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IL NUOVO CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI<br>DECRETO LEGISLATIVO 31 MARZO 2023 N. 36

Dopo soli sette anni dall’entrata in vigore del precedente, con il D.Lgs. n. 36/2023, pubblicato sulla Gazzetta della Repubblica italiana n. 77 del 31 marzo 2023, è stato adottato il nuovo Codice dei Contratti Pubblici.

Secondo il legislatore la riforma trova fondamento sull’esigenza di adeguare la disciplina nazionale al diritto europeo, nonché ai principi espressi dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, interne e sovranazionali, mediante il riordino e la semplificazione della disciplina vigente. Ma, ancora più importante, l’intervento normativo in parola costituisce attuazione degli impegni assunti dal Governo italiano con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che, con specifico riferimento al settore dei contratti pubblici, prevede un processo di riforma suddiviso in due macro-tappe: una prima tappa, attuata in via d’urgenza con il D.L. n. 77/2021, e una seconda tappa da attuare mediante una riforma complessiva del vigente Codice.

Del resto, il previgente Codice risponde ormai a un’impostazione molto distante da quella originaria. Le diverse modifiche apportate hanno determinato difficoltà tanto sul piano interpretativo quanto su quello attuativo, incidendo negativamente sulla velocità dell’azione pubblica, troppo spesso soggetta al sindacato dell’autorità giudiziaria, e sul complessivo mercato di lavori, servizi e forniture.

 

La struttura del Codice

Con i suoi 229 articoli il nuovo Codice si caratterizza per una struttura non molto dissimile dal precedente, nonostante la sensibile riduzione di commi e parole utilizzate. I 38 Allegati, inoltre, si pongono in soluzione di continuità con le direttive europee da attuare, che ne comprendono 47, e sostituiscono gli allegati al vecchio Codice, le diciassette Linee Guida ANAC e circa quindici Regolamenti. Del resto, la stessa Legge Delega n. 78/2022 imponeva il “perseguimento di obiettivi di stretta aderenza alle direttive europee, mediante l’introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione corrispondenti a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse”.

Il nuovo Codice, nel suo complesso, si compone di cinque Libri, a loro volta suddivisi in Parti e Titoli che, rispetto al precedente, sembrano essere caratterizzati da una maggiore sistematicità e organicità dei contenuti. L’entrata in vigore è avvenuta in data 1° aprile 2023, ma con efficacia a partire dal 1° luglio 2023, con conseguente applicazione della disciplina anteriforma agli avvisi o ai bandi pubblicati prima di tale data. È stato inoltre stabilito un periodo transitorio, fino al 31 dicembre 2023,in cui continueranno ad applicarsi alcune disposizioni del D.Lgs. n. 50/2016 e del Decreto “Semplificazioni” n. 76/2020, nonché del Decreto “Semplificazioni-bis” n. 77/2021 per i contratti PNRR e PNC. In particolare, l’efficacia è differita al 1° gennaio 2024 per la parte relativa alla digitalizzazione allo scopo, evidente, di fornire agli operatori economici e, soprattutto, alle Stazioni appaltanti ed agli Enti concedenti un congruo periodo di tempo per adattarsi alle novità introdotte.

I principi

Il Libro I dedica i primi 12 articoli alla codificazione dei principi generali da seguire in materia di Contratti pubblici, allo scopo di garantire la completezza dell’ordinamento giuridico: principi del risultato, della fiducia, dell’accesso al mercato, di buona fede e tutela dell’affidamento,  di solidarietà e sussidiarietà orizzontale, di auto-organizzazione amministrativa, di autonomia contrattuale, di conservazione dell’equilibrio contrattuale, di tassatività delle cause di esclusione e di massima partecipazione, e di applicazione dei contratti collettivi nazionali di settore. I primi tre, per espressa previsione dell’art. 4, hanno una portata generale e costituiscono criteri interpretativi e applicativi fondamentali della materia.

Il principio del risultato previsto dall’art. 1 costituisce “criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto”, oltre che attuazione del generale principio del buon andamento di cui all’art. 97 Cost., e viene agganciato a due principi fondamentali: la concorrenza, che garantisce il conseguimento del miglior risultato possibile; la trasparenza, che è invece funzionale alla massima semplicità e celerità nella corretta applicazione del Codice. Al comma 3 viene poi esplicitato il collegamento funzionale con l’ordinamento europeo, nella parte in cui si afferma che detto principio “è perseguito nell’interesse della comunità e per il raggiungimento degli obiettivi dell’Unione europea”.

Altresì importante è il principio della fiducia “nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione, dei suoi funzionari e degli operatori economici”, che si pone a fondamento dell’attribuzione e dell’esercizio del potere nel settore dei contratti pubblici, favorendo e valorizzando l’iniziativa e l’autonomia decisionale della Pubblica Amministrazione.

Le soglie comunitarie

Dopo aver individuato all’art. 13 l’ambito di applicazione del Codice (contratti di appalto e di concessione), l’art. 14 trascrive nell’ordinamento nazionale quanto già previsto dai Regolamenti Ue del 2021, di immediata applicazione, individuando le soglie di rilevanza europea ed i metodi di calcolo dell’importo stimato degli appalti. In estrema sintesi, le soglie comunitarie rilevanti sono:

  1. Euro 5.382.000 per gli appalti pubblici di lavori e per le concessioni;
  2. Euro 140.000 per gli appalti pubblici di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione aggiudicati dalle Stazioni appaltanti che sono autorità governative centrali;
  3. Euro 215.000 per gli appalti pubblici di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione aggiudicati da Stazioni appaltanti sub-centrali;
  4. Euro 750.000 per gli appalti di servizi sociali e assimilati.

Oltre tali soglie, trova applicazione la disciplina europea.

Il Responsabile Unico del Progetto

L’acronimo RUP indica adesso il Responsabile Unico del Progetto (Art. 15), non più del procedimento, il quale interviene per le fasi di programmazione, progettazione, affidamento e per l’esecuzione di ciascuna procedura soggetta al Codice. È previsto che possa essere nominato tra i dipendenti assunti anche a tempo determinato della Stazione appaltante o dell’Ente concedente e che sia in possesso dei requisiti stabiliti da un apposito allegato al Codice, non chè di competenze professionali adeguate in relazione ai compiti affidatigli, nel rispetto dell’inquadramento contrattuale e delle relative mansioni. L’ufficio del RUP diventa obbligatorio e non può essere rifiutato.

Inoltre, è prevista la possibilità per le Stazioni appaltanti e per gli Enti concedenti di individuare modelli organizzativi che prevedano la nomina di un Responsabile di Procedimento per le fasi di programmazione, progettazione ed esecuzione e per la fase di affidamento. In tali casi, le relative responsabilità sono ripartite in base ai compiti svolti in ciascuna fase, “ferma restando l’unicità della figura del RUP”, il quale è comunque tenuto ad assolvere le funzioni di supervisione, indirizzo, coordinamento e controllo. Infine, ai sensi dell’art. 93, il RUP può far parte della Commissione giudicatrice.

La digitalizzazione

Importanti novità sono state introdotte in tema di digitalizzazione, allo scopo di adeguare le procedure agli standard degli altri paesi europei ed all’evoluzione delle nuove tecnologie. In tale ottica viene delineato un “ecosistema nazionale di approvvigionamento digitale” (Art. 22), i cui pilastri sono: la Banca dati nazionale dei contratti pubblici (Art. 23), il FVOE – Fascicolo Virtuale dell’Operatore Economico (Art. 24), gestiti dall’ANAC, e le piattaforme telematiche di approvvigionamento.

L’accesso agli atti

In linea con lo svolgimento in modalità telematica delle procedure è l’ulteriore novità, di notevole rilevanza, relativa alla digitalizzazione dell’accesso agli atti. In particolare, l’art. 35 afferma l’obbligo per Stazioni appaltanti ed Enti concedenti di assicurare l’accesso con modalità digitali ed individua le ipotesi di differimento e di esclusione. L’art. 36 individua le specifiche procedimentali e processuali in materia: anzitutto, l’offerta dell’aggiudicatario, nonché verbali di gara, atti, dati e informazioni presupposte all’aggiudicazione, vengono resi disponibili a tutti i candidati non definitivamente esclusi mediante la piattaforma digitale utilizzata, contestualmente alla comunicazione digitale dell’aggiudicazione; inoltre, agli operatori collocatisi nei primi cinque posti in graduatoria sono resi reciprocamente disponibili, attraverso la medesima piattaforma, gli atti e le offerte dagli stessi presentate.

Eventuali richieste di oscuramento di dati, informazioni o documenti dovranno essere rese al momento della presentazione dell’offerta. Su queste la Stazione appaltante o l’Ente concedente si pronuncia contestualmente alla comunicazione dell’aggiudicazione dell’offerta risultata aggiudicataria. Avverso tali decisioni può proporsi impugnazione ai sensi dell’art. 116 c.p.a., con ricorso da notificare entro dieci giorni dalla comunicazione digitale dell’aggiudicazione. Le parti intimate possono costituirsi entro dieci giorni dal perfezionamento della notificazione del ricorso. In ogni caso, l’ostensione della documentazione oggetto di controversia non può avvenire prima del decorso del termine di impugnazione(dieci giorni) al fine di non rendere inutile lo strumento impugnatorio.

La progettazione

La progettazione viene limitata a due livelli: progetto di fattibilità tecnico-economica e progetto esecutivo. L’art. 41 individuale finalità della progettazione, di portata generale, oggetto di disciplina puntuale con riferimento alle specifiche tipologie contrattuali. L’impostazione adottata punta l’attenzione non già sul “come” stipulare un contratto pubblico, ma sul “perché” occorra addivenire alla realizzazione dell’opera o all’acquisto di beni e servizi, favorendo una maggiore consapevolezza da parte delle Amministrazioni in ordine a tempi e modi di spendita del denaro pubblico.

Altre novità riguardano la riduzione dei termini per la progettazione, l’istituzione da parte del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici di un comitato speciale appositamente dedicato all’esame di tali progetti edi un meccanismo di superamento del dissenso qualificato nella conferenza di servizi mediante l’approvazione con Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Inoltre, il BIM diventa obbligatorio a partire dal 1° gennaio 2025: da questa data le Stazioni appaltanti e gli Enti concedenti dovranno adottare metodi e strumenti di gestione informativa digitale delle costruzioni per la progettazione e la realizzazione di opere di nuova costruzione e per gli interventi su costruzioni esistenti per importo a base di gara superiore a 1 milione di euro.

L’appalto integrato

L’art. 44, avente ad oggetto la disciplina dell’appalto integrato, costituisce un importante elemento di novità rispetto all’impostazione originaria del vecchio Codice, recependo le tendenze già avviate con il Decreto “Sbloccacantieri”. Viene infatti meno il generale divieto, previsto dal D.Lgs. 50/2016ma di fatto sospeso fino al 30 giugno 2023, di provvedere all’affidamento mediante appalto integrato. Viene inoltre confermata la possibilità, prevista per gli appalti PNRR, di affidare congiuntamente la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori sulla base del progetto di fattibilità tecnico economica. Resta tuttavia esclusa la possibilità di attingere a tale strumento per gli appalti di opere di manutenzione ordinaria.

Gli affidamenti sottosoglia

Con riferimento ai contratti sottosoglia, l’art. 50 recepisce modalità e limiti introdotti dal D.L. n. 76/2020. In particolare, le Stazioni appaltanti procedono all’affidamento diretto, anche senza consultazione di più operatori economici:

  • per lavori di importo inferiore ad Euro 150.000;
  • per servizi e forniture di importo inferiore ad Euro 140.000.

Procedono all’affidamento mediante procedura negoziata senza bando, previa consultazione:

  • di almeno cinque operatori economici per lavori di importo uguale o superiore ad Euro 150.000 ma inferiore ad Euro 1 milione;
  • di almeno dieci operatori economici per lavori di importo pari o superiore ad Euro 1 milione ma inferiore alle soglie di rilevanza euro unitaria;
  • di almeno cinque operatori economici per l’affidamento di servizi e forniture di importo pari o superiore ad Euro 140.000 ed inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria.

Strettamente connesso è l’art. 49 che afferma, riformulandolo, il principio di rotazione già presente nella disciplina precedente, prevedendo il divieto di affidare o aggiudicare un appalto al contraente uscente quando due consecutivi affidamenti abbiano oggetto analogo. È poi prevista la facoltà per la Stazione appaltante di ripartire gli affidamenti in fasce economiche, con applicazione del divieto in relazione a ciascuna fascia. Sono previste poi tre deroghe al divieto suesposto, ed in tal caso è possibile non applicare la rotazione: con riferimento alla struttura del mercato ed alla effettiva assenza di alternative, estendendo la deroga anche al caso di accurata esecuzione del precedente contratto da parte dell’appaltatore; nelle ipotesi di procedura negoziata, quando l’indagine di mercato sia stata effettuata senza porre limiti al numero di operatori economici in possesso dei requisiti richiesti da invitare alla successiva procedura negoziata; per affidamenti diretti di importo inferiore ad Euro 5.000.

Le garanzie provvisorie

L’art. 53 afferma che non è dovuta la garanzia provvisoria nelle procedure di affidamento per i contratti sottosoglia di cui all’art. 50, comma 1. La garanzia è tuttavia richiesta nelle procedure negoziate senza bando qualora, in considerazione della tipologia e della specificità della singola procedura, ricorrano particolari esigenze che la giustifichi. In tali casi, l’ammontare non può superare l’1% dell’importo previsto nell’avviso o nell’invito per il contratto oggetto di affidamento.

La revisione prezzi

Rilevante alla luce degli eventi succedutisi negli ultimi anni è la previsione di cui all’art. 60 che, confermando il disposto di cui all’art. 29 del D.L. n. 4/2022, prevede l’obbligo di inserimento negli atti di gara delle clausole di revisione prezzi, destinate ad attivarsi al verificarsi di particolari condizioni di natura oggettiva che determinano una variazione dei costi dell’affidamento superiore al 5%. In tali ipotesi viene riconosciuto in favore dell’appaltatore l’80% del maggior costo sopportato.

La qualificazione obbligatoria

Importante è l’introduzione dell’obbligo di qualificazione per Stazioni appaltanti e Centrali uniche di committenza. L’art. 63 prevede l’istituzione presso l’ANAC dell’elenco cui queste dovranno essere iscritte per effettuare le procedure di affidamento di servizi e forniture di importo superiore alle soglie previste per gli affidamenti diretti, o per l’affidamento di lavori d’importo superiore ad Euro 500.000. La qualificazione viene conseguita a seguito dell’accertamento del possesso dei requisiti indicati nell’allegato II.4 al Codice, fatte salve le ipotesi di iscrizione di diritto prevista per alcune tipologie di Amministrazioni ed Enti. La qualificazione è basata, inoltre, su tre livelli, cui corrispondono soglie crescenti di procedure espletabili.

Viene confermato l’obbligo di qualificazione per gli operatori economici che intendono partecipare ad appalti di lavori di importo pari o superiore ad Euro 150.000. La relativa attestazione viene rilasciata da organismi di diritto privato autorizzati dall’ANAC. In attesa dell’approvazione di un apposito Regolamento, il sistema di qualificazione è disciplinato dall’allegato II.12 al Codice. L’obbligo di qualificazione è esteso anche agli appalti di servizi e forniture. Il Regolamento dovrà disciplinare il sistema di qualificazione e contenere: la definizione delle tipologie per le quali è possibile una classificazione per valore, la competenza a rilasciare la relativa attestazione, la procedura e le condizioni per la relativa richiesta, il regime sanzionatorio. Fino all’adozione del Regolamento non è efficacie l’allegato II.12, ma le Stazioni appaltanti possono richiedere il possesso di requisiti di capacità economico-finanziaria e di capacità tecnica.

Le cause di esclusione

Gli artt. 94e 95 individuano le cause di esclusione dalla procedura, distinte in automatiche e non automatiche. La nuova disciplina punta ad eliminare gli elementi di incertezza prevedendo che l’esclusione di un operatore economico venga disposta e comunicata dalla Stazione appaltante solo in presenza  di tutte le condizioni previste dalla norma. Inoltre, l’intero art. 98 è dedicato alla qualificazione ed alla determinazione delle ipotesi in cui può ritenersi operativa la causa di esclusione (non automatica) dell’illecito professionale grave. In particolare, si ritiene necessario che l’illecito sia tale da rendere dubbia l’integrità o l’affidabilità dell’operatore economico e si richiede la prova alla Stazione appaltante con mezzi adeguati. Sono quindi indicati dal Codice, in modo tassativo, i gravi illeciti professionali nonché i mezzi adeguati a dimostrare i medesimi. Un’ipotesi particolare è quella prevista dal comma 6, lett. g), in base al quale la Sentenza non irrevocabile di applicazione della pena su richiesta (patteggiamento) di cui all’art. 444 c.p.p. – connessa ai reati espressamente previsti dal comma 3, lett. g), dell’art. 98 (ossia quelli stabiliti dall’art. 94, comma 1, del nuovo Codice quale motivo di esclusione automatica dalla gara) – costituisce mezzo di prova adeguato del grave illecito professionale. Tale previsione determina una grave discrasia con l’obiettivo di deflazione del contenzioso penale perseguito dalla c.d. “Riforma Cartabia” che, riformulando il disposto di cui all’art. 445, comma 1-bis c.p.p., prevede non solo l’inefficacia ma anche l’assoluta irrilevanza probatoria della sentenza di patteggiamento nei giudizi civili, disciplinari, tributari o amministrativi, compreso il giudizio per l’accertamento della responsabilità contabile. Quindi, ai sensi del nuovo Codice, il patteggiamento per uno dei reati previsti dall’art. 94, comma 1 (ma anche il mero decreto con cui è disposto un giudizio penale) costituisce mezzo di prova del grave illecito contrattuale anche se non rappresenta più, per l’ordinamento penale, implicita ammissione di colpevolezza né è più equiparato ad una sentenza di condanna. Tale mancato coordinamento tra le due discipline deve essere immediatamente risolto dal legislatore.

L’esecuzione del contratto

La fase esecutiva è diretta dal RUP, che controlla i livelli di qualità delle prestazioni. Il RUP si avvale del Direttore dell’esecuzione del contratto o del Direttore dei lavori, del Coordinatore in materia di salute e sicurezza e del Collaudatore o del Verificatore della conformità; accerta, inoltre, il corretto ed effettivo svolgimento delle funzioni ad ognuno affidate. Per l’esecuzione dei contratti relativi a lavori, le Stazioni appaltanti nominano prima dell’avvio della procedura per l’affidamento, su proposta del RUP, un Direttore dei lavori, il quale è preposto al controllo tecnico, contabile ed amministrativo dell’intervento, affinché sia garantita l’esecuzione dei lavori a regola d’arte e la conformità al progetto ed al contratto. Nei contratti di importo non superiore ad Euro 1 milione e in assenza di lavori complessi, il Direttore dei lavori in possesso dei requisiti richiesti svolge anche le funzioni di Coordinatore per la sicurezza. Per i contratti aventi ad oggetto servizi e forniture le funzioni e i compiti del Direttore dell’esecuzione sono svolti, di norma, dal RUP. Viene, inoltre, confermata la facoltà per l’appaltatore di richiedere, prima della conclusione del contratto, la sostituzione della cauzione o della garanzia fideiussoria con ritenute di garanzia sugli stati di avanzamento.

Il subappalto

L’art. 119 disciplina l’istituto del subappalto, confermando le recenti modifiche al previgente Codice in ordine alla totale eliminazione dei limiti percentuali. Al comma 2 viene fornita una definizione puntuale dell’istituto, individuando le soglie oltre le quali si considera presente il subappalto; al comma 3 vengono invece elencate le attività che, seppur affidate a terzi, non configurano subappalto. Viene, inoltre, introdotto il subappalto “a cascata” adeguando ulteriormente l’istituto alla normativa ed alla giurisprudenza europea con la previsione di criteri di valutazione discrezionali da parte della Stazione appaltante da esercitarsi caso per caso.

Il Parternariato Pubblico Privato

La disciplina del Partenariato Pubblico Privato (PPP) viene collocata nel Libro IV, rubricato “del partenariato pubblico-privato e delle concessioni”. L’art. 174 definisce il PPP come l’operazione economica in cui ricorrono congiuntamente le seguenti caratteristiche:

  • tra un ente concedente e uno o più operatori economici privati è instaurato un rapporto contrattuale di lungo periodo per raggiungere un risultato di interesse pubblico;
  • la copertura dei fabbisogni finanziari connessi alla realizzazione del progetto proviene in misura significativa da risorse reperite dalla parte privata;
  • alla parte privata spetta il compito di realizzare e gestire il progetto, mentre alla parte pubblica quello di definire gli obiettivi e di verificarne l’attuazione;
  • il rischio operativo è allocato in capo al soggetto privato.

In linea generale, viene semplificato il quadro normativo per rendere più agevole la partecipazione degli investitori istituzionali, vengono previste ulteriori garanzie a favore dei finanziatori dei contratti e confermato il diritto di prelazione per il promotore.

La giustizia amministrativa

Infine, in materia di contenzioso, l’art. 209 riordina e modifica gli artt. 120, 121 e 124 c.p.a., prevedendo l’estensione della cognizione del Giudice alle azioni risarcitorie ed all’azione di rivalsa proposte dalle Stazioni appaltanti. Il CIG andrà indicato in tutti gli atti di parte e in tutti i provvedimenti del Giudice.

Considerazioni finali

Allo stato risulta prematuro ritenere che il nuovo Codice ridurrà i tempi delle procedure e, soprattutto, della realizzazione delle opere pubbliche.  La lunghezza delle procedure è infatti spesso conseguente ai tempi delle fasi di progettazione e di esecuzione dei lavori. Sono diversi i progettisti che già dubitano dell’utilità della riduzione a due dei livelli di progettazione, in quanto il contenuto del nuovo progetto di fattibilità tecnico economica di fatto ingloberà i contenuti dell’omonimo precedente e del defunto progetto definitivo. Peraltro, la riforma è positiva sotto il profilo della chiarezza e della sistematicità dei contenuti del Codice.

 

Studio Legale DAL PIAZ

[1]Così Consiglio di Stato, Sez. V, n. 804/2021.
[2]Secondo il citato orientamento ““[…] il soccorso istruttorio ha come finalità quella di consentire l’integrazione della documentazione già prodotta in gara, ma ritenuta dalla stazione appaltante incompleta o irregolare sotto un profilo formale, e non anche di consentire all’offerente di formare atti in data successiva a quella di scadenza del termine di presentazione delle offerte(Consiglio di Stato, sez. V , 22/10/2018, n. 6005); (…)” (TAR Lazio, Roma, sez. III, 22 settembre 2020, n. 9661); e deve ritenersi escluso il soccorso istruttorio in merito a “carenze strutturali” dell’offerta tecnica, giacché “(…) le rilevate lacune riflettono una carenza essenziale dell’offerta, tale da determinarne incertezza assoluta o indeterminatezza del suo contenuto e, come tali, non sono suscettive né di soccorso istruttorio ai sensi dell’art. 83, comma 9 del decreto legislativo n. 50 del 2016 (cfr. Consiglio di Stato, sez. V , 13/02/2019 , n. 1030) né di un intervento suppletivo del giudice” Così Consiglio di Stato, Sez. III, n. 2003/2022; Consiglio di Stato, Sez. III, 19 agosto 2020 n. 5140.
[3]Così Consiglio di Stato, Sez. V, n. 10325/2022.
[4]Il Consiglio di Stato nell’Ordinanza cautelare n. 688/2023 ritiene che la Bozza di Convenzione “costituisce lo strumento negoziale avente la funzione di prestabilire gli impegni contrattuali reciprocamente assunti dalle parti sulla base del progetto tecnico e del piano economico-finanziario, ai quali è affidata la regolamentazione del rapporto con l’operatore economico in caso di aggiudicazione”

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI, SENTENZA N. 2192 DEL 01.03.2023<br> NUOVO STOP ALLA PROROGA DELLE CONCESSIONI DEMANIALI

Con la recente pronuncia n. 2192 del 01.03.2023, il Consiglio di Stato si è espresso nuovamente sull’annosa questione connessa alla prorogabilità delle concessioni demaniali marittime.

Evoluzione normativa e giurisprudenziale

 Tra i principali obiettivi dell’Unione europea sin dalla sua genesi rientra il buon funzionamento del mercato interno, perseguito per mezzo del principio di concorrenza che ispira e permea l’intero ordinamento europeo.  Primi riferimenti normativi sono collocati nei Trattati fondativi, in particolare agli artt.  49 e 56 TFUE, che vietano le restrizioni alla libertà di stabilimento ed alla libera prestazione dei servizi da parte dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro.

In attuazione di tali principi, è stata adottata la Direttiva Servizi 2006/123/CE (più comunemente conosciuta come “Bolkestein”) che all’art. 12 prevede espressamente: “qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento”.

Sin da subito si sono sviluppati accesi dibattiti circa l’applicabilità di detta disciplina alle concessioni demaniali marittime (e lacuali) italiane. La questione, oggetto di contrapposizioni politiche e di categoria ancor prima che giuridiche, ha portato i diversi legislatori a non assumere posizioni ben definite[1], preferendo postergare il problema mediante proroghe[2] delle concessioni stesse.

Tale immobilismo ha costretto la giurisprudenza, tanto nazionale quanto europea, a farsi carico della questione. Essenziale è stata sul punto la pronuncia della Corte di Giustizia UE del 14 luglio del 2016(c.d. “Promoimpresa”), che ha statuito l’applicabilità della suindicata Direttiva anche alle concessioni demaniali marittime, con conseguente illegittimità della prassi italiana della proroga ex lege, specificando che, in ogni caso, è rimessa al Giudice nazionale la valutazione circa la scarsità della risorsa naturale attribuita in concessione.

Ciononostante, con L. 30 dicembre 2018 n. 145 il legislatore ha inteso prorogare nuovamente la scadenza dei termini delle concessioni portandola al 31 dicembre 2033. Quest’ultimo estremo tentativo di rinvio ha, però, dovuto fare i conti con numerose pronunce giurisprudenziali, tendenzialmente divise tra due orientamenti: quello maggioritario, contrario alla proroga ex lege della durata delle concessioni in quanto rientranti nell’ambito di operatività della Direttiva Bolkestein; quello minoritario, sostenuto principalmente dal TAR Puglia, che invece rivendicava l’inoperatività della medesima per assenza dei presupposti.

Tale contrasto è stato risolto dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che, con le note sentenze nn. 17 e 18 del 09.11.2021, si è definitivamente pronunciata affermando la piena applicabilità della citata Direttiva alle concessioni demaniali marittime, peraltro prevedendo che “al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in esser le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023, fermo restando che, oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto perché in contrasto con le norme dell’ordinamento dell’U.E.”.

DDL “concorrenza” e nuovi sviluppi

Solo dopo l’intervento dell’Adunanza Plenaria il legislatore, in attuazione degli impegni assunti in sede europea, ha adottato la L. 5 agosto 2022 n. 118 quale presupposto per la riforma del sistema di affidamento delle concessioni balneari delle aree demaniali; la Legge(all’art. 4, comma 2)stabilisce che la nuova disciplina delle concessioni demaniali marittime dovrà (a) determinare i criteri omogenei per l’individuazione delle aree suscettibili di affidamento,  prevedere (b) che il rilascio delle concessioni avvenga sulla base di procedure selettive nel rispetto dei princìpi ivi indicati e che (c), in sede di affidamento, venga data adeguata considerazione agli investimenti, al valore aziendale dell’impresa e dei beni materiali e immateriali, alla professionalità acquisita anche da parte di imprese titolari di strutture turistico-ricettive che gestiscono concessioni demaniali, nonché alla valorizzazione dell’ambiente ed alla salvaguardia  del patrimonio culturale; con divieto espresso di proroghe e rinnovi anche automatici.

Successivamente, con la L. 24 febbraio 2023 n. 14, di conversione del c.d. Decreto Milleproroghe, è stata di fatto introdotta una nuova proroga di un anno per (asseritamente) consentire ai Comuni interessati di predisporre le attività necessarie a indire le gare, al contempo intimando gli Enti concedenti a non procedere all’emanazione dei bandi di assegnazione delle concessioni fino all’adozione dei decreti attuativi.

Senonché il Capo dello Stato, già in sede di promulgazione della suddetta Legge delega, ha espresso perplessità e riserve circa la proroga ivi inserita, affermando che “i profili di incompatibilità con il diritto europeo e con decisioni giurisdizionali accrescono l’incertezza del quadro normativo e rendono indispensabili, a breve, ulteriori iniziative di governo e parlamento”.

La sentenza n. 2192/2023 del Consiglio di Stato

A distanza una settimana dalla promulgazione, il Consiglio di Stato ha avuto modo di esprimersi, affermandone l’illegittimità, in merito alla proroga di un anno contenuta nella L. 24 febbraio 2023 n. 14, nell’ambito di un procedimento di impugnazione promosso dall’AGCM per la riforma di una sentenza del TAR Puglia del 2021 concernente alcune concessioni demaniali marittime. In particolare, facendo leva sulle argomentazioni già esposte nelle due citate sentenze dell’Adunanza Plenaria, il Collegio ha affermato che non solo la proroga di cui alla L. 145/2018, “ma anche la nuova norma contenuta nell’art. 10-quater, comma 3, del D.L.29/12/2022, n. 198, conv. in L. 24/2/2023, n. 14, che prevede la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime in essere, si pone in frontale contrasto con la sopra richiamata disciplina di cui all’art. 12 della direttiva n. 2006/123/CE, e va, conseguentemente, disapplicata da qualunque organo dello Stato”.

Muore sul nascere, dunque, il tentativo del governo italiano di avvalersi di nuovi rinvii.

Considerazioni conclusive

Non può certo sottacersi l’evidente problematica connessa all’inadeguatezza delle strutture organizzative comunali che, soprattutto nelle realtà più piccole, difficilmente riusciranno a farsi carico in tempi così brevi di un lavoro così complesso, anche perché rinviato sine die da molto tempo per la sussistenza di evidenti interessi di categoria. La questione avrebbe certo meritato di essere affrontata in tempi meno recenti, con risorse adeguate e mediante il coordinamento dei vari Enti a vario titolo coinvolti. Ciononostante, date tali premesse, non possono che attendersi pazientemente i prossimi sviluppi in merito all’annosa vicenda delle procedure di affidamento delle concessioni demaniali marittime (e lacuali) italiane.

 

Studio Legale DAL PIAZ

[1]Fatta eccezione per l’eliminazione, ad opera della Legge 17 dicembre 2010 n. 217, del c.d. “diritto di insistenza”.
[2]Dapprima, con D.L. 30 dicembre 2009 n. 194 al 31 dicembre 2015; poi con D.L. 18 ottobre 2012 n. 179 al 31 dicembre 2020; infine, con L. 30 dicembre 2018 n. 145 al 31 dicembre 2033;

CONSIGLIO DI STATO – ADUNANZA PLENARIA n. 4 del 24.01.2023<br>L’appellabilità dell’ordinanza resa nel corso del giudizio sull’istanza di accesso documentale ai sensi dell’art. 116, secondo comma, c.p.a.

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si è pronunciata sul quesito posto dal TAR per il Lazio relativo all’appellabilità (o meno) dell’ordinanza resa in materia di accesso agli atti nel corso del giudizio.

Il caso

Con ricorso presentato innanzi al TAR per il Lazio, Sede di Roma, alcuni avvocati appartenenti all’ufficio consulenza legale di CONSOB hanno chiesto l’annullamento della deliberazione con la quale CONSOB aveva approvato il regolamento del personale.

Nell’ambito del giudizio, i ricorrenti hanno proposto istanza ex art. 116, comma 2, c.p.a. chiedendo al Giudice l’annullamento di una nota con la quale CONSOB aveva parzialmente respinto una richiesta di accesso agli atti, ritenendo che si trattasse di documentazione esclusa dal diritto di accesso, ai sensi dell’art. 24, comma 1, lett. c), della L. n. 241/1990.

Con Ordinanza n. 10020 in data 15.07.2022 il TAR ha accolto l’istanza ed ordinato alla CONSOB di consentire l’accesso alla documentazione richiesta.

Avverso tale ordinanza la CONSOB ha presentato ricorso in appello, chiedendo la sospensione degli effetti del provvedimento ed il rigetto della domanda di accesso.

Innanzi al Consiglio di Stato i ricorrenti di primo grado hanno eccepito l’inammissibilità dell’appello sostenendo che l’ordinanza non fosse autonomamente impugnabile poiché avrebbe natura meramente istruttoria.

La Sesta Sezione del Consiglio di Stato ha parzialmente accolto la domanda cautelare[1] e, con separata ordinanza, ha deferito il ricorso all’esame dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, rilevando il contrasto interpretativo in ordine all’appellabilità dell’ordinanza resa sull’accesso agli atti nel corso del giudizio e ponendo il seguente quesito: “se, nei confronti delle ordinanze con le quali il giudice di primo grado si pronuncia separatamente su di un’istanza di accesso proposta ai sensi dell’art. 116, comma 2, c.p.a., sia ammesso l’appello dinanzi al Consiglio di Stato, prima che il giudizio di primo grado sia definito con sentenza”.

Il pronunciamento dell’Adunanza Plenaria

In via preliminare, l’Adunanza Plenaria ha esaminato alcune questioni generali in merito alla disciplina dell’accesso documentale, ai mezzi di impugnazione ed ai mezzi di prova nel processo amministrativo.

L’accesso documentale, ai sensi della L. n. 241/1990, può avere natura procedimentale o autonoma. Nel primo caso la domanda è proposta al fine di consentire la partecipazione dei soggetti interessati al procedimento amministrativo, ai sensi dell’art. 10 della menzionata Legge. Quando invece la domanda è proposta fuori da un procedimento amministrativo, ai sensi degli artt. 22 ss. della L. n. 241/1990, riveste natura autonoma. In questa seconda ipotesi, la conoscenza del documento è strumentale alla tutela di una situazione giuridica e, pertanto, ha finalità difensiva indipendentemente dall’instaurazione di un giudizio.

Il ricorso in materia di accesso agli atti è un rito speciale regolato dall’art. 116 c.p.a.: consiste in un’azione di annullamento del provvedimento espresso o tacito di diniego all’accesso, con richiesta di condanna all’esibizione dei documenti. All’esito il Giudice si pronuncia con una sentenza in forma semplificata, che può essere oggetto di ricorso in appello innanzi al Consiglio di Stato e di azione di ottemperanza in caso di mancata esecuzione.

In merito ai mezzi di impugnazione, le decisioni appellabili espressamente previste dal legislatore sono le sentenze e le ordinanze cautelari adottate dai TAR. Sono altresì “implicitamente” appellabili le decisioni che hanno un contenuto idoneo ad incidere su situazioni giuridiche e suscettibili di passare in giudicato ovvero di risolvere “in contraddittorio tra le parti una specifica controversia[2].

Relativamente ai mezzi istruttori, le parti possono rivolgere richieste istruttorie direttamente al Giudice e senza che queste siano notificate alle altre parti del giudizio, fermo restando che spetta alle parti l’onere di fornire i mezzi di prova che rientrano nella loro disponibilità. Il Giudice può disporre, anche d’ufficio, l’acquisizione di informazioni e documenti utili nella disponibilità della Pubblica Amministrazione, nonché l’ispezione e l’esibizione di documenti in possesso di terzi.

Le ordinanze istruttorie hanno rilevanza solamente all’interno del giudizio nel quale vengono pronunciate, non potendo pregiudicare la decisione della causa e, perciò, non sono autonomamente appellabili. Tali provvedimenti possono unicamente essere revocati o modificati dal medesimo Giudice che li ha adottati.

Successivamente l’Adunanza Plenaria ha esaminato la questione dell’appellabilità dell’ordinanza che ha deciso sull’istanza di accesso pronunciata nel corso del giudizio.

Con riferimento al caso di specie, rileva il disposto del secondo comma dell’art. 116 c.p.a., secondo cui il ricorso in materia di accesso può essere proposto in pendenza del giudizio al quale la richiesta di accesso è connessa, previa notificazione all’Amministrazione ed agli eventuali controinteressati. Su tale istanza il Giudice si pronuncia con ordinanza separata rispetto al giudizio principale oppure con sentenza che definisce il giudizio stesso.

Sull’interpretazione di tale disposizione, ha rilevato il Collegio, si sono formati tre orientamenti.

Secondo la tesi della natura decisoria detta istanza configurerebbe una vera e propria domanda di accesso ed i documenti richiesti potrebbero essere rilasciati anche senza verificarne la pertinenza rispetto al giudizio principale. L’ordinanza pronunciata all’esito avrebbe natura decisoria e, pertanto, sarebbe autonomamente appellabile ed oggetto di esecuzione coattiva.

Secondo la tesi della natura istruttoria sia l’istanza che l’ordinanza avrebbero natura istruttoria e, pertanto, il provvedimento non sarebbe appellabile bensì solo suscettibile di modifica o revoca da parte del Giudice che l’ha adottato; inoltre,  sarebbe necessario un rapporto di strumentalità in senso stretto tra i documenti oggetto dell’accesso ed il giudizio principale.

Secondo la tesi della natura variabile le ordinanze sarebbero da distinguere in base alla loro natura. Avrebbero natura decisoria, e sarebbero appellabili, le ordinanze adottate senza passare al vaglio della pertinenza dei documenti in relazione al giudizio in corso; avrebbero invece natura istruttoria, e non sarebbero appellabili, le ordinanze adottate avendo riguardo alla rilevanza della documentazione ai fini della decisione.

L’Adunanza Plenaria ha ritenuto che debba essere applicata la tesi della natura decisoria sulla base di quattro criteri interpretativi.

Secondo l’interpretazione letterale del dato normativo, il richiamo contenuto nel secondo comma dell’art. 116c.p.a. al “ricorso di cui al comma primo” evidenzia la sostanziale unitarietà dei rimedi. Inoltre, la norma prevede che l’istanza debba essere notificata all’Amministrazione ed ai controinteressati, che potrebbero anche non coincidere con le parti del giudizio: il rispetto delle regole sul contraddittorio è coerente con la logica della natura decisoria dell’ordinanza.

In secondo luogo, applicando un criterio di interpretazione storica, la normativa vigente differisce dalla precedente di cui all’art. 17 della L. n. 15/2015, nella quale l’ordinanza era esplicitamente qualificata come “ordinanza istruttoria”.

Dall’applicazione del criterio di interpretazione sistematica l’Adunanza Plenaria ha rilevato che il codice del processo amministrativo disciplina distintamente la fase dell’istruttoria e l’istanza di accesso agli atti nel corso del giudizio, escludendo quindi che detti istituti possano essere sovrapposti.

Infine, sulla base del criterio di interpretazione conforme a Costituzione, il Collegio ha rilevato la necessità del rispetto del diritto alla difesa dell’Amministrazione e dei controinteressati nel caso in cui il Giudice accolga la richiesta di accesso: solo consentendo l’appellabilità dell’ordinanza è possibile evitare eventuali pregiudizi in termini di diritto alla riservatezza; inoltre, dare valenza decisoria al provvedimento consente all’Amministrazione ed ai controinteressati che non siano parte del giudizio principale di impugnarlo autonomamente.

Tale interpretazione è inoltre rispettosa del principio costituzionale del doppio grado di giudizio poiché consente alle parti di proporre appello avverso provvedimenti di contenuto decisorio.

Il principio di diritto

L’Adunanza Plenaria ha dunque concluso che l’ordinanza relativa all’istanza di accesso ha valore decisorio in quanto incide su situazioni giuridiche diverse rispetto a quelle proposte nel giudizio principale, potendosi assimilare ad un ricorso proposto in via autonoma.

Il Collegio ha precisato che:

  • l’accesso difensivo deve essere “qualificato” dalla circostanza che la documentazione richiesta deve essere strumentale alla difesa innanzi al Giudice amministrativo;
  • il Giudice può sempre pronunciarsi sull’istanza con la sentenza che decide il giudizio in virtù della connessione tra la domanda ed il giudizio in corso.

Pertanto, l’Adunanza Plenaria ha formulato il seguente principio di diritto:

l’ordinanza resa nel corso del processo di primo grado sull’istanza di accesso documentale ai sensi dell’art. 116, secondo comma, cod. proc. amm., è appellabile innanzi al Consiglio di Stato”.

 

Studio Legale DAL PIAZ

[1]Consiglio di Stato, sez. VI, 08.09.2022 n. 4444.
[2]Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria 24.01.1978 n. 1.

Concessioni di beni demaniali – ANAC – Atto di Segnalazione n. 4 del 6 settembre 2022

Con l’Atto di Segnalazione n. 4 del 6 settembre 2022 l’ANAC ha trasmesso osservazioni al Parlamento ed al Governo, a seguito della delega a quest’ultimo contenuta nella L. 5 agosto 2022 n. 118[1], al fine di adottare uno o più decreti legislativi volti a riordinare e  semplificare la  disciplina  in materia di concessioni demaniali marittime, lacuali  e  fluviali  per finalità  turistico-ricreative  e  sportive.

Nell’esercizio dei poteri di cui all’art. 231, comma 3, D.Lgs. n. 50/2016, con l’atto in commento l’ANAC ha formulato segnalazioni e proposte finalizzate alla tutela ed al raggiungimento degli obiettivi di concorrenza, semplificazione e trasparenza in materia di concessione di beni demaniali.

Il quadro normativo in materia di concessioni demaniali marittime

Le concessioni di beni demaniali marittimi rientrano nell’ambito di applicazione del Codice della Navigazione[2] e del relativo regolamento esecutivo[3], delle norme sulla contabilità pubblica e dell’art. 12 della Direttiva n. 123/2006/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio (c.d. Direttiva “Bolkestein”, recepita dal Legislatore nazionale con il D.Lgs. n. 59/2010)[4].

La normativa sovranazionale, in attuazione dell’art. 49 TFUE, regola le procedure di affidamento delle concessioni demaniali marittime per finalità turistiche e ricreative perseguendo l’obiettivo di dare omogeneità alle differenti discipline vigenti negli Stati membri, in ottica di tutela della libertà di circolazione. In particolare, nella Direttiva Bolkestein si definiscono i “regimi di autorizzazioni” (da applicare, per l’appunto, in tutti i Paesi dell’Unione) quali procedure che obbligano “un prestatore o un destinatario a rivolgersi ad un’autorità competente allo scopo di ottenere una decisione formale o una decisione implicita relativa all’accesso ad un’attività di servizio o al suo esercizio”, ricomprendendovi le procedure amministrative per il rilascio di concessioni.

Detti rapporti concessori non sono da considerarsi alla stregua di “mere” concessioni di beni demaniali, bensì costituiscono strumenti attraverso i quali le amministrazioni pubbliche trasferiscono il diritto di utilizzare economicamente in via esclusiva un determinato bene.

Inoltre, l’art. 12 della Direttiva Bolkestein prevede che, qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri, per rilasciare l’autorizzazione, sono tenuti ad adottare una procedura imparziale e trasparente di selezione dei candidati, con il divieto di procedure di rinnovo automatico ovvero di qualsivoglia vantaggio nei confronti del prestatore uscente o di soggetti che con tale prestatore abbiano particolari legami.

Il Legislatore nazionale non ha mai recepito detti principi del diritto europeo, prevedendo proroghe automatiche e generalizzate delle concessioni in argomento fino al 31 dicembre 2033[5].

Con due importanti pronunce[6] l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato è intervenuta ribadendo l’esigenza di allineare la normativa nazionale alle previsioni del citato art. 12 della Direttiva n. 123/2006/CE, dichiarando l’incompatibilità della disciplina nazionale con il diritto europeo e sottolineando la necessità di ricorrere a procedure ad evidenza pubblica per il rilascio delle concessioni demaniali marittime, trattandosi di un “diritto di sfruttare in via esclusiva una risorsa naturale contingentata al fine di svolgere un’attività economica” che incide sull’assetto concorrenziale del mercato e sulla libera circolazione dei servizi.

Poiché detta proroga prevista dal diritto interno si pone in contrasto con una Direttiva self-executing (ovvero la Bolkenstein), l’Adunanza Plenaria ha statuito che il termine fissato al 31 dicembre del 2033 è da considerarsi nullo ed ha contestualmente individuato il limite alla validità delle concessioni in essere alla data del 31 dicembre 2023, al fine di realizzare un passaggio a breve termine pur concedendo del tempo per la nuova organizzazione del sistema.

Le peculiarità delle concessioni di beni demaniali marittimi e la L. n. 118/2022

Le concessioni in questione non sono riconducibili alle concessioni di servizi e di lavori disciplinate dal Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 50/2016), in quanto consistono nell’autorizzazione ad esercitare un’attività economica in un’area demaniale e non vertono su una prestazione di servizi o di lavori affidata da un Ente aggiudicatore. Ne deriva che nel caso di concessioni di beni demaniali marittimi l’operatore ha una maggiore libertà economica nel determinare le condizioni di gestione imprenditoriale e di uso del bene pubblico.

La concessione di beni demaniali marittimi rientra, dunque, tra i contratti “attivi” dell’Amministrazione, al di fuori dell’applicazione del D.Lgs. n. 50/2016 (e della normativa europea che il Codice recepisce).

Nell’atto in commento, l’ANAC ha specificato la sussistenza di una “terza tipologia di concessioni”, che si concretizza qualora alla concessione del bene demaniale si accompagni l’obbligo di svolgere prestazioni di lavori e/o servizi di natura pubblica. In tal caso si tratterebbe invero di un rapporto riconducibile alla concessione c.d. “mista”, disciplinata dal Codice dei contratti pubblici al quinto comma dell’art. 169[7]. In presenza di tali circostanze, specifica l’Autorità, è dunque necessario operare delle valutazioni caso per caso al fine di identificare il rapporto di riferimento e, con esso, la disciplina applicabile.

La L. n. 118/2022, recante disposizioni in materia di tutela della concorrenza, contiene, come anticipato, specifiche disposizioni in merito alle concessioni di beni demaniali.

In particolare, all’art. 2 della medesima è previsto che detti beni vengano mappati e che il Governo si occupi della “costituzione e il coordinamento di un sistema informativo di rilevazione delle concessioni di beni pubblici al fine di promuovere la massima pubblicità e trasparenza, anche in forma sintetica, dei principali dati e delle informazioni relativi a tutti i rapporti concessori, tenendo conto delle esigenze di difesa e sicurezza”. La gestione di dette rilevazioni dovrà essere effettuata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e sarà finalizzata all’identificazione e alla piena conoscibilità dell’ambito soggettivo e oggettivo delle concessioni, per monitorare la proficuità della gestione dei beni ed il perseguimento del pubblico interesse.

Gli artt. 3 e 4 della L. n. 118/2022 recepiscono la normative europea in materia ed in armonia con quanto stabilito dall’Adunanza Plenaria nelle due citate sentenze del 9 novembre 2021, richiedendo che l’affidamento delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per finalità turistico-ricreative avvenga mediante procedure  selettive svolte  con  adeguate  garanzie  di imparzialità, non discriminazione, parità di trattamento, massima partecipazione, trasparenza e pubblicità.

Osservazioni e proposte dell’ANAC

Rilevato che la L. n. 118/2022 non mette (correttamente) in relazione la materia delle concessioni demaniali marittime con il D.Lgs. n. 50/2016, e stante la necessità di indire procedure ad evidenza pubblica per l’assegnazione delle stesse, l’ANAC ha innanzitutto sottolineato come gli obiettivi di derivazione europea che la Legge sulla concorrenza demanda di perseguire sono gli stessi che hanno orientato la formulazione del Codice dei contratti pubblici (nonché la Direttiva 2014/23/UE).

Il D.Lgs. n. 50/2016 deve in ogni caso trovare applicazione, specifica l’ANAC, qualora si tratti dei summenzionati contratti misti di concessioni, ovvero qualora al contratto di concessione del bene pubblico acceda anche una concessione di servizi o lavori pubblici.

L’Autorità ha dato disponibilità ad affiancare il Legislatore, mettendo a disposizione la propria esperienza e proponendosi per la redazione di bandi tipo per la documentazione di gara quali concreti strumenti di semplificazione e standardizzazione, da utilizzare nei casi in cui il Legislatore medesimo demandi lo svolgimento di procedure ad evidenza pubblica.

L’ANAC ha altresì dichiarato di impegnarsi a supportare gli Enti concedenti mediante protocolli di vigilanza collaborativa, offrendo una consulenza specifica alle Amministrazioni sia nell’indizione delle procedure che nella fase di gestione dei successivi contratti.

Detti interventi, secondo l’ANAC, dovrebbero essere mirati a ridurre i rischi corruttivi “tipici del mercato dei contratti pubblici, con ulteriori connotazioni derivanti da un mercato caratterizzato da forti spinte corporative, da un elevato grado di concentrazione e da un quadro normativo finora incomplete”.

In ultimo, l’ANAC si è espressa in tema di trasparenza dei regimi concessori. Il citato art. 2 della L. n. 118/2022 richiede infatti l’istituzione di un registro telematico dei beni pubblici in concessione, che garantisca la piena conoscibilità degli elementi rilevanti del rapporto tra gli Enti ed i concessionari (durata, rinnovi, canone, beneficiari, natura, ente proprietario).

In merito a tale aspetto, l’Autorità sottolinea la necessità di coordinare detta costituenda banca dati con la Banca Dati nazionale dei contratti pubblici nonché con il Portale unico della trasparenza, in via di realizzazione.

Dunque, con l’Atto di Segnalazione n. 4 del 6 settembre 2022 l’ANAC ha “suggerito” al Governo:

  1. di richiamare l’applicazione del Codice dei contratti pubblici alle ipotesi di contratti misti di concessioni;
  2. di prevedere l’emanazione, da parte dell’Autorità, di documenti tipo (non vincolanti) relativi alle procedure di affidamento dei beni demaniali;
  3. di prevedere la possibilità per gli Enti concedenti dei beni demaniali di stipulare con l’ANAC protocolli di vigilanza collaborativa;
  4. di assicurare il coordinamento e l’interoperabilità del registro dei regimi concessori dei beni pubblici con la Banca Dati nazionale dei contratti pubblici e con il Portale unico della trasparenza.

Si resta dunque in attesa di vedere quale approccio adotterà il nuovo Governo, stanti le “spinte” all’evidenza pubblica ed alla trasparenza provenienti dall’Europa, dall’ANAC e dalla giurisprudenza amministrativa e le resistenze delle associazioni di categoria degli attuali concessionari.

 

Studio Legale DAL PIAZ

[1]“Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021”.
[2]R.D. 30 marzo 1942, n. 327.
[3]D.P.R. 12 febbraio 1952, n. 238.
[4]Sul rapporto tra normativa interna ed europea si rinvia all’articolo consultabile al seguente link: https://studiolegaledalpiaz.it/blog/il-problema-delle-proroghe-automatiche-delle-concessioni-demaniali-marittime/
[5]Art. 1, commi 682 e 683, L. n. 145/218.
[6]Sentenze nn. 18 e 19 del 9 novembre 2021.
[7]Ove è previsto che “nel caso di contratti aventi ad oggetto sia elementi disciplinati dal presente codice che altri elementi, le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori possono scegliere di aggiudicare concessioni distinte per le parti distinte o di aggiudicare una concessione unica. Se le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori scelgono di aggiudicare concessioni separate, la decisione che determina quale regime giuridico si applica a ciascuno di tali concessioni distinti è adottata in base alle caratteristiche della parte distinta”.

Danno da mancata aggiudicazione: Regione Liguria condannata al risarcimento. Lo Studio Legale DAL PIAZ vince per Policlinico di Monza S.p.a.

Con la Sentenza n. 746 in data 09.09.2022, pronunciata nel giudizio R.G. n. 1/2022, il TAR per la Liguria ha accolto la domanda di risarcimento danni presentata da Policlinico di Monza S.p.A., assistita dallo Studio Legale DAL PIAZ, contro la Regione Liguria per la mancata aggiudicazione della gara per la concessione della gestione degli ospedali di Albenga e Cairo Montenotte (per un valore complessivo di oltre 410 milioni di euro).

In tale pronuncia il Giudice Amministrativo, confermando l’illegittimità dell’aggiudicazione disposta dalla Regione in favore dell’Istituto Ortopedico Galeazzi, afferma importanti principi in tema di responsabilità della Pubblica Amministrazione.

Il fatto e la vicenda processuale[1]

La procedura, per la concessione della gestione dell’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Albenga e dell’Ospedale San Giuseppe di Cairo Montenotte, è stata indetta dalla Regione Liguria nel 2019.

La gara era stata aggiudicata all’Istituto Ortopedico Galeazzi (Gruppo San Donato) a seguito dell’espletamento del sub-procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta, con uno scarto sul punteggio finale di meno di tre punti tra i due (unici) concorrenti; Policlinico di Monza quindi si era classificata seconda.

Policlinico, con lo Studio Legale DAL PIAZ, aveva presentato un primo ricorso innanzi al TAR per la Liguria per l’annullamento dell’aggiudicazione, lamentando l’errata valutazione dell’offerta anormalmente bassa presentata dal Galeazzi.

Il TAR per la Liguria aveva accolto il ricorso annullando l’aggiudicazione[2], sennonché, nel gennaio del 2020, la Regione aveva nuovamente assegnato la gara al Galeazzi a seguito del rinnovato espletamento della verifica di anomalia dell’offerta: Policlinico, quindi, aveva ancora contestato innanzi al TAR tale affidamento per insostenibilità economica dell’offerta, con riferimento alle sovrastimate previsioni del business plan aggiudicatario.

Anche tale giudizio ed il successivo appello avanti il Consiglio di Stato (nell’ambito del quale è stata anche disposta una consulenza tecnica per verificare il piano economico del Galeazzi che ne ha confermato la grave anomalia) sono stati vinti dalla Policlinico di Monza[3].

Nonostante ben tre pronunce affermassero chiaramente che Policlinico dovesse essere riconosciuta legittima aggiudicataria della concessione, la Regione Liguria non ha mai proceduto in tal senso e, con D.G.R. n. 852 in data 28.09.2021, ha incaricato la Stazione Unica Appaltante Regionale (S.U.A.R.) di procedere alla revoca della gara a seguito della nuova organizzazione “post-pandemica” della sanità regionale (secondo il programma c.d. “Restart”) e di adeguare le strutture sanitarie utilizzando i fondi del P.N.R.R.; la revoca è stata disposta dalla S.U.A.R. nel dicembre del 2021.

Pertanto, con nel giudizio R.G. n. 1/2022 innanzi il TAR per la Liguria, Policlinico ha domandato, oltre all’annullamento della citata D.G.R., il risarcimento del danno derivante dalla mancata aggiudicazione della procedura. 

La Sentenza n. 746/2022 del TAR Liguria 

La Prima Sezione del TAR per la Liguria, con Sentenza n. 746 in data 09.09.2022, ha riconosciuto la legittimità della domanda risarcitoria.

In merito all’annullamento della D.G.R., il TAR ha ritenuto che la Regione potesse legittimamente revocare la procedura in via di autotutela, ai sensi dell’art. 21-quinquies della L. 241/1990, trattandosi di una valutazione di merito non sindacabile in sede di giudizio, e non manifestamente illogica o irrazionale, posto che è stata motivata con riferimento all’esigenza di riorganizzare la rete sanitaria regionale a seguito dell’evento pandemico.

Al riguardo, il Collegio non ha comunque mancato di rilevare la “coincidenza, per quanto effettivamente singolare[4] che la revoca sia stata assunta subito dopo che la Regione ha appreso l’esito sfavorevole della CTU avente ad oggetto l’insostenibilità dell’offerta economica aggiudicataria, disposta dal Consiglio di Stato nel giudizio di appello promosso dalla Regione stessa, nel quale quest’ultima aveva chiesto di confermare l’affidamento al Galeazzi.

Circa l’anomalia dell’offerta aggiudicataria, il TAR ha confermato gli esiti dei precedenti giudizi riconoscendo l’illegittimità dell’operato della Regione Liguria ed affermando, in più passaggi, che “è evidente che, se la stazione appaltante avesse operato legittimamente, nel febbraio 2019 o, al più tardi, nel gennaio 2020 (dopo la rinnovata verifica dell’anomalia dell’offerta), Istituto Ortopedico Galeazzi s.p.a. sarebbe stata estromessa dalla procedura e la gara sarebbe stata aggiudicata a Policlinico di Monza s.p.a., in quanto seconda classificata in graduatoria”.

 

Nella Sentenza è stata definita “palese” la colpa della Regione per aver adottato atti illegittimi, e gli errori commessi dal RUP e dalla Commissione giudicatrice in ogni fase della gara sono stati dichiarati addirittura rimproverabili e non scusabili.

Pertanto, il TAR ha riconosciuto che, a seguito della revoca della procedura, Policlinico ha definitivamente perso qualsiasi possibilità di ottenere l’affidamento e, di conseguenza, ha diritto al risarcimento per il danno derivante dagli atti di aggiudicazione illegittimi emanati dalla Regione. 

La responsabilità dell’Amministrazione non deriva, dunque, dalla revoca della gara bensì dalla mancata aggiudicazione in favore di Policlinico derivante da atti di aggiudicazione illegittimi e reiteratamente emanati.

Relativamente al nesso di causalità sussistente tra le condotte dell’Amministrazione e il danno subito da Policlinico, il Collegio ha specificato che nel giudizio amministrativo, dovendosi accertare il nesso causale applicando lo standard probatorio consistente nella regola della “preponderanza dell’evidenza”, nel caso di specie “deve ritenersi che l’atto di revoca non costituisca un fattore sopravvenuto idoneo ad interrompere il rapporto eziologico tra i provvedimenti viziati annullati dal T.A.R. e l’evento lesivo, consistito nell’omessa aggiudicazione della gara a Policlinico in un momento anteriore alla decisione regionale di mutare la configurazione dell’ospedale cairese per via della sopravvenuta situazione sanitaria”.

Il TAR, ritenuto praticamente certo che se la Regione non avesse affidato illegittimamente la procedura per due volte (prima di revocarla dopo quasi due anni dalla seconda determina di aggiudicazione) Policlinico sarebbe divenuta affidataria, ha quindi dichiarato sussistente detto nesso causale.

Anche il nesso di condizionamento giuridico tra l’evento e le conseguenze dannose risarcibili è stato ritenuto sussistente dal TAR in base ai criteri di cui all’art. 1223 c.c. (richiamato dall’art. 2056 c.c. in materia di responsabilità aquiliana) per cui i danni sono risarcibili qualora siano “conseguenza immediata e diretta dell’illecito”.

In particolare, nella Sentenza viene citato il consolidato orientamento giurisprudenziale[5] che mette in relazione tale formula con la teoria della causalità adeguata, ritenendo che siano ristorabili i danni conseguenza dell’illecito secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit e, pertanto, anche quelli mediati ed indiretti che rientrano nella serie delle conseguenze normali ed ordinarie del fatto.

Il TAR ha affermato che nel caso di specie “è indubitabile che la mancata tempestiva aggiudicazione della concessione del servizio di gestione degli ospedali abbia precluso a Policlinico il conseguimento di un lucro”.

Quindi, secondo il Collegio, la Regione Liguria, mediante l’illegittima duplice aggiudicazione, ha impedito a Policlinico di conseguire il lucro derivante dal rapporto concessorio, posto che anche in caso di successiva revoca della procedura la Società avrebbe comunque potuto gestire le strutture fino al dicembre 2021 e percepire l’indennizzo previsto ex lege in caso di revoca del contratto in corso di esecuzione.

Il Collegio ha quantificato il danno da lucro cessante, comprendente il profitto perso che Policlinico avrebbe ricavato dall’esecuzione del contratto, ed il danno curriculare, avendo la Società subito un pregiudizio anche per il mancato arricchimento della propria storia professionale, con conseguente perdita di competitività in procedure analoghe[6].

La Regione è stata così condannata al risarcimento di oltre 310.000 € a titolo di mancato utile (oltre che al pagamento di interessi legali, spese di lite, imposta e contributo unificato), parametrati dal TAR sul guadagno che Policlinico avrebbe conseguito, quantificato mediante valutazione equitativa ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c., sulla base del piano economico finanziario presentato dalla Società.

 

Studio Legale DAL PIAZ

[1]Per un approfondimento si rinvia all’articolo pubblicato dopo la vittoria al Consiglio di Stato, consultabile al seguente link: https://studiolegaledalpiaz.it/blog/policlinico-di-monza-s-p-a-con-il-patrocinio-dello-studio-legale-dal-piaz-vince-definitivamente-in-consiglio-di-stato-il-contenzioso-relativo-alla-concessione-degli-ospedali-liguri/
[2]TAR per la Liguria, Sez. II, 13.08.2019 n. 688.
[3]TAR per la Liguria, Sez. I, 13.06.2020 n. 371; Consiglio di Stato, Sez. V, 11.10.2021 n. 6820.
[4]Definita dal TAR nel pronunciamento in questione anche come “indubbiamente curiosa”.
[5]Ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 06.03.2018 n. 1457; Cassazione Civile, Sez. II, 09.12.2015 n. 24850; id., 24.04.2012 n. 6474; Cassazione Civile, Sez. III, 04.07.2006 n. 15274.
[6]Ex multis: Consiglio di Stato, Sez. V, 03.03.2021 n. 1803; id., 23.08.2019 n. 5803; Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 12.05.2017 n. 2.

Il Partenariato Pubblico Privato come strumento di attuazione del PNRR

Con l’adozione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) le Amministrazioni Pubbliche hanno assunto il ruolo di protagoniste della ripresa economica per il raggiungimento di uno sviluppo duraturo e sostenibile finalizzato all’ammodernamento del Paese.

Le Amministrazioni quindi sono chiamate ad agire nella maniera più adeguata per il perseguimento degli obiettivi del Piano anche mediante la scelta dei modelli da utilizzare per l’attuazione degli interventi programmati.

Tra gli strumenti a disposizione degli Enti particolare rilevanza strategica riveste il Partenariato Pubblico Privato (PPP), che consente di realizzare forme di cooperazione tra le amministrazioni ed i privati, creando un punto di incontro tra le necessità del pubblico e l’expertise posseduta dagli operatori economici[1].

I vantaggi del Partenariato Pubblico Privato

Il PPP è definito dall’art. 3, comma 1, lett. eee), D. Lgs. n. 50/2016  quale contratto “a titolo oneroso stipulato per iscritto con il quale una o più stazioni appaltanti conferiscono a uno o più operatori economici per un periodo determinato in funzione della durata dell’ammortamento dell’investimento o delle modalità di finanziamento fissate, un complesso di attività consistenti nella realizzazione, trasformazione, manutenzione e gestione operativa di un’opera in cambio della sua disponibilità, o del suo sfruttamento economico, o della fornitura di un servizio connessa all’utilizzo dell’opera stessa, con assunzione di rischio secondo modalità individuate nel contratto, da parte dell’operatore [..]”.

In sintesi, il PPP consente ai privati di proporre alla Pubblica Amministrazione la realizzazione di infrastrutture di interesse pubblico, sostenendone i rischi ed il costo, a fronte della concessione del bene realizzato per un tempo congruo a garantire la sostenibilità economico-finanziaria dell’investimento.

La disciplina che regola l’istituto è rinvenibile agli artt. 180 ss. D. Lgs. n. 50/2016[2], ove il PPP viene delineato sia come strumento di sviluppo della collaborazione orizzontale tra cittadini e istituzioni[3], sia come risposta alla crescente esigenza di ridurre i costi a carico dello Stato e degli Enti locali per la realizzazione delle opere e l’erogazione dei servizi di interesse pubblico, senza tuttavia rinunciare a garantire alti standard di qualità, oltre che il rispetto dei principi dell’evidenza pubblica e di efficienza dell’azione amministrativa.  

Tra i vantaggi per le Amministrazioni Pubbliche che ricorrono al PPP si evidenziano:

  1. l’ampliamento della possibilità di investire in progetti di interesse pubblico senza accollarsi per intero i relativi costi di realizzazione e dunque senza incidere sul bilancio pubblico (considerate le ridotte disponibilità economico-finanziarie di molti Enti);
  2. l’incremento dell’interesse degli operatori privati a partecipare alla realizzazione di opere pubbliche nel ruolo di “partner” degli Enti pubblici procedenti (anziché agire come semplici esecutori di opere già progettate), con la conseguente acquisizione di una più ampia possibilità di proporre progetti di opere innovative ed economicamente sostenibili;
  3. il trasferimento del rischio in capo all’operatore economico, ovvero, come chiarito dall’art. 180, comma 3, D.Lgs. n. 50/2016, l’allocazione al privato “oltre che del rischio di costruzione, anche del rischio di disponibilità o, nei casi di attività redditizia verso l’esterno, del rischio di domanda dei servizi resi, per il periodo di gestione dell’opera[4], secondo le modalità indicate nei relativi contratti;
  4. la più attenta osservanza del c.d. “equilibrio economico-finanziario”, inteso come la contemporanea presenza delle condizioni di convenienza economica (capacità del progetto di creare valore nell’arco dell’efficacia del contratto e di generare un livello di redditività adeguato per il capitale investito) e di sostenibilità finanziaria (capacità del progetto di generare flussi di cassa sufficienti a garantire il rimborso del finanziamento) quali “presupposto per la corretta allocazione dei rischi” (art. 180, comma 6, D. Lgs. n. 50/2016).

Proprio in considerazione di tali vantaggi e della notevole flessibilità che connota le possibili applicazioni dell’istituto, il PPP è stato fortemente promosso dal Legislatore nell’ordinamento giuridico anche al fine di incentivare in maniera crescente il ricorso al capitale privato per la realizzazione di opere di interesse pubblico, anche con parziale investimento degli Enti.

I vantaggi derivanti dall’applicazione del PPP nell’attuazione del PNRR

Le suesposte potenzialità del PPP possono essere ulteriormente valorizzate ricorrendo a tale istituto nell’ambito delle procedure di affidamento degli interventi programmati nel PNRR, consentendo invero alle amministrazioni di perseguire con maggiore efficienza gli obiettivi del Piano mediante la cooperazione con il privato.

Il ruolo dell’operatore economico che progetta, realizza e gestisce l’opera e che quindi porta il suo know how al servizio dell’Amministrazione si rivela innanzitutto prezioso con riferimento ai limiti temporali fissati per la realizzazione degli interventi: il ricorso al PPP può infatti consentire agli Enti di ridurre i tempi necessari per il completamento delle opere, potendo affidare interamente le predette fasi all’operatore privato.

Relativamente alle competenze tecniche e progettuali indispensabili per l’attuazione delle opere programmate, sono indubbi i vantaggi che l’Ente pubblico può acquisire dalla cooperazione con l’operatore economico privato, soggetto dotato di capacità imprenditoriali e che mette a disposizione del pubblico il proprio know how. Il possesso di tali competenze consente invero agli operatori di proporre progetti innovativi, dando alle Pubbliche Amministrazioni la possibilità di attuare interventi con valenza strategica, anche complessi ed innovativi, fruendo delle capacità dei privati.

Dal ricorso al PPP deriva altresì la “garanzia” di una più elevata qualità della progettazione, che diviene prioritaria per il finanziatore privato, successivamente chiamato a gestire l’opera. 

Di rilievo per l’Amministrazione è anche il profilo dell’allocazione dei rischi tra la stessa ed il privato: come illustrato (cfr. nota 4), il PPP consente all’Ente di realizzare le opere di interesse pubblico senza assumere i relativi rischi finanziari e di mercato, posti direttamente a carico dell’operatore economico.

Sotto il profilo economico – finanziario delle operazioni, nell’ambito del PNRR è consentito agli Enti “combinare” i finanziamenti ottenuti con somme provenienti dai privati: invero, l’operatore economico nell’ambito del PPP può farsi carico dei costi per la realizzazione dell’intera opera o di parte di essa. 

Tale (possibile) incremento delle risorse si traduce in una maggiore liquidità nelle “tasche” delle Amministrazioni, con la possibilità per le stesse di sfruttare in maniera ancor più vantaggiosa le risorse del PNRR, considerato che l’esigenza di reperire fonti di finanziamento esterne agli Enti locali è resa sempre più necessaria dall’incremento dei prezzi in conseguenza della guerra in Ucraina, nonché dalla difficoltà di reperimento delle materie prime.

Inoltre, il Piano Economico Finanziario (PEF) che l’operatore economico deve presentare all’Amministrazione, ai sensi dell’art. 183, comma 15, D. Lgs. n. 50/2016, garantisce la sostenibilità dell’equilibrio economico – finanziario dell’offerta e la remuneratività dell’operazione per il periodo di durata del rapporto pubblico – privato.

Dunque, l’istituto del PPP consente di valorizzare le capacità negoziali del soggetto pubblico, che dal tradizionale ruolo di acquirente di prestazioni diventa ora attore che interagisce con il privato per l’individuazione del modello più vantaggioso per il raggiungimento degli obiettivi del PNRR, ferma restando la pubblicità e la tutela della concorrenza nella scelta del partner privato garantita dal ricorso alle procedure ad evidenza pubblica, nel rispetto del D.Lgs. n. 50/2016.

 

Studio Legale DAL PIAZ

[1]LIn particolare si segnalano i bandi PNRR aventi ad oggetto: rigenerazione urbana e social housing, digitalizzazione, sanità, infrastrutture del trasporto urbano, efficientamento energetico, transizione ecologica, mobilità sostenibile, cultura ed istruzione, infrastrutture di ricerca scientifica universitaria, adeguamento sismico e attrezzature tecnologiche; detti interventi sono infatti difficilmente realizzabili tramite il solo investimento pubblico.
[2]In recepimento della Direttiva 2014/23/UE del 26.02.2014.
[3]
In applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, comma 4, Cost..
[4]Si tratta del c.d. «rischio di costruzione» inteso come il rischio legato al ritardo nei tempi di consegna, al non rispetto degli standard di progetto, all’aumento dei costi, ad inconvenienti di tipo tecnico nell’opera ed al mancato completamento dell’opera; del «rischio di disponibilità», inteso come rischio legato all’incapacità del concessionario di erogare le prestazioni contrattuali pattuite, sia per volume che per standard di qualità previsti; del «rischio di domanda», ovvero del rischio legato ai diversi volumi di domanda del servizio che il concessionario deve soddisfare, ovvero il rischio legato alla mancanza di utenza e quindi di flussi di cassa.

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