 37-38: “[…] la Corte ha già dichiarato che il contrasto al fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici costituisce un obiettivo legittimo che può giustificare una restrizione alle regole fondamentali e ai principi generali del TFUE che si applicano nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici […]. Tuttavia, anche supponendo che una restrizione quantitativa al ricorso al subappalto possa essere considerata idonea a contrastare siffatto fenomeno, una restrizione come quella di cui trattasi nel procedimento principale eccede quanto necessario al raggiungimento di tale obiettivo;

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