Giugno 13, 2023

IL NUOVO CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI: QUALI ASPETTATIVE? Seminario del 5 giugno 2023

by sasti in News

Il 5 giugno, presso la “Sala Grande” del Circolo dei Lettori di Torino, si è tenuto il seminario (in presenza e webinar)sul nuovo Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 36/2023) organizzato dallo Studio Legale DAL PIAZ.

Il D.Lgs. 36/2023, redatto in attuazione dell’articolo 1 della L. 78/2022 recante la delega al Governo in materia di contratti pubblici e nel rispetto degli obiettivi fissati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), è stato pubblicato il 31 marzo 2023, entrato in vigore il 1 aprile 2023, efficace a partire dal 1 luglio 2023.

L’art. 225 del Codice prevede una disciplina transitoria durante la quale alcune disposizioni del previgente Codice dei contratti pubblici e del D.L. 77/2021 continueranno a trovare applicazione.

Il nuovo Codice, che contiene un numero di articoli pressoché analogo a quello precedente riducendone però i commi ed una serie di numerosi Allegati, è suddiviso in cinque libri: i principi generali e la digitalizzazione (Libro I), le procedure di affidamento (Libro II) e la disciplina dei settori speciali (Libro III), il Partenariato Pubblico Privato e le concessioni (Libro IV), i rimedi e la autoesecutività (Libro V).

Nel corso del seminario sono stati esaminati alcuni tra i più importanti aspetti innovativi del D.Lgs.36/2023: di alcuni di questi si tratta nel presente articolo.

1. I principi: l’art. 11

La prima e principale nota distintiva del nuovo Codice è costituita dall’enunciazione di numerosi principi generali, indicati nei primi undici articoli, tra i quali uno di particolare interesse è quello previsto dall’art. 11, inerente all’applicazione dei contratti collettivi nazionali di settore, alle inadempienze contributive e dal ritardo nei pagamenti.

La norma, in sintesi, impone che al personale impiegato nell’esecuzione del contratto dev’essere applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore merceologico di riferimento e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro. Inoltre, è previsto che siano le Stazioni Appaltanti e gli enti concedenti ad indicare, nei bandi di gara e negli inviti alle altre procedure, il contratto collettivo applicabile al personale dipendente impiegato nell’appalto o nella concessione, fatta salva la possibilità per gli operatori economici di indicare nella propria offerta il differente contratto collettivo da
essi applicato: in tale ultima ipotesi, però, è necessario che il diverso contratto collettivo indicato dall’operatore economico garantisca ai dipendenti le medesime tutele apprestate da quello indicato dalla Stazione Appaltante o dall’ente concedente.

In merito a tale ultima previsione, tuttavia, si deve sottolineare che la realtà aziendale del Paese è caratterizzata dalla frammentazione e dalla eterogeneità dei contratti collettivi applicati anche da una stessa azienda nei confronti dei propri dipendenti, soprattutto nel settore dei servizi, che possono prevedere tutele diversificate per i lavoratori.

In tale contesto, dunque, si profilano possibili criticità in merito alla portata applicativa del menzionato art. 11, qualora un operatore economico dovesse dichiarare di applicare un C.C.N.L. diverso da quello individuato dalla Stazione Appaltante: in primo luogo, infatti, non è da sottovalutare la possibilità che le Stazioni Appaltanti siano prive di figure in possesso di specifiche competenze per valutare l’effettiva equivalenza delle tutele apprestate dal C.C.N.L. applicato dall’operatore economico rispetto a quello individuato negli atti della procedura.

Altresì, complice anche il silenzio normativo sul punto, non è possibile comprendere le conseguenze derivanti da un eventuale giudizio di non equivalenza espresso dalla Stazione Appaltante: il Codice, infatti, non precisa se in tale ipotesi debba procedersi con l’esclusione del concorrente dalla procedura ovvero se operi un’automatica sostituzione del C.C.N.L. indicato dall’operatore economico con quello individuato dalla Stazione Appaltante, al fine di garantire la più ampia partecipazione dei concorrenti.

Qualora, invece, l’operatore economico ometta di dichiarare il C.C.N.L. che intende applicare anche a seguito di specifica richiesta, effettuata “in soccorso” dalla Stazione Appaltante, si profilerebbe un motivo di esclusione dalla gara (sebbene non espressamente previsto nella norma) di tale operatore.

Dunque, l’applicazione di tale disciplina potrebbe comportare notevoli problematicità e condurre ad una proliferazione del contenzioso, con l’effetto di allungare i tempi per l’aggiudicazione e l’esecuzione dei contratti pubblici, vanificando l’obiettivo perseguito dall’intera disciplina del nuovo Codice di velocizzare l’aggiudicazione e l’esecuzione dei contratti.

2. La qualificazione delle Stazioni Appaltanti: artt. 62 e 63

Ulteriore tematica di particolare interesse del nuovo Codice dei contratti pubblici attiene alla qualificazione delle Stazioni Appaltanti, disciplinata agli artt. 62 e 63 del D.Lgs. 36/2023.

Nella previgente disciplina codicistica il sistema della qualificazione era già previsto ma non ha mai trovato effettiva applicazione; inoltre, è stato sospeso a seguito dell’entrata in vigore della L. 55/2019 (cosiddetta “Sblocca cantieri”).

Tuttavia, in continuità con quanto delineato nel PNRR, al Legislatore è stato espressamente richiesto di ridefinire e rafforzare il sistema della qualificazione delle Stazioni Appaltanti, il quale, infatti, è stato semplificato e reso più accessibile in linea con quanto già previsto con le Linee Guida dell’A.N.A.C. del settembre 2022, recepite nell’art. 1 dell’Allegato II.4 al Codice.

La ratio sottesa alla qualificazione delle Stazioni Appaltanti, relativa alla capacità di gestire le attività che caratterizzano il processo di acquisizione di un bene, di un servizio o di un lavoro, è quella di ridurre il numero di Stazioni Appaltanti stesse (ossia, ridurre la frammentazione della domanda) e, al contempo, garantirne la professionalizzazione.

Con lo scopo di rendere già effettivo il sistema di qualificazione alla data del 1 luglio 2023, l’A.N.A.C. ha previsto la possibilità di presentare le domande di qualificazione a partire dal 1 giugno 2023, cui potranno procedere tutte le Stazioni Appaltanti ovvero qualsiasi soggetto, pubblico o privato, che affida contratti di appalto di lavori, servizi e forniture e che, comunque, è tenuto al rispetto del Codice nella scelta del contraente.

All’art. 62 il Codice fissa le soglie entro le quali non è indispensabile il possesso della qualificazione da parte delle Stazioni Appaltanti (entro 140.000 euro per i contratti di forniture e servizi, entro 500.000 euro per quelli di lavori): in caso di procedure di importo superiore, le Stazioni Appaltanti non qualificate possono alternativamente procedere ad acquistare forniture, servizi e lavori affidandosi ad una centrale di committenza qualificata ovvero ricorrere per attività di committenza ausiliaria, affidando la gestione della procedura di gara, in nome e per conto dell’ente affidante, ad una centrale di committenza o ad Stazione Appaltante una qualificata.

La nuova disciplina codicistica, integrata anche con le indicazioni fornite dall’A.N.A.C., ha previsto altresì un sistema di qualificazione per la fase di esecuzione dei contratti che, secondo la timeline stabilita dall’Autorità, troverà piena applicazione a partire dal 1 gennaio 2025: in  particolare, fino al 31 dicembre 2024 le Stazioni Appaltanti e le centrali di committenza già qualificate per la progettazione e per l’affidamento di lavori, di servizi e forniture o di entrambe le tipologie contrattuali sono qualificate anche per l’esecuzione per livelli superiori a quelli della qualifica per la progettazione.

Dopo tale ultima data  la possibilità di eseguire il contratto per i livelli superiori a quelli di qualifica è valutata sulla base dei seguenti requisiti, relativamente ai contratti eseguiti nel quinquennio precedente la domanda di qualificazione: i) rispetto dei tempi previsti per i pagamenti di imprese e fornitori; ii) assolvimento degli obblighi di comunicazione dei dati sui contratti pubblici che alimentano le banche dati detenute o gestite dall’A.N.A.C.; iii) assolvimento degli obblighi di monitoraggio sullo stato di attuazione delle opere pubbliche e di verifica dell’utilizzo dei finanziamenti nei tempi previsti (di cui agli articoli 1 e 2 del D.Lgs. 229/ 2011).

Per le Stazioni Appaltanti non qualificate per la progettazione e l’affidamento di lavori, di servizi e forniture o di entrambe le tipologie contrattuali, invece, è previsto che fino al 31 dicembre 2024, possono eseguire i relativi contratti alle seguenti condizioni: i) iscrizione presso l’Anagrafe Unica delle Stazioni Appaltanti (A.U.S.A.); ii) possesso di una figura tecnica in grado di svolgere le funzioni di R.U.P.. Dopo il 31 dicembre 2024, la possibilità di eseguire il contratto è valutata sulla base dei seguenti requisiti: i) presenza nella struttura organizzativa di dipendenti aventi specifiche competenze in materia di contratti pubblici e di sistemi digitali; ii) sistema di formazione e aggiornamento del personale; iii) contratti eseguiti nel quinquennio precedente la domanda di qualificazione; iv) rispetto dei tempi previsti per i pagamenti di imprese e fornitori; v) assolvimento degli obblighi di comunicazione dei dati sui contratti pubblici che alimentano le banche dati detenute o gestite dall’A.N.A.C.; vi) assolvimento degli obblighi di monitoraggio (D.Lgs. 229/2011).

3. L’appalto integrato: art. 44

Altro punto di rottura dell’attuale Codice dei contratti pubblici rispetto alla previgente disciplina è rappresentato dall’ammissibilità dell’appalto integrato, ossia l’affidamento unitario della progettazione e dell’esecuzione dei lavori ad un medesimo operatore economico.

Infatti, l’originaria formulazione dell’art. 59 D.Lgs. 50/2016 vietava l’appalto integrato, tranne nelle ipotesi di affidamenti a contraente generale, con finanza di progetto, in concessione, in Partenariato Pubblico Privato (PPP), con contratto di disponibilità o locazione finanziaria ed in caso di realizzazione di opere di urbanizzazione a scomputo.

Tuttavia, nel corso degli anni, tale istituto a carattere residuale ha trovato maggiori possibilità applicative: il D.Lgs. 56/2017 ha consentito l’espletamento dell’appalto integrato nei casi in cui l’elemento tecnologico o innovativo delle opere oggetto di affidamento fosse «nettamente prevalente rispetto all’importo complessivo». Successivamente, il D.L. 32/2019 ha sospeso il divieto di ricorso all’appalto integrato fino alla data del 30 giugno 2023 al fine di rilanciare gli investimenti pubblici e facilitare l’apertura dei cantieri per la realizzazione delle opere pubbliche.

Da ultimo, l’art. 48, comma 5, D.L. 77/2021 (cosiddetto “Semplificazioni bis”), in riferimento agli appalti di lavori finanziati con i fondi del PNRR e del Piano Nazionale per gli Investimenti Complementari (PNC), ha disposto la possibilità di bandire un appalto integrato di progettazione ed esecuzione di lavori ponendo a base di gara il Progetto di Fattibilità Tecnica ed Economica (PFTE).

Sulla scorta, in particolare, di tale ultimo intervento normativo, l’art. 44 del nuovo Codice dei contratti consente alla Stazione Appaltante e all’ente concedente, se qualificati, di stabilire che il contratto abbia per oggetto la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori sulla base di un PFTE approvato, ad esclusione delle opere di manutenzione ordinaria.

Ad ogni modo, seppur liberalizzato, la normativa codicistica impone alla Stazione Appaltante e dall’ente concedente da un lato di motivare adeguatamente la scelta di ricorrere all’appalto integrato, con specifico riferimento alle esigenze tecniche, e dall’altro di tener conto del rischio di variazione di costo tra quanto preventivato e la fase esecutiva.

Il Codice prevede altresì che, per tale tipologia di appalto, gli operatori economici, la cui offerta è valutata con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (O.E.P.V.) individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo ed indicante il corrispettivo richiesto per la progettazione e per l’esecuzione dei lavori, devono alternativamente: i) possedere i requisiti prescritti per i progettisti; ii) avvalersi di progettisti qualificati da indicare nell’offerta; iii) partecipare in raggruppamento con soggetti qualificati per la progettazione.

4. Il subappalto: art. 119

Da ultimo, si evidenzia che il nuovo Codice, in continuità anche con la recente normativa emergenziale, ha eliminato il previgente divieto di subappalto “a cascata”, introducendo una disciplina più flessibile e volta ad aumentare la discrezionalità delle Pubbliche Amministrazioni.

Anche tale istituto è stato oggetto di una normativa stratificata, la quale ha subito numerose interpolazioni finalizzate ad uniformare le norme in materia alle Direttive nn. 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio.

Infatti, con il D.L. 77/2021 il Legislatore era intervenuto a modificare la previgente disciplina del subappaltoex art.105 D.Lgs. 50/2016, recependo le prescrizioni introdotte dalla Legge europea n. 2019/20, a seguito anche dell’apertura di una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia(n. 2018/2273), oltre che delle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea 26 settembre 2019 n. 63 (causa C-63/18) e 2 novembre 2019 n. 402 (causa C-402/18).

In particolare, gli organi europei avevano evidenziato che la disciplina nazionale in subiectamateria, vietando il subappalto del subappalto, imponeva ingiustificateed ulteriori limitazioni rispetto a quelle previste a livello europeo ed era contraria ai principi di parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità.

Pertanto, nel tentativo di armonizzare ulteriormente tale istituto, riprendendo con alcune modificazioni il previgente art. 105 D.Lgs. 50/2016,l’art. 119 del nuovo Codice prevede che sia la Stazione Appaltante ad individuare la categoria di lavori o le prestazioni che, sebbene subappaltabili, non possono formare oggetto di ulteriore subappalto: spetta alla singola Stazione Appaltante, dunque, individuare a contrario i casi in cui non è ammesso il subappalto “a cascata”, tenuto conto della natura e della complessità delle lavorazioni, al fine di rafforzare i controlli sui cantieri, sui luoghi di lavoro e di tutelare i lavoratori, oltre che di prevenire le infiltrazioni criminali.

Resta fermo, tuttavia, il divieto di affidare a terzi l’integrale esecuzione delle prestazioni o delle lavorazioni oggetto del contratto di appalto, nonché la prevalente esecuzione delle lavorazioni relative alle categorie prevalenti e dei contratti ad alta intensità di manodopera.

Altresì, in ossequio agli approdi di giurisprudenza e dottrina maggioritari, il comma 3 del citato art. 119 dispone che tra le attività che non si configurano come subappalto vi sono le prestazioni o attività secondarie, accessorie o sussidiarie, rese da lavoratori autonomi o in forza di contratti continuativi di cooperazione.

Tuttavia, l’ammissione del subappalto “a cascata” desta alcune perplessità derivanti dalla mancanza, oltre che dell’esplicito rinvio alle norme proprie sul subappalto, di una disciplina specifica di tali tipi di affidamenti: in sostanza, non è stata prevista una disciplina operativa da affiancare alle norme di principio, idonea ad inquadrare specificamente i procedimenti da seguire per autorizzare e per monitorare le esecuzioni così affidate, posto che eventuali illeciti e/o irregolarità del subappaltatore e del “subappaltatore del subappaltatore” (e così via…)coinvolgono direttamente la posizione dell’appaltatore principale.

5.Le riserve: art. 115

Nel Codice viene (finalmente) regolamentato l’istituto delle riserve apposte dall’operatore economico durante la fase di esecuzione del contratto, già oggetto di specifica disciplina nel D.P.R. 207/2010 (abrogato a seguito dell’entrata in vigore del previgente Codice D.Lgs. 50/2016)e nel D.M.49/2018 (al cui art. 9 era solamente previsto che: “Il direttore dei lavori, per la gestione delle contestazioni su aspetti tecnici e delle riserve, si attiene alla relativa disciplina prevista dalla stazione appaltante e riportata nel capitolato d’appalto”).

L’iscrizione delle riserve è finalizzata ad assicurare alla Stazione Appaltante, durante l’intera fase di esecuzione del contratto, il continuo ed efficace controllo della spesa pubblica, la tempestiva conoscenza e valutazione, sulla base delle risultanze contenute nel registro di contabilità, delle eventuali pretese economiche avanzate dall’appaltatore e l’adozione di ogni misura e iniziativa volte a evitare che i fondi impegnati si rivelino insufficienti.

Come già nella disciplina di cui al D.P.R. 207/2010, le riserve devono essere iscritte a pena di decadenza sul primo atto dell’appalto idoneo a riceverle successivo all’insorgenza o alla cessazione del fatto che ha determinato il pregiudizio dell’esecutore, nonchè nel registro di contabilità all’atto della firma immediatamente successiva al verificarsi o al cessare del fatto pregiudizievole; inoltre, le riserve devono indicare con precisione le ragioni sulle quali si fondano e la precisa quantificazione delle somme che l’esecutore ritiene gli siano dovute e, qualora non vengano confermate sul conto finale dei lavori, si intendono rinunciate da parte dell’operatore economico.

La revisione prezzi: art. 60

Il nuovo Codice, all’art. 60, conferma l’obbligo, già previsto dall’art. 29 del D.L. 4/2022, di inserimento delle clausole di revisione prezzi negli atti di gara. Tali clausole non possono apportare modifiche che alterino la natura generale del contratto, si attivano al verificarsi di particolari condizioni di natura oggettiva che determinano una variazione del costo dell’opera, della fornitura o del servizio, in aumento o in diminuzione, superiore al 5% dell’importo complessivo, ed operano nella misura dell’80% della variazione stessa in relazione alle prestazioni da eseguire.

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