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I NUOVI REGIMI CONCESSORI NEL “DDL CONCORRENZA”

Nella Seduta di lunedì 30 maggio 2022 il Senato ha approvato in prima lettura il Disegno di Legge “Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021” (cd. DDL Concorrenza) che dà attuazione agli impegni del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Se le novità non possono ancora ritenersi definitive allo stato attuale (dovendo passare ancora all’esame della Camera prima della loro definitiva approvazione), appare sin da subito innegabile la rilevanza strategica del nuovo DDL che, in linea con le disposizioni vigenti a livello europeo e con le indicazioni discendenti dal PNRR, sottende una nuova ‘visione’ di economia di mercato, in cui il valore della concorrenza è coniugato con obiettivi di politica sociale, giustizia sociale, tutela dell’ambiente, sicurezza e salute dei cittadini.

La ratio che ispira le diverse disposizioni sui regimi concessori (Capo II del DDL) è da ricercarsi nel contrasto alla formazione di monopoli naturali nella gestione di beni e servizi pubblici e, più in generale, nella rimozione di ogni forma di barriera all’entrata nei relativi mercati. Il principio che anima il progetto riformatore è stato rinvenuto nell’affermazione, attribuita a Luigi Einaudi, secondo cui “La legge non è strumento di formazione di monopoli economici”.

In tale logica devono essere valutati gli effetti economici del provvedimento di concessione che, nella misura in cui si traduce nell’attribuzione del diritto di sfruttare in via esclusiva una risorsa naturale contingentata al fine di svolgere un’attività economica, diventa una fattispecie che procura al titolare vantaggi economicamente rilevanti in grado di incidere sensibilmente sull’assetto concorrenziale del mercato e sulla libera circolazione dei servizi.

Alla luce di tali considerazioni, appare significativa l’introduzione, prevista sin dall’articolo 2, di un sistema informativo di rilevazione delle concessioni di beni pubblici al fine di promuovere la massima pubblicità e trasparenza dei principali dati e informazioni relativi a tutti i rapporti concessori. In particolare, costituiranno oggetto di rilevazione gli atti, i contratti e le convenzioni che comportano l’attribuzione a soggetti privati o pubblici dell’utilizzo in via esclusiva del bene pubblico, con previsione della piena conoscibilità della durata, dei rinnovi in favore del medesimo concessionario o di una società dallo stesso controllata o ad esso collegata, dei beneficiari e della natura della concessione, dell’ente proprietario, nonché di ogni altro dato utile al fine di verificare la proficuità dell’utilizzo economico del bene in una prospettiva di tutela e valorizzazione del bene stesso nell’interesse pubblico.

1. Concessioni Demaniali Marittime

Il primo regime concessorio disciplinato dal DDL è rappresentato dalle Concessioni Demaniali Marittime con finalità turistico-ricreative e sportive (articoli 3 e 4). Le nuove disposizioni in materia recepiscono le indicazioni contenute nelle sentenze dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nn. 17 e 18 del 2021, con le quali è stato ‘definitivamente’ affermato che il diritto dell’Unione Europea impone che il rilascio o il rinnovo delle Concessioni Demaniali Marittime avvenga all’esito di una procedura ad evidenza pubblica, con conseguente incompatibilità, sia rispetto all’articolo 12 della Direttiva Servizi 2006/123/CE sia rispetto all’articolo 49 TFUE, della disciplina nazionale che prevedeva la proroga automatica ex lege fino al 31 dicembre 2033 delle concessioni in essere.

In quell’occasione, l’Adunanza Plenaria ha ritenuto di modulare gli effetti della propria decisione, individuando nel 31 dicembre 2023 il termine entro il quale le concessioni avrebbero dovuto conformarsi all’obbligo di gara (auspicando l’intervento di una normativa in materia). Coerentemente, l’articolo 3 del DDL dispone che le Concessioni Demaniali Marittime, Lacuali e Fluviali per l’esercizio di attività turistico-ricreative e sportive, nonché i rapporti aventi ad oggetto la gestione di strutture turistico-ricreative e sportive ricadenti nel demanio marittimo per effetto di provvedimenti successivi all’inizio dell’utilizzazione, continuino ad avere efficacia fino al 31 dicembre 2023.

Al terzo comma dell’articolo 3 è prevista una deroga in presenza di ragioni oggettive che impediscano la conclusione della procedura selettiva entro il 31 dicembre 2023connesse, a titolo esemplificativo, alla pendenza di un contenzioso o a difficoltà oggettive legate all’espletamento della procedura stessa. In tali casi, l’autorità competente, con atto motivato, può differire il termine di scadenza della concessione in essere per il tempo strettamente necessario alla conclusione della procedura e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2024.

In discontinuità rispetto al passato, è comunque previsto il divieto espresso di proroghe e rinnovi anche automatici delle concessioni.

Oltre ad avere individuato un termine entro il quale tutte le concessioni dovranno essere messe a gara, l’intervento riformatore approvato in Senato prevede che il Governo sia delegato ad adottare, entro sei mesi dall’entrata in vigore della Legge, uno o più Decreti Legislativi volti al riordino dell’intera disciplina in materia di Concessioni Demaniali Marittime. L’obiettivo è promuovere un maggiore dinamismo concorrenziale nel settore dei servizi e delle attività economiche, favorendo la massima partecipazione alle gare (soprattutto delle piccole e microimprese), e, al tempo stesso, valorizzare profili di politica sociale e ambientale.

In questa duplice prospettiva vanno interpretati i principi e criteri direttivi fissati dall’articolo 4 del DDL.

Al fine di favorire la massima partecipazione alle gare (in linea con i principi di non discriminazione, parità di trattamento e trasparenza, lett. b), d), e), n. 1), si prevede che la durata della concessione non debba essere superiore a quanto necessario per garantire al concessionario l’ammortamento e l’equa remunerazione degli investimenti autorizzati dall’ente concedente (lett. e, n. 7), la quantificazione dei canoni annui concessori debba avvenire secondo criteri uniformi (che tengano conto del pregio naturale e dell’effettiva redditività delle aree demaniali da affidare in concessione lett. f), i casi in cui è consentita la sub-concessione debbano essere oggetto di una disciplina specifica (lett.g) e la quantificazione dell’indennizzo da riconoscere al concessionario uscente sia soggetta a criteri uniformi.

Se tali disposizioni mirano indubitabilmente a rimuovere ogni forma di barriera all’entrata nel mercato delle Concessioni Demaniali Marittime, al tempo stesso è innegabile l’introduzione di criteri ispirati ad esigenze di politica sociale, secondo quanto disposto dalla lettera e), n. 5, miranti a valorizzare e tenere in considerazione, ai fini della scelta del concessionario, l’esperienza tecnica e professionale già acquisita, la posizione dei soggetti che nei cinque anni antecedenti l’avvio della procedura selettiva abbiano utilizzato una concessione quale prevalente fonte di reddito per sé e per il proprio nucleo famigliare, nonché la previsione di clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato nell’attività del concessionario uscente (lett. e), n. 6).

2. Concessioni Aree Demaniali

Altrettanto dirompenti possono considerarsi le disposizioni introdotte dal nuovo DDL sulla Concorrenza con riferimento alle Concessioni delle Aree Demaniali, rientranti all’interno della Legge 28 gennaio 1994 n. 84, recante “Riordino della legislazione in materia portuale”. In precedenza, i servizi portuali erano considerati esclusi dall’ambito di applicazione della Direttiva Servizi 2006/123/CE, e l’articolo 18 della Legge vigente disponeva che le Autorità del sistema portuale (o l’Autorità Marittima) potessero affidare in concessione le aree demaniali e le banchine comprese nell’ambito portuale, nonché la realizzazione e la gestione di opere attinenti alle attività marittime e portuali collocate a mare nell’ambito degli specchi d’acqua esterni alle difese foranee, “sulla base di idonee forme di pubblicità”.

Il nuovo articolo 5 del DDL, in maniera più incisiva, dispone invece che le concessioni siano affidate, previa determinazione dei relativi canoni, sulla base di procedure ad evidenza pubblica, avviate anche a istanza di parte, “garantendo condizioni di concorrenza effettiva”.

Al fine di uniformare la disciplina per il rilascio delle concessioni, è prevista l’emanazione di un Decreto del Ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, che definisca i criteri per l’assegnazione delle concessioni, la definizione della loro durata, l’esercizio dei poteri di vigilanza e controllo da parte delle Autorità concedenti, nonché le modalità per il rinnovo, l’individuazione dei canoni a carico dei concessionari e delle modalità volte a garantire il rispetto del principio di concorrenza nei porti di rilevanza economica internazionale e nazionale.

In linea con quanto già disposto dal precedente articolo 18 della L. 84/1994, continua ad essere prevista la possibilità per l’Autorità di sistema portuale (o l’Autorità Marittima)di ricorrere ad accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento con i privati nell’ambito delle procedure di affidamento, anche se viene sottolineata l’esigenza di motivare tale scelta e di assicurare comunque il rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità e non discriminazione fra tutti gli operatori interessati alla concessione del bene.

Coerentemente con la normativa previgente, il comma 9 dell’articolo 5 del DDL Concorrenza richiama il cd. “divieto di cumulo”, in base al quale “in ciascun porto l’impresa concessionaria di un’area demaniale deve esercitare direttamente l’attività per la quale ha ottenuto la concessione, e non può essere al tempo stesso concessionaria di altra area demaniale nello stesso porto, a meno che l’attività per la quale richiede una nuova concessione sia differente da quella di cui alle concessioni già esistenti nella stessa area demaniale, e non può svolgere attività portuali in spazi diversi da quelli che le sono stati assegnati in concessione”. Tale previsione è però accompagnata da una specifica deroga applicabile per i porti di rilevanza economica internazionale e nazionale, per i quali è vietato solamente lo scambio di manodopera tra le diverse aree demaniali date in concessione alla stessa impresa o a soggetti comunque alla stessa riconducibili.

In caso di mancata osservanza degli obblighi assunti dal concessionario, la sanzione prevista dal nuovo DDL non è più la revoca dell’atto concessorio da parte dell’Autorità di sistema portuale (o dall’Autorità marittima), bensì la decadenza del rapporto concessorio.

3. Concessioni gas naturale

L’esame delle disposizioni dedicate al settore energetico assume centrale rilevanza all’interno dell’economia complessiva del DDL Concorrenza, soprattutto alla luce dell’attuale contesto internazionale (determinato, in particolare, dall’aggravarsi della crisi Ucraina).

Con riferimento alle Concessioni di distribuzione del gas naturale, il nuovo DDL persegue l’obiettivo di valorizzare adeguatamente le reti di distribuzione del gas di proprietà degli enti locali e rilanciare contestualmente gli investimenti nel settore della distribuzione del gas naturale, accelerando le procedure per l’effettuazione delle gare (di cui all’art. 13 del Regolamento ex Decreto del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro per i rapporti con le regioni e la coesione territoriale del 12 novembre 2011 n. 226).

A tale fine, vengono introdotte alcune rilevanti modifiche al D.Lgs. 23 maggio 2000 n. 164, recante “Attuazione della direttiva n. 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell’articolo 41 della legge 17 maggio 1999, n. 144.”

Nell’ambito delle procedure di affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale si prevede che, anche nei casi di trasferimento di proprietà di impianti da un ente locale al nuovo gestore subentrante, quest’ultimo sia tenuto a subentrare  nelle  garanzie  e nelle obbligazioni relative ai contratti di finanziamento in essere o ad  estinguere  queste  ultime  ed  a  corrispondere  una   somma   all’ente locale in misura pari al valore  di  rimborso  per  gli impianti la cui proprietà è trasferita dall’ente locale  al nuovo gestore (sulla falsariga di quanto già previsto dall’articolo 14, comma 8, DLgs. 164/2000).

Inoltre, qualora un ente locale (o una società patrimoniale delle reti), in occasione delle gare di affidamento del servizio di distribu­zione del gas naturale, intenda alienare le reti e gli impianti di distribuzione e di mi­sura di sua titolarità, tali reti e impianti devono essere valutati secondo il valore industriale residuo calcolato in base alle linee guida adottate dall’ARERA (Autorità per l’energia  elettrica,  il  gas  e il sistema idrico). In tali casi, l’ARERA riconosce in tariffa al gestore aggiudicatario della gara l’ammortamento della differenza tra il valore di rimborso ed il va­lore delle immobilizzazioni nette, al netto dei contributi pubblici in conto capitale e dei contributi privati relativi ai cespiti di località.

Sempre con riferimento alla disciplina delle gare di affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale, il nuovo articolo 6 del DDL Concorrenza dispone che il ge­store, nell’offerta di gara, possa versare agli enti locali l’ammontare pari al valore dei ti­toli di efficienza energetica (determinato secondo le disposizioni di cui all’articolo 8, comma 6, del Regolamento ex Decreto Interministeriale n. 226/2011) corrispondenti agli interventi di efficienza energetica previ­sti nel bando di gara ed offerti secondo le modalità definite nello schema di discipli­nare di gara tipo.

In questa chiave è inoltre disposto l’aggiornamento dei criteri di valutazione degli interventi di innovazione tecnologica previsti dall’articolo 15, comma 3, lett. d,del Regolamento di cui al Decreto Intermini­steriale n. 226 del 2011, proprio al fine di valoriz­zare nuove tipologie di intervento più ri­spondenti al rinnovato quadro tecnologico

Particolarmente interessante si rivela anche il nuovo comma 7-bis dell’articolo 14 del D.Lgs. 23 maggio 2000 n. 164, in base al quale il gestore uscente è tenuto a fornire all’ente locale tutte le informazioni necessarie per predisporre il bando di gara, entro un termine comunque non superiore a sessanta giorni. In caso di inadempimento, è previsto che l’ente locale possa imporre una sanzione amministrativa pecuniaria al gestore uscente, il cui importo può giungere fino all’1 per cento del fatturato totale realizzato durante l’esercizio sociale antecedente.

4. Concessioni idroelettriche

Il tema delle concessioni idroelettriche è disciplinato all’articolo 7 (Disposizioni in materia di concessioni di grande derivazione idroelettrica), che ha introdotto il nuovo comma 1-ter.1., ed ha modificato i commi 1-quater e 1-sexies, del D.Lgs.16 marzo 1999 n. 79 (“Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica”).

In base al testo approvato, le procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche saranno effettuate secondo parametri “competitivi, equi e trasparenti”, sulla base di quanto stabilito con Legge dalle Regioni (ai sensi del previgente articolo 12, comma 1-ter, D.Lgs. n. 79/1999).

Pertanto, saranno le Regioni a dover avviare le procedure di assegnazione delle concessioni, secondo gli indirizzi già prescritti dalla normativa nazionale (art. 12 D. Lgs. n. 79/1999). Sulla base delle previsioni del DDL, le Regioni dovranno inoltre comunicare tempestivamente al Ministero delle Infrastrutture e delle Mobilità Sostenibili l’avvio e gli esiti delle procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche. In caso di decorso del termine o di mancata adozione delle Leggi Regionali entro i termini di cui al comma 1-ter, è previsto che il MIMS eserciti un potere sostitutivo ai fini dell’avvio delle procedure di assegnazione delle concessioni; in tal caso, il 10 per cento dell’importo dei canoni concessori, in deroga all’articolo 89, comma 1, lettera i), del D.Lgs.31 marzo 1998 n. 112, resterà acquisito al patrimonio statale.

Secondo quanto disposto dalle nuove disposizioni normative, le procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche dovranno essere avviate entro due anni dalla data di entrata in vigore della Legge Regionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2023. La durata delle concessioni dovrà essere definita sulla base di criteri economici, fondati sull’entità degli investimenti proposti.

Disposizioni derogatorie sono previste per le concessioni di grandi derivazioni idroelettriche che prevedono un termine di scadenza anteriore al 31 dicembre 2024, ivi incluse quelle già scadute. In tali situazioni, le Regioni potranno consentire la prosecuzione dell’esercizio della derivazione nonché la conduzione delle opere e dei beni passati in proprietà delle Regioni ai sensi del comma 1, in favore del concessionario uscente, per il tempo strettamente necessario al completamento delle procedure di assegnazione e comunque non oltre tre anni dalla data di entrata in vigore della Legge. In considerazione del vantaggio competitivo derivante dalla prosecuzione dell’esercizio degli impianti oltre il termine di scadenza, i concessionari uscenti potranno però essere tenuti a versare eventuali oneri aggiuntivi al corrispettivo versato all’amministrazione regionale in conseguenza dell’utilizzo dei beni e delle opere affidate in concessione.

Anche per le concessioni di grande derivazione idroelettrica è interessante considerare come il DDL Concorrenza tenti di coniugare l’obiettivo di promuovere la massima competizione nelle procedure di assegnazione con l’esigenza, particolarmente accentuata rispetto alla disciplina previgente, di salvaguardare le comunità locali e l’ambiente interessati dalle opere di grande derivazione di acqua per uso idroelettrico.

A tal fine, nelle procedure di assegnazione si richiede di tenere conto della valorizzazione economica dei canoni concessori e degli interventi di miglioramento della sicurezza delle infrastrutture esistenti e di recupero della capacità di invaso, prevedendo a carico del concessionario subentrante un congruo indennizzo che tenga conto dell’ammortamento degli investimenti effettuati dal concessionario uscente.

In linea con l’obiettivo di promuovere una maggiore sostenibilità ambientale delle concessioni idroelettriche, si  prevede che dovranno essere determinate le misure di compensazione ambientale e territoriale, anche a carattere finanziario, da destinare ai territori dei Comuni interessati dalla presenza delle opere e della derivazione compresi tra i punti di presa e di restituzione delle acque, garantendo l’equilibrio economico finanziario del progetto di concessione nonché i livelli minimi in termini di miglioramento e risanamento ambientale del bacino idrografico.

Con l’obiettivo di promuovere innovazione tecnologica e sostenibilità delle infrastrutture di grande derivazione idroelettrica, l’affidamento delle relative concessioni potrà avvenire anche facendo ricorso alle procedure di finanza di progetto previste dall’articolo 183 del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs.n. 50/2016).

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In conclusione, alla luce delle principali modifiche apportate dal DDL sulla Concorrenza ai regimi concessori riguardanti le principali risorse e infrastrutture del Paese, emerge in maniera chiara l’obiettivo di promuovere il valore della concorrenza in una logica inedita, non più solo di efficienza di mercato e profitto, ma altresì di sostenibilità ambientale e sociale (secondo una visione di “economia sociale di mercato” che è alla base dei principali processi riformatori in atto a livello delle istituzioni europee). Tali radicali cambiamenti si ritiene comporteranno, inevitabilmente, processi dirompenti sul piano economico e sociale che dovranno essere adeguatamente governati attraverso un ripensamento del complesso rapporto Stato-Mercato.

 

Studio Legale DAL PIAZ

Lo Studio Legale DAL PIAZ vince al TAR Piemonte: Sentenza n. 447/2023 in materia di elementi essenziali dell’offerta ed applicabilità del soccorso istruttorio nel Partenariato Pubblico Privato.

Il perdurare della pandemia da COVID-19 e della guerra in Ucraina ha determinato notevoli disequilibri nel mercato, specie sotto il profilo della difficoltà di approvvigionamento delle materie prime e dell’innalzamento dei relativi prezzi.

Tali criticità sono state affrontate dal Legislatore con un approccio settoriale e in particolare:

  • con l’istituzione del “Fondo di adeguamento prezzi” dei materiali da costruzione (art. 1 septies L. n. 73/2021(“Decreto Sostegnibis”), il cui ambito di operatività è stato di recente esteso ai rincari registrati nel primo semestre dell’anno 2022 ai sensi dell’art. 25 D.L. n. 17/2022;
  • con la recentissima approvazione del D.L. n. 50/2022 (“Decreto Aiuti”), a copertura dell’aumento dei prezzi dei materiali da costruzione, dei carburanti e dei prodotti energetici.

Fuori dagli ambiti di operatività delle predette disposizioni, resta in ogni caso la clausola generale di salvaguardia dell’eccessiva onerosità sopravvenuta di cui all’art. 1467 c.c..

L’eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c. negli appalti pubblici

Ai sensi dell’art. 1467 c.c., nei contratti di durata, se la prestazione di una delle parti dovesse divenire «eccessivamente onerosa», la parte lesa può allora domandare la risoluzione del contratto, salvo che tale onerosità non rientri nella normale «alea del contratto».

A differenza del rimedio della rescissione per lesioni che rileva come «difetto genetico», l’eccessiva onerosità sopravvenuta è posta a tutela dello stesso «sinallagma funzionale» del contratto.

D’altro canto, ogni rapporto di durata trova le sue fondamenta nell’importante clausola «rebus sic stantibus»: in virtù della stessa, infatti, ogni rapporto si dovrebbe sciogliere ovvero dovrebbe essere ricondotto ad equitas nel caso in cui si dovessero verificare mutamenti di circostanze che inficino notevolmente la funzionalità e l’equilibrio del sinallagma originario.

La norma deve essere messa in evidenza unitamente a quanto stabilito, specificatamente per il contratto d’appalto, dall’art. 1664 c.c. che, rubricato «onerosità o difficoltà dell’esecuzione», ha previsto uno schema di azione decisamente diverso dalla precedente norma, al contrario maggiormente calibrato su una sostanziale «conservazione» del contratto.

Infatti, posto che esiste l’importante esigenza di assicurare, con un certo grado di certezza, la costruzione o la ultimazione di un’opera ovvero la prestazione di un servizio, l’art. 1664 c.c.(in applicazione di un altro importante istituto, appositamente ritagliato per le circostanze cui finora è stato fatto cenno) prevede che la parte lesa possa, in sostituzione, domandare la revisione del prezzo originariamente pattuito.

Data l’assenza di una specifica disposizione ad hoc nel Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016) occorre chiarire quale sia il labile confine tra l’applicazione delle norme di diritto privato e lo sviluppo di un’autonoma regolazione pubblicistica.

Ebbene, tale specificazione è utile a tracciare un confine piuttosto incerto tra le norme che regolano contratti «integralmente» di diritto privato dai casi in cui il contratto ha un oggetto essenzialmente pubblico. Il Consiglio di Statoha avuto modo di chiarire che i contratti ad oggetto pubblico «non sono disciplinati dalle regole proprie del diritto privato, ma meramente dai “principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti”, sempre “in quanto compatibili” e salvo che “non diversamente previsto”» (così Consiglio di Stato, sez. IV, 19 agosto 2016, n. 3653).

Tale affermazione è valsa, quindi, ad escludere una mera trasposizione automatica dei rimedi civilistici, offerti nel caso di eccessiva onerosità sopravvenuta, nel settore dei contratti pubblici. Lo hanno ribadito con forzai giudici di Palazzo Spada, i quali hanno richiesto, nel predetto arresto giurisprudenziale, una «verifica puntuale e in concreto del tipo di contratto considerato».

Per poter integrare il caso dell’impossibilità sopravvenuta anche nel settore dei contratti pubblici, quindi, l’onerosità dovrà essere tale da superare l’ordinaria «alea» dovuta alla specifica assunzione del rischio da parte dell’appaltatore: gli eventi «sopravvenuti» e «straordinari» possono dunque incidere sulla prestazione dovuta dall’operatore economico che, divenendo maggiormente onerosa, comporterebbe un sostanziale «sacrificio» del suo originario interesse e della sua posizione contrattuale.

La revisione dell’equilibrio economico

La risoluzione costituisce uno strumento dirompente e talvolta «inopportuno» a far fronte agli interessi individuali; per tal motivo la giurisprudenza ha ritenuto ragionevole introdurre la possibilità di «rinegoziare» il contenuto del contratto. Tale revisione, infatti, è giustificata dall’applicazione del generale principio della buona fede contrattuale, in base al quale la parte lesa avrebbe, dunque, il diritto di riportare il diritto nella piena equità. L’importante passo in avanti ha trovato piena consacrazione in un’ordinanza del Tribunale di Roma che ha pienamente attribuito alla clausola generale di buona fede e correttezza «la funzione di rendere flessibile l’ordinamento, consentendo la tutela di fattispecie non contemplate dal legislatore».

In mancanza di iniziativa di parte è necessario fare ricorso al già menzionato canone ex bona fidei, con funzione integrativa delle clausole contrattuali nell’eventuale verificazione di «fattori sopravvenuti ed imprevedibili non presi in considerazione al momento della stipulazione del rapporto».

La clausola di revisione prezzi

Connesso al tema dell’aumento dei prezzi e degli effetti economici devastanti che ne derivano in tema di disinvestimenti, l’ANAC, nei mesi scorsi, ha suggerito al Governo un intervento normativo ben preciso: l’obbligatorietà delle clausole di revisione dei prezzi all’interno della documentazione di gara (per la disciplina di dettaglio si deve far riferimento al capitolato speciale d’appalto). Il D.L n. 4/2022 (Decreto sostegni ter) ha previsto che fino al 31 dicembre 2023 sia obbligatorio inserire nei documenti iniziali di gara la clausola di revisione dei prezzi di cui all’articolo 106 del Codice dei contratti pubblici.

I contratti che contengano ab origine una clausola di revisione dei prezzi possono infatti, ai sensi della suddetta norma, essere modificati senza una nuova procedura di affidamento. Tali clausole, stipulate in termini inequivocabili e precisi, determinano ex ante quello che costituirebbe il massimo rischio (la legge discute di «portata e natura») derivante dalle modifiche incorse in itinere. Inoltre, per quanto riguarda gli appalti di lavori le variazioni rilevano soltanto per la quantità in eccedenza rispetto alla misura del 10%rispetto al prezzo originario e comunque in misura pari alla metà.

In ogni caso le variazioni sono valutate con riferimento ai prezzari di cui all’articolo 23,comma7, D.Lgs.n. 50/2016.

Un’ultima specificazione viene effettuata con riferimento ai contratti relativi a servizi e forniture che sono stipulati dai soggetti aggregatori; rispetto a tale tipologia contrattuale, la legge ha confermato la vigenza della disposizione di cui all’articolo 1, comma 511, della legge 28 dicembre 2015 n. 208.

Successivamente all’approvazione del D.L. n. 4/2022, ANAC ha provveduto ad aggiornare il Bando di gara Tipo n.1, relativo all’affidamento dei contratti pubblici sopra soglia di servizi e forniture.

L’obbligo si applica alle procedure di affidamento dei contratti pubblici, i cui bandi o avvisi siano pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore del Decreto, nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o di avvisi, qualora l’invio degli inviti a presentare le offerte sia effettuato successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso Decreto.

L’obbligo è poi accompagnato da una serie di previsioni di ordine facoltativo come «la possibilità, nei contratti di durata superiore all’anno, di prevedere l’aggiornamento dei prezzi a partire dalla seconda annualità contrattuale, oppure la possibilità di limitare il ricorso alla revisione dei prezzi per variazioni superiori ad una data percentuale del prezzo originario o, ancora, di richiederla una sola volta per ciascuna annualità».

Come rende noto ANAC, nella sua nota di esplicazione delle modifiche intervenute, residua il carattere facoltativo dell’anzidetto obbligo successivamente alla data del 31 dicembre 2023.

L’incremento ‘stellare’ dei prezzi dei materiali da costruzione più significativi negli appalti pubblici: T.A.R. LAZIO, SEZ. III, 03.06.2022, n. 7215.

In questo quadro normativo, è interessante analizzare la recentissima sentenza del T.A.R. Lazio (Sez. III, 03.06.2022, n. 7215) che, su ricorso presentato dall’ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili), si è pronunciata sulla legittimità del Decreto del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili in data 11 novembre 2021, recante “Rilevazione delle variazioni percentuali, in aumento o in diminuzione, superiori all’8 per cento, verificatesi nel primo semestre dell’anno 2021, dei singoli prezzi dei materiali da costruzione più significativi” e degli Allegati n. 1 e 2 al suddetto Decreto.

La sentenza in esame è particolarmente importante proprio perché il Giudice Amministrativo è stato chiamato a confrontarsi con un quadro normativo in materia di “caro-prezzi” negli appalti pubblici in continua evoluzione, caratterizzato dalla reiterata adozione di importanti strumenti normativi “extra ordinem” al fine di fronteggiare i disequilibri del mercato derivanti dalla particolare situazione congiunturale in atto.

Come detto, per fare fronte agli eccezionali aumenti dei prezzi dei materiali da costruzione verificatisi nel primo semestre dell’anno 2021 e le connesse conseguenze negative per gli operatori economici impegnati nell’esecuzione di appalti pubblici, l’articolo 1septies D.L. n. 73/2021(convertito con modificazioni in Legge 23 luglio 2021 n. 106)ha introdotto un meccanismo straordinario di adeguamento dei prezzi dei materiali da costruzione impiegati nei contratti in corso di esecuzione. Tale meccanismo di compensazione straordinaria, derogatorio di quanto previsto dall’art. 133, commi 4,5 e 6-bis del D.Lgs.n. 163/2006 e dall’art. 6 del D.Lgs.n. 50/2016, è legato agli incrementi di prezzo dei materiali di costruzione più significativi che superino una determinata soglia: in particolare, rilevano gli incrementi (o le diminuzioni) di prezzo superiori all’8% registrati da tali materiali monitorati nel periodo dal 1° gennaio 2021 fino al 30 giugno 2021 in relazione alla data dell’offerta, se riferiti esclusivamente all’anno 2021, ed eccedenti il 10% complessivo se riferiti a più anni.

La compensazione introdotta dall’articolo 1septies è, quindi, determinata applicandole variazioni dei prezzi dei materiali impiegati nelle lavorazioni rilevate da apposito Decreto del Ministero delle Infrastrutture e delle Mobilità Sostenibili (emanato in data 11 novembre 2021 e successivamente emendato dal D.M. 7 dicembre 2021 per la rettifica del prezzo medio di uno specifico materiale).

Con il ricorso proposto dinanzi al TAR Lazio, l’Associazione Nazionale Costruttori Edili lamenta l’illegittimità di tale Decreto Ministeriale nella parte in cui avrebbe stimato un aumento percentuale dei prezzi irragionevole e di gran lunga inferiore all’aumento reale registrato sul mercato per 15 dei complessivi 56 materiali da costruzione più significativi rilevati.

In particolare, l’ANCE sostiene che l’inattendibilità delle rilevazioni ministeriali sarebbe emersa a seguito del raffronto delle percentuali di incremento dei prezzi riportate dal Ministero rispetto agli esiti delle attività di verifica effettuate dall’ANCE proprio in vista dell’adozione del Decreto. Tali risultanze sono state ottenute attraverso il ricorso a banche dati messe a disposizione da provider nazionali ed internazionali, correntemente utilizzate dagli operatori economici come parametro di riferimento e poste a confronto con i prezzi effettivamente praticati dalle imprese, così da selezionare e porre in evidenza i reali aumenti. Per 15 dei materiali da costruzione ritenuti più significativi le differenze sarebbero state talmente esorbitanti da mettere in pericolo la tenuta stessa del mercato.

Sulla base di tali rilievi, già oggetto di segnalazione da parte dell’ANCE, il Ministero, coerentemente con quanto prescritto dall’articolo 1septies citato, avrebbe avuto il preciso onere di analizzare e sottoporre a valutazione critica i dati trasmessi dalle fonti ufficiali di rilevazione (Provveditorati Interregionali alle Opere Pubbliche, Unioncamere ed Istat) e, in caso di anomalie nelle rilevazioni, procedere ai dovuti approfondimenti istruttori.

L’esigenza sottesa alle disposizioni emanate dal legislatore nazionale, del resto, risiede proprio nella conduzione di accertamenti di natura tecnica ed obiettiva ancorati alla reale oscillazione del prezzo dei singoli materiali sul mercato e finalizzati a garantire un riequilibrio del nesso sinallagmatico intercorrente fra le controprestazioni dedotte in contratto.

Al contrario, il Ministero resistente, con il Decreto impugnato si sarebbe limitato a prendere atto dei dati pervenuti da ciascuna delle tre fonti ufficiali di rilevazione (Provveditorati, Unioncamere ed Istat), ‘assemblandoli’ in maniera formalistica e acritica, senza svolgere alcuna reale istruttoria.

In replica alle argomentazioni avversarie, il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili ha sostenuto aver proceduto agli approfondimenti istruttori necessari, evidenziando come ogni fonte (Provveditorato, Istat ed Unioncamere) abbia svolto la propria istruttoria interna proprio al fine di garantire la robustezza dei dati e, eventualmente, provvedere alle necessarie integrazioni.

Soprattutto, il Ministero ha sottolineato come la metodologia utilizzata per effettuare le rilevazioni dei prezzi, basata sullo stesso sistema adoperato ai fini dell’adozione dei Decreti annuali di cui all’articolo 133, comma 6, D.Lgs.n. 163/2006, non possa essere messa in discussione in quanto coerente con il dato normativo ed in grado di assicurare la necessaria continuità ed omogeneità nell’elaborazione dei dati nelle serie storiche per ciascuno degli anni dal 2003 al 2019, nonché le relative variazioni percentuali verificatesi nel primo semestre dell’anno 2021.

Il “cambiamento in corso” di tale metodologia, secondo il Ministero, provocherebbe quindi effetti distorsivi del meccanismo della compensazione e, in ogni caso, la scelta della metodologia e delle fonti utilizzate ai fini delle rilevazioni rientrerebbe nella discrezionalità tecnica dell’Amministrazione, sindacabile solo entro determinati limiti.

Il T.A.R. Lazio ha ritenuto il ricorso fondato, accogliendo la tesi dell’ANCE sulla base di plurimi profili, di fatto e di diritto.

L’analisi dei più recenti sviluppi normativi che hanno interessato il meccanismo di compensazione straordinaria introdotto dall’art. 1septies D.L. n. 73/2021, tra cui il D.L. n. 50/2022 (cd. “Decreto Aiuti”), permettono, anzitutto, di constatare come la particolare situazione congiunturale abbia imposto l’adozione di una reiterata serie di misure volte a dare un’efficace risposta al registrato esorbitante aumento dei prezzi dei materiali impiegati nel settore delle costruzioni.

Tanto premesso, il T.A.R sottolinea come le risultanze inerenti agli incrementi di prezzo dei materiali monitorati, confluite nel Decreto Ministeriale impugnato, si collochino a valle di un processo che, seppur collaudato negli anni, è stato costellato da una serie di criticità.

Dirimente per inficiare l’attendibilità delle rilevazioni effettuate dal Ministero è risultato il raffronto tra gli stessi dati resi dai Provveditorati (considerati anche singolarmente) e dalle Camere di Commercio; “il disallineamento tra la media dei prezzi ricavate dai due istituti di rilevazione si palesa talmente ampio (…) da rendere evidente la presenza di anomalie nel reperimento e nell’elaborazione dei dati stessi”. A smentire tali disallineamenti, secondo il Collegio, non possono valere neanche eventuali considerazioni attinenti all’incidenza dei contesti territoriali di riferimento, in presenza di un range di variazione oscillante tra lo zero ed oltre il 100%.

A fronte della acclarata inattendibilità delle rilevazioni ministeriali, il T.A.R. non ha messo del tutto in discussione la metodologia utilizzata dal Ministero, ritenendo che essa offra comunque garanzie sotto il profilo procedimentale e sotto quello inerente la tutela dei contrapposti interessi in gioco che nessun operatore privato (ANCE inclusa) potrebbe altrimenti garantire.

Al tempo stesso, però, il T.A.R. ha sottolineato la necessità, a fronte degli snodi problematici evidenziati, di effettuare “opportuni affinamenti” utili a salvaguardare il rigore scientifico della metodologia utilizzata, funzionale alla corretta applicazione delle compensazioni previste dal D.L. n. 73/2021. Fondamentale, del resto, proprio in considerazione della peculiare situazione congiunturale in atto, deve ritenersi l’esigenza di assicurare la complessiva rispondenza dei dati riportati alle reali dinamiche “straordinarie” dei prezzi del mercato, al fine di arginarne l’impatto sul tessuto imprenditoriale.

Alla luce di tali considerazioni il T.A.R. Lazio ha dunque accolto il ricorso proposto dall’ANCE, confermando la necessità che il Ministero svolga i dovuti approfondimenti istruttori al fine di addivenire ad un affinamento delle rilevazioni condotte con riguardo ai rilevati incrementi di prezzo dei 15 materiali da costruzione più significativi venuti in contestazione nel giudizio.

A seguito di tale sentenza, è interessante domandarsi quali saranno gli effetti “dirompenti” derivanti dall’annullamento del Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti in data 11 novembre 2021 sul meccanismo delle compensazioni istituito dal D.L. n. 73/2021. Sicuramente la pronuncia del T.A.R. Lazio è fondamentale in quanto ha posto in evidenza l’esigenza che anche gli accertamenti “tecnici” inerenti le variazioni dei prezzi (dei materiali da costruzione)compiuti dall’Amministrazione, in una fase tanto eccezionale e delicata, che non accenna a terminare, siano davvero rispondenti alle effettive dinamiche di mercato, al fine di rispondere realmente alle esigenze delle imprese impegnate nell’esecuzione di appalti pubblici che interessano infrastrutture strategiche del nostro Paese.

 

Studio Legale DAL PIAZ

Appalti pubblici – La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha dichiarato la non conformità della normativa nazionale relativa al possesso dei requisiti in capo alla mandataria di un RTI

Con sentenza in data 28.04.2022 pronunciata nella causa C-642/20, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha dichiarato l’incompatibilità dell’art. 83, comma 8, D.Lgs. n. 50/2016 con l’art. 63 della Direttiva 2014/24/UE in materia di appalti.

Il procedimento principale

Il caso di specie trae origine dall’aggiudicazione di una procedura avente ad oggetto il servizio di spazzamento, raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani ed altri servizi di igiene pubblica, indetta da una SRR composta da 33 Comuni.

La lex specialis di gara ha richiesto agli operatori economici il possesso di particolari requisiti di capacità tecnica, economica e finanziaria per ciascuno dei tre lotti in cui la procedura è stata divisa.

Il giudizio di primo grado è stato instaurato relativamente al lotto n. 2 con ricorso al TAR proposto dall’ATI (Associazione Temporanea di Imprese, o anche RTI: Raggruppamento Temporaneo di Imprese) seconda classificata e, nel medesimo giudizio, l’ATI aggiudicataria ha proposto ricorso incidentale avverso l’ammissione della seconda classificata alla procedura[1]; con la Sentenza n. 3150 la Quarta Sezione del TAR Sicilia – Catania ha accolto entrambi i ricorsi[2].

In particolare, con riferimento all’esclusione dell’aggiudicataria, il giudice di primo grado ha sostenuto che dal combinato disposto dell’art. 83, comma 8, e dell’art. 89 del D.Lgs. n. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici) l’impresa mandataria di un’ATI può sempre fare affidamento sulle capacità degli altri operatori economici del raggruppamento “a condizione che soddisfi essa stessa i requisiti di ammissione ed esegua le prestazioni in misura maggioritaria rispetto agli altri operatori economici”. Invero, il Collegio ha rilevato che la mandataria dell’ATI aggiudicataria, non disponendo dei requisiti richiesti dalla lex specialis, non avrebbe potuto avvalersi dei requisiti posseduti dalle mandanti.

La pronuncia di primo grado è stata impugnata in via principale ed via incidentale da entrambe le ATI con ricorso in appello R.G. n. 260/2020.

La questione pregiudiziale e le norme interpretate dalla Corte

La questione pregiudiziale posta dal Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana[3] (CGARS) alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) verte sull’interpretazione dell’art. 63 della Direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio sugli appalti pubblici[4], in combinato disposto con i principi della libertà di stabilimento e della libera prestazione di servizi di cui agli artt. 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione (TFUE).

Il primo paragrafo del citato art. 63 disciplina i requisiti (denominati “criteri di selezione”) che deve possedere l’operatore economico relativamente alla capacità economica, finanziaria, tecnica e professionale[5], e consente al medesimo di fare affidamento sulle capacità di altri soggetti per soddisfare i requisiti richiesti dalla lex specialis di gara.

Il secondo paragrafo della norma specifica che “le amministrazioni aggiudicatrici possono esigere che taluni compiti essenziali siano direttamente svolti dall’offerente stesso o, nel caso di un’offerta presentata da un raggruppamento di operatori economici […] da un partecipante del raggruppamento”.

Con riferimento alla normativa nazionale, le disposizioni interpretate dalla Corte sono gli artt. 83, comma 8, e 89 del D.Lgs. n. 50/2016, che disciplinano rispettivamente i criteri di selezione degli operatori economici e la possibilità per gli stessi di fare affidamento sulle capacità di altri soggetti.

In particolare, l’art. 89 del Codice dei contratti pubblici consente agli operatori economici di soddisfare i requisiti richiesti dalla lex specialis avvalendosi delle capacità di altri soggetti, anche partecipanti al RTI, mentre il terzo periodo dell’art. 83, comma 8, richiede che l’impresa mandataria, in ogni caso, possieda i requisiti ed esegua le prestazioni in misura maggioritaria.

Il giudice del rinvio ha rilevato che il citato periodo “finirebbe per determinare in via interpretativa e senza violare direttamente l’art. 63 paragrafo 1 della direttiva 2014/24/UE, un’interpretazione della disposizione comunitaria limitativa delle scelte effettuate dall’operatore economico che finisce per condizionarne le libere determinazioni dell’impresa con chiari effetti anti concorrenziali”.

Pertanto, il CGARS ha posto alla Corte, ai sensi dell’art. 276 TFUE, la seguente questione pregiudiziale[6]: “Se l’articolo 63 della direttiva, relativo all’istituto dell’avvalimento, unitamente ai principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 TFUE, osti all’applicazione della normativa nazionale italiana in materia di “criteri di selezione e soccorso istruttorio” di cui all’inciso contenuto nel terzo periodo del comma 8 dell’articolo 83 del Codice dei contratti pubblici, nel senso che in caso di ricorso all’istituto dell’avvalimento (di cui all’articolo 89 del Codice dei contratti pubblici), in ogni caso la mandataria deve possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in misura maggioritaria”.

L’interpretazione della Corte

Con la sentenza in esame la CGUE ha rilevato l’incompatibilità del disposto del terzo periodo dell’art. 83, comma 8, D.Lgs. n. 50/2016, con quanto previsto dalla Direttiva 2014/24/UE.

Invero, secondo i giudici di Lussemburgo la normativa interna è maggiormente restrittiva rispetto alla disciplina europea, posto che il diritto nazionale identifica nella mandataria il soggetto che deve eseguire la totalità delle prestazioni in misura maggioritaria, mentre il diritto dell’Unione si limita ad autorizzare le amministrazioni aggiudicatrici ad esigere che specifiche prestazioni vengano eseguite da uno (qualsiasi) dei partecipanti al raggruppamento.

La Corte ha rilevato che “il legislatore nazionale impone, in modo orizzontale, per tutti gli appalti pubblici in Italia, che il mandatario del raggruppamento di operatori economici esegua la maggior parte delle prestazioni”, mentre la ratio della normativa europea consiste nel limitare le imposizioni in capo agli operatori, “seguendo un approccio qualitativo e non meramente quantitativo, al fine di incoraggiare la partecipazione di raggruppamenti come le associazioni temporanee di piccole e medie imprese alle gare di appalto pubbliche”.

Di contro, il secondo paragrafo dell’art. 63 della Direttiva consente agli Stati membri di stabilire clausole standard che specifichino il modo in cui i raggruppamenti di operatori economici possono soddisfare le condizioni richieste dalla lex specialis; ciononostante, la normativa nazionale in esame non si limita a precisare il modo in cui un’ATI debba garantire il possesso di risorse umane e tecniche necessarie per eseguire l’appalto, bensì fa riferimento all’esecuzione stessa dell’appalto richiedendo espressamente che la mandataria svolga le prestazioni in misura maggioritaria.

Pertanto, la Corte ha concluso statuendo che l’art. 63 della Direttiva 2014/24/UE osta ad una disciplina nazionale “secondo la quale l’impresa mandataria di un raggruppamento di operatori economici partecipante a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico deve possedere i requisiti previsti nel bando di gara ed eseguire le prestazioni di tale appalto in misura maggioritaria”.

 

Studio Legale DAL PIAZ

[1]TAR per la Sicilia – Catania, sez. IV, R.G. n. 1608/2019
[2]TAR per la Sicilia – Catania, sez. IV, 30 dicembre 2019 n. 3150.
[3]
Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana, Ordinanza 24 novembre 2020 n. 1106.
[4]Art. 63 Direttiva 2014/24/UE: “1. Per quanto riguarda i criteri relativi alla capacità economica e finanziaria stabiliti a norma dell’articolo 58, paragrafo 3, e i criteri relativi alle capacità tecniche e professionali stabiliti a norma dell’articolo 58, paragrafo 4, un operatore economico può, se del caso e per un determinato appalto, fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi. Per quanto riguarda i criteri relativi all’indicazione dei titoli di studio e professionali di cui all’allegato XII, parte II, lettera f), o alle esperienze professionali pertinenti, gli operatori economici possono tuttavia fare affidamento sulle capacità di altri soggetti solo se questi ultimi eseguono i lavori o i servizi per cui tali capacità sono richieste. Se un operatore economico vuole fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, dimostra all’amministrazione aggiudicatrice che disporrà dei mezzi necessari, ad esempio mediante presentazione dell’impegno assunto da detti soggetti a tal fine. […] Alle stesse condizioni, un raggruppamento di operatori economici di cui all’articolo 19, paragrafo 2, può fare valere le capacità dei partecipanti al raggruppamento o di altri soggetti.
2. Nel caso di appalti di lavori, di appalti di servizi e operazioni di posa in opera o installazione nel quadro di un appalto di fornitura, le amministrazioni aggiudicatrici possono esigere che taluni compiti essenziali siano direttamente svolti dall’offerente stesso o, nel caso di un’offerta presentata da un raggruppamento di operatori economici di cui all’articolo 19, paragrafo 2, da un partecipante al raggruppamento”.
[5]Di cui all’art. 58 della Direttiva 2014/24/UE.
[6]
Il giudice del rinvio ha chiesto altresì che la causa fosse sottoposta a procedimento accelerato ai sensi dell’art. 105 del regolamento di procedura della Corte di Giustizia; tale istanza non è stata accolta. Inoltre, il Governo Italiano ha eccepito l’irricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale sostenendo il carattere ipotetico del problema sollevato “considerato che la rilevanza di tale domanda rispetto all’oggetto specifico del procedimento principale non sarebbe dimostrata”; la CGUE ha ritenuto irricevibile anche tale domanda.

“DECRETO AIUTI” D.L. n. 50/2022 Nuove forme di sostegno per le imprese negli appalti pubblici Ulteriore spinta per l’uso di energia rinnovabile

Lo scorso 17 maggio è stato pubblicato il Decreto Legge n. 50 recante “Misure urgenti in materia di politiche energetiche nazionali, produttività delle imprese e attrazione degli investimenti, nonché in materia di politiche sociali e di crisi ucraina”, conosciuto come “Decreto Aiuti”.

Lo scopo del Decreto è contrastare gli effetti derivanti dalla crisi militare in Ucraina, mediante la creazione di nuovi strumenti (ed il potenziamento di quelli esistenti) volti a salvaguardare l’economia italiana dall’aumento dei prezzi di materie prime, energia e carburanti.

Le misure predisposte dall’Esecutivo si articolano in bonus fiscali che promuovono l’uso di energia derivante da fonti rinnovabili, politiche sociali in favore di lavoratori dipendenti, pensionati, percettori NaSPI e famiglie e misure diversificate in favore delle imprese, anche negli appalti pubblici.

Misure in materia di ripresa economica e di sostegno della liquidità delle imprese

Tra gli strumenti predisposti a sostegno delle imprese e della ripresa economica (articoli 15 – 30) meritano particolare attenzione gli articoli 26 e 27, che dettano specifiche disposizioni in materia di appalti pubblici di lavori e di concessioni di lavori, finalizzate a fronteggiare gli eccezionali aumenti dei prezzi dei materiali da costruzione, dei carburanti e dei prodotti energetici causati, da ultimo, dal conflitto in atto in Ucraina.

L’articolo 26 stabilisce che i SAL per le lavorazioni eseguite e contabilizzate dal Direttore dei Lavori o annotate, sotto la responsabilità dello stesso, nel libretto delle misure dal 1 gennaio 2022 al 31 dicembre 2022 siano adottati, anche in deroga alle specifiche previsioni contrattuali, “applicando i prezziari aggiornati ai sensi del comma 2 ovvero, nelle more del predetto aggiornamento, quelli previsti dal comma 3”, utilizzando somme già accantonate per imprevisti in relazione a ciascun affidamento o, tra l’altro, derivanti dai ribassi d’asta.

Nello specifico, il comma 2 dispone che le Regioni sono tenute, limitatamente all’anno 2022, ad aggiornare i prezzari in uso al momento di entrata in vigore del D.L. n. 50/2022 entro il 31 luglio 2022; i prezzari così aggiornati troveranno applicazione anche per le procedure di affidamento di opere pubbliche avviate tra la data di entrata in vigore del Decreto Aiuti ed il 31 dicembre 2022. In caso di inadempimento delle Regioni, sarà compito del MIMS, entro la metà di agosto 2022, sentite le stesse Regioni inadempienti (sic!), aggiornare i prezzari.

Per i soli contratti relativi a lavori, il comma 3 prevede che le Stazioni Appaltanti applichino, nelle more della revisione dei prezzari da parte delle Regioni, “ai fini della determinazione del costo dei prodotti, delle attrezzature e delle lavorazioni, ai sensi dell’articolo 23, comma 16, del decreto legislativo n. 50 del 2016”, le risultanze dei prezzari regionali aggiornati alla data del 31 dicembre 2021 incrementati fino al 20%: stante l’esplicito richiamo effettuato all’art. 23 del vigente Codice dei contratti pubblici (relativo ai livelli di progettazione), tale comma sembra applicabile solo per l’adeguamento dei prezzi delle gare pubblicate successivamente alla data di entrata in vigore del Decreto Aiuti, e non alle gare ed ai contratti già in corso di esecuzione (per i quali bisognerà attendere l’aggiornamento dei prezzari regionali). E’ quindi senz’altro necessario che il Governo chiarisca la portata interpretativa del comma 3 dell’art. 26 del Decreto Aiuti, onde non determinare ulteriori disagi al mondo imprenditoriale e lavorativo.

Peraltro, è da segnalare il particolare beneficio assicurato esclusivamente ai contraenti di lavori, in corso alla data di entrata in vigore del Decreto Aiuti, affidati da ANAS o da FERROVIE DELLO STATO; infatti, il comma 12 del medesimo art. 26 stabilisce che: “In relazione ai contratti affidati a contraente generale dalle societa’ del gruppo Ferrovie dello Stato e da ANAS S.p.A. in essere alla  data di entrata in vigore del presente decreto le cui opere siano in corso di esecuzione, si applica un incremento del 20 per cento agli importi delle lavorazioni eseguite e contabilizzate dal direttore dei  lavori dal 1° gennaio 2022 fino al 31 dicembre 2022”.

Analoga previsione potrebbe essere estesa a beneficio di qualsivoglia appalto di lavori pubblici in corso alla data del 17 maggio 2022, anche se bisognerebbe affrontare il problema relativo alla disponibilità delle necessarie risorse finanziarie da parte di enti e/o società pubblici non statali.

Nell’ipotesi in cui dall’aggiornamento dei prezzari operato dalle Regioni risulti, per l’anno 2022, una variazione superiore o inferiore al 20% rispetto ai prezzari aggiornati al 31 dicembre 2021, le Stazioni Appaltanti provvederanno al conguaglio degli importi riconosciuti a titolo di pagamento dei SAL per le lavorazioni eseguite e contabilizzate dal Direttore dei Lavori o annotate nel libretto delle misure successivamente all’adozione del prezzario aggiornato.

Il successivo articolo 27 dispone che i concessionari autostradali ex art. 142, comma 4, D.Lgs. n. 163/2006 ed art. 164, comma 5, D.Lgs. n. 50/2016 possono aggiornare il quadro economico del progetto esecutivo utilizzando il prezzario di riferimento più aggiornato purché, alla data di entrata in vigore del Decreto Aiuti, il quadro economico del progetto esecutivo sia approvato o in corso di approvazione e l’avvio delle procedure di affidamento sia previsto entro il 31 dicembre 2023. Il quadro economico del progetto esecutivo rideterminato ai sensi del comma 1 deve essere sottoposto all’approvazione del concedente e gli eventuali maggiori oneri derivanti dall’adeguamento operato dai concessionari non concorrono alla determinazione della remunerazione del capitale investito netto, né incidono sulla durata della concessione.

Misure in materia di energia

Tra le numerose disposizioni in materia energetica (articoli 1 – 14) sono previste in particolare: l’introduzione di benefici fiscali in favore di privati ed imprese per l’acquisto ed il consumo di energia elettrica e gas, e la promozione dello sviluppo delle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER), ossia di persone giuridiche composte da una pluralità di soggetti privati o pubblici/privati che, mediante la dotazione di impianti condivisi, provvedono alla produzione ed all’autoconsumo di energia derivante da fonti rinnovabili.

In particolare, l’articolo 2 stabilisce un incremento del credito di imposta in favore delle imprese che acquistano energia elettrica e gas naturale, già riconosciuto con i precedenti Decreti Legge n. 17/2022 e n. 21/2022, rispettivamente rideterminato dal 12% al 15% e dal 20% al 25%.

L’articolo 9, dedicato alle Comunità Energetiche Rinnovabili, modifica il comma 2 dell’articolo 20 D.L. n. 17/2022 (convertito in Legge n. 34/2022), accrescendo  la potenza degli impianti installabili: pertanto, il Ministero della Difesa ed i concessionari di cui all’articolo 20, comma 1, D.L. n. 17/2022 “possono costituire comunità energetiche rinnovabili nazionali anche con altre pubbliche amministrazioni centrali e locali anche per impianti superiori a 1 MW”, con facoltà di accedere ai regimi di sostegno applicati all’energia prodotta da fonti rinnovabili (ex D.Lgs. n. 199/2021), tra cui figurano specifici meccanismi di incentivazione volti ad assicurare un’equa remunerazione dei costi di investimento ed esercizio delle stesse CER.

*

L’incertezza generata dal periodo pandemico e dal conflitto Russo-Ucraino, che ha comportato una minore disponibilità – ed il parallelo aumento dei prezzi – di molteplici tipologie di prodotti, anche energetici e di carburanti, ha giustamente alimentato la sensibilità verso le tematiche della sostenibilità dei contratti di appalto pubblici (e non solo) e dell’utilizzo di energia derivante da fonti rinnovabili, nell’ottica del graduale raggiungimento della cd “indipendenza energetica”.

Non è assolutamente detto, però, che le misure introdotte con il Decreto Aiuti siano sufficienti a far fronte al caro-prezzi (di materie prime e di energia) tuttora in corso, e la prevedibile crisi economica che ne deriverà.

 

Studio Legale DAL PIAZ

Lo Studio Legale DAL PIAZ vince al TAR Piemonte: Sentenza n. 447/2023 in materia di elementi essenziali dell’offerta ed applicabilità del soccorso istruttorio nel Partenariato Pubblico Privato.

Con la recente sentenza del 26 aprile 2022, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha chiarito natura e funzione dell’istituto della “garanzia provvisoria” di cui all’art. 93 D. Lgs. n. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici).

In particolare, l’Alto Consesso ha delimitato l’ambito di operatività dell’istituto nelle ipotesi di mancata sottoscrizione del contratto d’appalto a seguito di formulazione della sola “proposta di aggiudicazione” ex art. 32, comma 5, D. Lgs. n. 50/2016.

Il sistema delle garanzie nel Codice dei contratti pubblici

 L’ordinamento domestico pone un sistema di garanzie “provvisorie” e “definitive” a tutela della Stazione Appaltante e dell’interesse pubblico alla sottoscrizione del contratto con il miglior offerente possibile.

Le prime (garanzie provvisorie) devono essere prestate nella fase c.d. “procedimentale” di gara, finalizzata alla selezione del miglior offerente, ed operano nella successiva fase c.d. “provvedimentale”, che va dall’aggiudicazione alla stipulazione del contratto.

Le seconde (garanzie definitive) operano nella conclusiva fase di adempimento delle obbligazioni contrattuali.

In particolare, ai sensi dell’art. 93, comma 1, D. Lgs. n. 50/2016, i concorrenti devono presentare, a corredo della propria offerta, “una garanzia fideiussoria, denominata ‘garanzia provvisoria’ pari al due per cento del prezzo base indicato nel bando o nell’invito, sotto forma di cauzione o di fideiussione, a scelta dell’offerente”.

L’istituto, ai sensi del successivo comma 6, “copre la mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione dovuta ad ogni fatto riconducibile all’affidatario o all’adozione di informazione antimafia interdittiva emessa ai sensi degli articoli 84 e 91 del D. Lgs. n. 6 settembre 2011, n. 159[1]; lo svincolo è automatico “al momento della sottoscrizione del contratto”.

La giurisprudenza ha da tempo chiarito la natura esclusivamente non sanzionatoria del meccanismo, che costituisce obbligazione di garanzia di fonte legale imposta per la partecipazione alla gara, in quanto indice di serietà ed affidabilità dell’offerta.

Nell’eventualità patologica di mancata sottoscrizione del contratto, poi, la garanzia diviene rimedio di autotutela con funzione compensativa, consentendo all’Amministrazione di incamerare il quantum prestato a titolo di liquidazione forfettaria dei danni relativi alla fase procedimentale.

L’operatività dell’istituto presuppone un mero “fatto” dell’offerente consistente nella violazione delle regole di gara: ne discende la configurazione come responsabilità oggettiva, con conseguente esclusione di responsabilità nei soli casi di dimostrata assenza di un rapporto di causalità.

Il sistema delle garanzie pubblicistiche è infine completato dalla previsione della garanzia definitiva di cui all’art. 103 D. Lgs. n. 50/2016.

La norma opera nella fase di esecuzione, onerando l’appaltatore, ai fini della sottoscrizione del contratto, della costituzione di una garanzia – per l’appunto denominata “definitiva” -, a sua scelta sotto forma di cauzione o di fideiussione, pari al 10% dell’importo contrattuale.

La finalità in tal caso consiste nella garanzia “dell’adempimento di tutte le obbligazioni del contratto e del risarcimento dei danni derivanti dall’eventuale inadempimento delle obbligazioni stesse, nonché a garanzia del rimborso delle somme pagate in più all’esecutore rispetto alle risultanze della liquidazione finale, salva comunque la risarcibilità del maggior danno verso l’appaltatore” (art. 103, comma 1).

Il principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria

 Con Sentenza parziale 4 gennaio 2022 n. 26, la Sezione IV del Consiglio di Stato ha rimesso all’Adunanza Plenaria una questione interpretativa legata all’ambito di operatività dell’istituto della “garanzia provvisoria” di cui all’art. 93 D. Lgs. n. 50/2016.

In particolare, l’Alto Consesso è stato chiamato a chiarire se detta garanzia copra soltanto i “fatti” che si verificano nel periodo compreso tra l’aggiudicazione e il contratto ovvero anche quelli che hanno luogo nel periodo antecedente compreso tra la “proposta di aggiudicazione” e l’aggiudicazione.

La questione è stata risolta mediante il richiamo ai criteri generali di interpretazione della Legge, di cui all’art. 12 delle Preleggi[2] (Disposizioni preliminari al Codice Civile).

In primo luogo, sul piano dell’interpretazione letterale, l’Adunanza Plenaria ha sottolineato come il comma 6 dell’art. 93 stabilisce chiaramente che la garanzia copre la mancata sottoscrizione del contratto “dopo l’aggiudicazione dovuta ad ogni fatto riconducibile all’affidatario”.

Il duplice riferimento sia all’aggiudicazione sia all’affidatario delimita inequivocabilmente l’ambito di operatività della previsione, che non può che trovare applicazione in momento successivo all’aggiudicazione definitiva.

Sul piano dell’interpretazione teleologica, poi, l’evoluzione storica della normativa in materia ha dimostrato la volontà del Legislatore di ridurre l’operatività del sistema delle garanzie nella fase procedimentale.

Nel passaggio al Codice dei contratti pubblici del 2016, infatti, è venuta meno la facoltà della Stazione Appaltante di escutere, ricorrendone i presupposti, la garanzia provvisoria anche nei confronti dei partecipanti alla procedura di selezione[3].

Ne consegue che un’eventuale estensione del perimetro di operatività del meccanismo rispetto alla formulazione letterale si porrebbe in contrasto con la ratio legis.

A conforto si pone altresì l’interpretazione frutto del criterio sistematico, che rende evidente la distinzione, all’interno del sistema delineato dal Codice, tra fase procedimentale di gara, ove si colloca la proposta di aggiudicazione, e la successiva fase provvedimentale, che va dall’aggiudicazione alla stipulazione del contratto.

La proposta di aggiudicazione, ricorda infatti l’Adunanza Plenaria, è atto endoprocedimentale non suscettibile di autonoma impugnazione, il cui destinatario è ancora un “concorrente”, ancorché individualizzato; l’aggiudicazione, per contro, è il provvedimento finale di conclusione della procedura di gara, in quanto tale avente rilevanza esterna, la cui adozione vincola, tra l’altro, l’aggiudicatario alla propria offerta per un massimo di sessanta giorni (art. 32, comma 6, D. Lgs. n. 50/2016).

Infine, anche sul piano dell’interpretazione analogica, la diversità di disciplina e la netta distinzione delle due fasi impedisce di estendere il sistema delle garanzie provvisorie, proprie della fase provvedimentale e dell’aggiudicazione definitiva, all’antecedente fase procedimentale.

Alla luce della natura e delle finalità del sistema pubblicistico della garanzie, l’Adunanza Plenaria ha affermato quindi che la facoltà di escussione della garanzia provvisoria per fatto imputabile all’affidatario – ex art. 93, comma 6, D. Lgs. n. 50/2016 – opera nel solo periodo compreso tra l’aggiudicazione e la stipulazione del contratto e non anche nel periodo compreso tra la proposta di aggiudicazione e l’aggiudicazione.

In altri termini, l’unico destinatario dell’eventuale escussione della garanzia è l’aggiudicatario.

 

Studio Legale DAL PIAZ

[1]La previsione è frutto della novella introdotta dall’art. 59, comma 1, lett. d), D. Lgs. n. 56/2017, che ha espunto dal citato comma 6 il riferimento all’elemento soggettivo del fatto dell’affidatario: nella formulazione previgente, infatti, la garanzia copriva le sole ipotesi di mancata sottoscrizione del contratto riconducibili “ad una condotta connotata da dolo o colpa grave”.
[2]La norma, rubricata “Interpretazione della legge”, introduce quattro distinti criteri: i) il criterio letterale, ii) il criterio teleologico della c.d. ratio legis, iii) il criterio sistematico e iv) il criterio dell’interpretazione analogica.
[3]
Il previgente Codice dei contratti pubblici (D. Lgs. n. 163/2006) prevedeva un articolato sistema di garanzie, operante anche nella fase procedimentale di gara: infatti, l’art. 48 disciplinava il c.d. “controllo a campione”, in virtù del quale le Stazioni Appaltanti, prima di procedere all’apertura delle buste, dovevano richiedere ad alcuni offerenti (pubblicamente sorteggiati) prova del possesso dei requisiti speciali di gara.

IL “SOCCORSO FINANZIARIO” IN FAVORE DELLE SOCIETA’ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA

La tematica relativa alle operazioni riconducibili al “soccorso finanziario” risulta estremamente attuale, anche in ragione del periodo di pandemia da Covid-19 e delle disposizioni introdotte dal c.d. “Decreto Semplificazioni” (art. 10, comma 6 bis, del D.L. n. 77 del 2021[1] conv. in L. n. 108 del 2021).

La normativa

L’art 14, comma 5, del D. Lgs. n. 175/2016 (TUSP: Testo Unico sulle Società a Partecipazione Pubblica) prevede il divieto del c.d. “soccorso finanziario”: “Le amministrazioni di cui all’art. 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009[2], n. 196 non possono, salvo quanto previsto dagli articoli 2447 e 2482-ter del codice civile, sottoscrivere aumenti di capitale, effettuare trasferimenti straordinari, aperture di credito, né rilasciare garanzie in favore di società partecipate, con esclusione delle società quotate e degli istituti di credito, che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali. Sono in ogni caso consentiti i trasferimenti straordinari delle società di cui al primo periodo, a fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma […] purché le misure indicate siano contemplate in un piano di risanamento”. 

Il piano di risanamento deve essere approvato dall’Autorità di regolazione di settore (ove esistente) e comunicato alla Corte dei Conti con le modalità di cui all’art. 5 del TUSP e contemplare il raggiungimento dell’equilibrio finanziario entro tre anni.
Il primo periodo dell’art. 14, comma 5, del TUSP introduce, dunque, la regola generale del divieto di “soccorso finanziario”, seppur temperata dalla previsione del secondo periodo che ammette alcune esclusioni.  

La giurisprudenza della Corte dei Conti

La Corte dei Conti si è più volte pronunciata sull’ammissibilità degli interventi attuati a sostegno di organismi partecipati, affrontando in particolare la natura dei rapporti finanziari sussistenti tra enti pubblici e società partecipate.  

Sul tema, con la recente Deliberazione n. 31/2022, la Corte dei Conti Sez. Reg. di Controllo per la Lombardia ha chiarito che secondo le norme di diritto comune (che si applicano altresì alle società partecipate), nelle società di capitali – per le obbligazioni sociali – risponde solamente la società con il relativo patrimonio (ex artt. 2325 e 2462 c.c.). Dunque, in assenza di specifica deroga normativa, anche il socio pubblico – analogamente ad ogni altro socio – rimane esposto nei limiti della quota capitale detenuta[3]

Del resto, la questione è stata più volte affrontata dalla medesima Corte, la quale è giunta a consolidare l’orientamento secondo cui non sussiste a carico del socio pubblico – anche se unico socio – alcun obbligo di procedere al ripiano delle perdite né all’assunzione diretta dei debiti di una società partecipata[4]

In particolare, la Corte, tramite la citata Deliberazione ha rammentato che “da tempo il legislatore ha previsto che il “soccorso finanziario” nei confronti degli organismi partecipati rimane, anzitutto, precluso allorché si versi nella condizione di reiterate perdite di esercizio”, confermando il disposto dell’art 14, comma 5, del TUSP. 

Tale norma, del resto, esclude direttamente la possibilità di ricorrere al “soccorso finanziario” quale particolare forma di ripiano degli squilibri e conseguente integrazione delle perdite delle società “in mano pubblica”, da parte dell’ente partecipante, a favore delle partecipate versanti nelle menzionate condizioni di dissesto. 

La regola ha la funzione di cristallizzare l’abbandono della logica di “salvataggio obbligatorio” degli organismi in condizione di irrimediabile dissesto, anche per uniformità alle norme europee che vietano ai soggetti operanti nel mercato di fruire di un diverso trattamento, coincidente con l’attribuzione di diritti speciali od esclusivi[5]

Invece, a sostegno delle società partecipate e con riferimento all’emergenza derivante dalla pandemia da Covid-19, nel 2021 è entrata in vigore una previsione finalizzata a limitare gli effetti economici conseguenti a tale crisi: il Legislatore ha stabilito che l’esercizio dell’anno 2020 non si computa nel calcolo del triennio ai fini dell’applicazione dell’articolo 14, comma 5, né ai fini dell’applicazione dell’articolo 21 del TUSP[6] (art. 10, comma 6 bis, del D.L. n. 77 del 2021[7] conv. in L. n. 108 del 2021). 

Inoltre, la Deliberazione n. 31/2022 specifica testualmente che “la neutralizzazione del divieto di sostegno finanziario prevista dal legislatore, nel decreto semplificazioni del 2021, è una misura a favore delle partecipate che, in ragione della pandemia, abbiano dichiarato perdite di esercizio”; tuttavia, tale previsione non deve e “non può costituire uno strumento per eludere e aggirare i divieti previsti, per le società in perdita ultratriennale, dal regime ordinario”. 

La ratio del divieto di “soccorso finanziario” generalizzato

Dunque, laddove non risultano riscontrabili condizioni di pacifica ed evidente straordinarietà nonché motivazioni riconducibili agli stretti profili corrispondenti, il “soccorso finanziario” non è ammesso poiché rappresenterebbe un’elusione dell’intento del Legislatore di razionalizzazione societaria in ambito pubblico. Quest’ultima resta, dunque, la regola generale in tema di soccorso finanziario in favore di organismi a partecipazione pubblica. 

In relazione agli interventi straordinari, la Corte dei Conti, Sez. Reg. di Controllo per il Veneto, con la Deliberazione n. 18/2021 ha disposto che la motivazione di tali interventi deve dare conto delle ragioni fattuali e giuridiche “dello specifico interesse pubblico perseguito in relazione ai propri scopi istituzionali” con esplicitazione delle “ragioni economico-giuridiche dell’operazione le quali, dovendo necessariamente essere fondate sulla possibilità di assicurare una continuità aziendale finanziariamente sostenibile, non possono non implicare […] una previa e adeguata verifica delle criticità che generano le perdite, […] nonché una compiuta valutazione circa l’opportunità di conservazione in vita dell’organismo partecipato o del semplice mantenimento della partecipazione”. 

In conclusione deve ritenersi fortemente limitata – per le amministrazioni locali – l’ammissibilità di interventi a sostegno di organismi partecipati, mediante erogazione di disponibilità finanziarie a fondo perduto, che appaiono privi quantomeno di una puntuale prospettiva di recupero dell’economicità e dell’efficienza della gestione dei soggetti beneficiari[8].

 

Studio Legale DAL PIAZ

[1]D.L. 31 maggio 2021, n. 77 c.d. “Decreto Semplificazioni”.
[2]La norma, al comma 2, fa riferimento ad amministrazioni pubbliche, enti ed altri soggetti che costituiscono il settore istituzionale delle amministrazioni pubbliche individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti comunitari. In particolare l’art. 1, comma 3, L. 31 dicembre 2009 n. 196 prevede che “la ricognizione delle amministrazioni pubbliche di cui al comma 2 è operata annualmente dall’ISTAT con proprio provvedimento e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale entro il 30 settembre”.
[3]
Solo in ipotesi particolari, infatti, è prevista – in via eccezionale – la responsabilità illimitata del socio unico (art. 2325, comma 2, e art. 2462, comma 2, c.c.).
[4]A tal proposito, Corte dei Conti, Sez. Reg. di Controllo per la Lombardia, Deliberazione n. 410/2016/PRSE; cfr. referto Sez. delle Autonomie di cui alla Deliberazione n. 27/SEZAUT/2016/FRG; Sez. Reg. di Controllo per la Lombardia/64/2021/PAR, e Sez. Reg. di Controllo per il Piemonte, Deliberazione n. 56/2021/SRCPIE/PRSE.
[5]Sul punto, Corte dei Conti, Sez. Reg. di Controllo per la Lombardia, Deliberazione n. 296/2019.
[6]
Recante “Norme finanziarie sulle società partecipate dalle amministrazioni locali”, il quale disciplina il fenomeno dell’accantonamento per perdite ed in particolare, al comma 1, dispone che “nel caso in cui società partecipate dalle pubbliche amministrazioni locali comprese nell’elenco di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, presentino un risultato di esercizio negativo, le pubbliche amministrazioni locali partecipanti, che adottano la contabilità finanziaria, accantonano nell’anno successivo in apposito fondo vincolato un importo pari al risultato negativo non immediatamente ripianato, in misura proporzionale alla quota di partecipazione”.
[7]D.L. 31 maggio 2021 n. 77 (c.d. “Decreto Semplificazioni”).
[8]Sul punto, Corte dei Conti, Sez. Reg. di Controllo per la Liguria, Deliberazione n. 18/2021.

Lo Studio Legale DAL PIAZ vince al TAR Piemonte: Sentenza n. 447/2023 in materia di elementi essenziali dell’offerta ed applicabilità del soccorso istruttorio nel Partenariato Pubblico Privato.

Con Delibera n. 141 in data 30 marzo 2022, l’Autorità Nazionale Anticorruzione ha adottato le nuove Linee Guida in materia di qualificazione delle Stazioni Appaltanti e delle Centrali di committenza.

Il documento individua le modalità operative di ridefinizione edi rafforzamento del sistema di qualificazione di cui all’art. 38 D. Lgs. n. 50/2016, che diverrà pienamente efficace all’entrata in vigore della riforma del Codice dei contratti pubblici[1].

In particolare, gli obiettivi perseguiti sono:

  1. la riduzione delle Stazioni Appaltanti, con contestuale centralizzazione degli acquisti;
  2. il rafforzamento e la qualificazione delle stesse;
  3. l’applicazione di criteri di qualità, efficienza e professionalizzazione;
  4. l’istituzione dell’Anagrafe Unica delle Stazioni Appaltanti.

Il sistema di qualificazione

Ai sensi dell’art. 37, commi 1 e 2, D. Lgs. n. 50/2016, negli appalti di lavori per importo pari o superiore a € 150.000,00 e negli appalti di servizi e forniture di importo pari o superiore a € 139.000,00, le Stazioni Appaltanti e le Centrali di committenza devono essere in possesso della qualificazione di cui al successivo art. 38.

La suddetta qualificazione è conseguita “in rapporto agli ambiti di attività, ai bacini territoriali, alla tipologia e complessità del contratto e per fasce d’importo” e consiste nell’iscrizione in un apposito elenco istituto presso l’ANAC.

L’iscrizione ha ad oggetto il complesso delle attività che caratterizzano il processo dell’appalto – che sia esso di acquisizione di un bene, di un servizio o di un lavoro – avuto riguardo ai seguenti ambiti:

  1. capacità di programmazione e progettazione;
  2. capacità di affidamento;
  3. capacità di verifica sull’esecuzione e controllo dell’intera procedura, ivi incluso il collaudo e la messa in opera.

Secondo l’indicazione contenuta nelle stesse Linee Guida, la qualificazione attesta la capacità dei soggetti di gestire direttamente, secondo criteri di qualità, efficienza e professionalizzazione, e nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza, le attività che caratterizzano il processo di acquisizione di un bene, di un servizio o di un lavoro […]” (Punto 2.1).

Il testo[2]

Ai sensi del Punto 1.1, le Linee Guida individuano i dati necessari per dimostrare il possesso dei requisiti, di base e premianti, previsti al comma 4 dell’art. 38 del Codice[3], nonché le informazioni attestanti il possesso degli stessi e le modalità di raccolta di tali informazioni.

Si articolano in tre Parti:

I. Parte I – “Ambiti e livelli di qualificazione”

II. Parte II – “Requisiti per la qualificazione”

III. Parte III – “Raccolta delle informazioni e monitoraggio”.

Nel testo sono individuati gli ambiti (lavori; servizi e forniture; entrambe le tipologie contrattuali – Punto 2.2) ed i livelli di qualificazione per l’affidamento (Punto 3) e per l’esecuzione (Punto 4) per le Stazioni Appaltanti e le Centrali di committenza, nonché i pesi assegnati, in via provvisoria, per i diversi requisiti individuati all’art. 38 del Codice (Punto 5).

Non vengono, tuttavia, indicate le modalità di calcolo dei punteggi per tali requisiti.

Tali modalità dovranno emergere dall’analisi delle osservazioni che perverranno dalla consultazione e dall’analisi dei dati già acquisiti dall’Autorità tramite la Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici o che saranno comunicati, su base volontaria, dalle Stazioni Appaltanti con le modalità indicate dal Punto 10 delle Linee Guida.

Pertanto, assume un ruolo centrale la partecipazione delle Stazioni Appaltanti alle attività propedeutiche alla predisposizione del testo definitivo delle Linee Guida, “sia nell’invio dei dati richiesti al fine di definire in modo il più possibile compiuto il sistema di qualificazione, sia nell’adeguarsi tempestivamente all’avvio del sistema, avvio che avverrà dopo l’approvazione dei decreti legislativi previsti dal disegno di legge delega di riforma del Codice dei contratti pubblici” (Premesse).

Invero, ai sensi del Punto 10, le Stazioni Appaltanti possono comunicare le informazioni da autodichiarare accedendo all’Anagrafe Unica delle Stazioni Appaltanti (AUSA) a partire dal 15 aprile e fino al 22 maggio 2022, in modo da permettere all’Autorità di effettuare le necessarie elaborazioni sui dati raccolti per definire le modalità di attribuzione dei punteggi.

Le Stazioni Appaltanti possono, inoltre, inserire nella Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici (BDNCP) le informazioni mancanti per le procedure di gare avviate successivamente all’entrata in vigore del Codice dei contratti pubblici.

L’ANAC ha contestualmente avviato anche la consultazione pubblica sulle Linee Guida (Punto 10.2), con la possibilità, fino al 10 maggio 2022, per le varie istituzioni pubbliche, centrali di committenza, operatori economici ed associazioni di categoria, di inviare osservazioni sul testo.

 Gli step successivi

Il testo delle Linee Guida approvato costituisce solo la prima fase dell’iter di ridefinizione del sistema qualificazione, in quanto attuativo degli artt. 4 e 6 del Protocollo d’Intesa tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri e l’ANAC sottoscritto in data 17 dicembre 2021.

Infatti, il cronoprogramma previsto per la redazione del testo definitivo del sistema di qualificazione si articola nelle seguenti ulteriori fasi:

  • Raccolta dei dati richiesti alle Stazioni Appaltanti e consultazione degli stakeholders: 22 maggio 2022.
  • Prima relazione contenente l’analisi dei dati raccolti e delle osservazioni pervenute, nonché delle informazioni di cui all’art. 6, comma 3, del Protocollo: 30 giugno 2022.

Testo finale delle Linee Guida e individuazione del numero delle Stazioni Appaltanti potenzialmente qualificate: 30 settembre 2022.

 

Studio Legale DAL PIAZ

[1]Con Disegno di Legge Delega (D.L.L.) in data 30 marzo 2022, il Governo ha sottoposto all’esame delle Camere il testo della delega per la razionalizzazione della materia dei contratti pubblici. L’adozione della riforma rientra tra gli impegni recentemente assunti dallo Stato Italiano con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che impone il rispetto dei seguenti obiettivi temporali: i) l’entrata in vigore della Legge Delega per la revisione del Codice dei contratti pubblici entro il mese di giugno 2022, ii) l’entrata in vigore del Decreto Legislativo attuativo della Delega entro il mese di marzo 2023 e iii) l’entrata in vigore di tutte le leggi, dei regolamenti e dei provvedimenti attuativi (anche di diritto privato) per la revisione del sistema degli appalti pubblici entro il mese di giugno 2023.
[2]Linee Guida recanti “attuazione – anche a fasi progressive – del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti e delle centrali di committenza da porre alla base del nuovo sistema di qualificazione che sarà reso operativo al momento della entrata in vigore della riforma della disciplina dei contratti pubblici.”. PRIMA FASE:https://bit.ly/3MKeH6c.
[3]
Art. 38, comma 4, D.Lgs. n. 50/2016: I requisiti di cui al comma 3 [a) capacità di progettazione; b) capacità di affidamento; c) capacità di verifica sull’esecuzione e controllo dell’intera procedura, ivi incluso il collaudo e la messa in opera] sono individuati sulla base dei seguenti parametri:

a) requisiti di base, quali:
1) strutture organizzative stabili deputate agli ambiti di cui al comma 3;
2) presenza nella struttura organizzativa di dipendenti aventi specifiche competenze in rapporto alle attività di cui al comma 3;
3) sistema di formazione ed aggiornamento del personale;
4) numero di gare svolte nel quinquennio con indicazione di tipologia, importo e complessità, numero di varianti approvate, verifica sullo scostamento tra gli importi posti a base di gara e consuntivo delle spese sostenute, rispetto dei tempi di esecuzione delle procedure di affidamento, di aggiudicazione e di collaudo;
5) rispetto dei tempi previsti per i pagamenti di imprese e fornitori come stabilito dalla vigente normativa ovvero il rispetto dei tempi previsti per i pagamenti di imprese e fornitori, secondo gli indici di tempestività indicati dal decreto adottato in attuazione dell’articolo 33 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33;
5-bis) assolvimento degli obblighi di comunicazione dei dati sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture che alimentano gli archivi detenuti o gestiti dall’Autorità, come individuati dalla stessa Autorità ai sensi dell’articolo 213, comma 9;
5-ter) per i lavori, adempimento a quanto previsto dagli articoli 1 e 2 del decreto legislativo 29 dicembre 2011, n. 229, in materia di procedure di monitoraggio sullo stato di attuazione delle opere pubbliche, di verifica dell’utilizzo dei finanziamenti nei tempi previsti e costituzione del Fondo opere e del Fondo progetti, e dall’articolo 29, comma 3;
5-quater) disponibilità di piattaforme telematiche nella gestione di procedure di gara;
(numero aggiunto dall’art. 8, comma 5, lettera a), della legge n. 120 del 2020)

b) requisiti premianti, quali:
1) valutazione positiva dell’ANAC in ordine all’attuazione di misure di prevenzione dei rischi di corruzione e promozione della legalità;
2) presenza di sistemi di gestione della qualità conformi alla norma UNI EN ISO 9001 degli uffici e dei procedimenti di gara, certificati da organismi accreditati per lo specifico scopo ai sensi del regolamento CE 765/2008 del Parlamento Europeo e del Consiglio;
3) (numero soppresso dall’art. 8, comma 5, lettera a), della legge n. 120 del 2020)
4) livello di soccombenza nel contenzioso;
5) applicazione di criteri di sostenibilità ambientale e sociale nell’attività di progettazione e affidamento”.

DUE IMPORTANTI PRONUNCE GIURISPRUDENZIALI:<br>Collegio Consultivo Tecnico negli appalti pubblici Proroghe automatiche delle concessioni demaniali marittime

A distanza di pochi giorni sono state emesse due importanti pronunce giurisprudenziali rispettivamente in tema di:

  1. incarico di Presidente del Collegio Consultivo Tecnico
  2. illegittimità delle proroghe delle concessioni demaniali marittime.

1.  T.A.R. per il Lazio, Sez. III, Ordinanza n. 2585 del 19.04.2022

Con Ordinanza n. 2585 del 19.04.2022 il T.A.R. Lazio, accogliendo la domanda cautelare promossa dall’Ordine degli Avvocati di Roma con l’intervento ad adiuvandum della Società Italiana Avvocati Amministrativisti, ha sospeso l’efficacia del punto 2.4.2., lett. c), delle Linee Guida costitutive del Collegio Consultivo Tecnico (Allegato A del Decreto n. 12 del 17 gennaio 2022 del M.I.M.S.), che esclude gli Avvocati del libero Foro dalla possibilità di essere nominati Presidenti del CCT stesso[1].

In particolare, il Collegio ha rilevato l’irragionevoleesercizio della discrezionalità riconosciuta al Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili dall’art. 6, comma 8 bis, del D.L. n. 76/2020 (c.d. Decreto Semplificazioni) sotto molteplici profili.

Innanzitutto, la previsione contenuta nel punto 2.4.2., lett. c), delle Linee Guida appare illogica e discriminatoria in quanto la categoria professionale degli Avvocati del libero Foro rientra tra quelle che possono essere nominate componenti del CCT, ai sensi del punto 2.4.3., lett. b).

Tuttavia, tale categoria professionale viene esclusa dal novero dei giuristi che possono aspirare alla carica di Presidente del CCT posto che il punto 2.4.2., lett. a), delle Linee Guida individua tra i requisiti prescritti per la nomina l’assunzione di incarichi che risultano incompatibili con l’esercizio dell’attività forense[2].

Inoltre, la previsione censurata annovera, quale ulteriore requisito per i giuristinominabili a Presidente, il possesso di determinate qualifiche professionali tutte accomunate dalla sussistenza di “uno spiccato legame di funzionalizzazione con il c.d. Stato-apparato”, non contrattualizzato ed in regime di diritto pubblico[3].

La medesima disposizione opera, però, secondo il T.A.R., una “irragionevole ed illogica equiparazione” di tale personale pubblicistico con la categoria dei dirigenti di stazioni appaltanti con personalità giuridica di diritto privato, e quindi “contestualmente una ingiustificata ed irragionevole disparità di trattamento tra la predetta categoria di dirigenti e gli avvocati del libero Foro, affiorante quindi in peius nei confronti degli avvocati”.

E ancora, secondo il Collegio, la scelta del M.I.M.S. di precludere agli Avvocati del libero Foro la possibilità di accedere all’incarico di Presidente del CCT non appare logicamente coerente con i compiti demandati ex lege a tale organo, posto che, ai sensi dell’art. 6, comma 1, del D.L. n. 76/2020 (fonte primaria di costituzione del Collegio), il CCT assolve alla funzione di “rapida risoluzione delle controversie o delle dispute tecniche di ogni natura suscettibili di insorgere nel corso dell’esecuzione del contratto stesso”.

Per l’effetto, il Giudice Amministrativo ha sospeso l’efficacia del punto 2.4.2., lett. c), delle Linee Guida istitutive del CCT, ritenendo altresì sussistente il “danno grave e irreparabile” derivante dall’impossibilità per gli Avvocati del libero Foro di ricoprire l’incarico di Presidente di istituendi Collegi nonostante l’avvenuta designazione ad opera delle parti (Pubblica Amministrazione ed operatore economico).

2. Corte di Cassazione, Sez. III Penale, Sentenza n. 15676 del 22.04.2022

La Suprema Corte, in un giudizio di impugnazione avente ad oggetto il reato di occupazione abusiva di spazio demaniale marittimo ex art. 1161 del Codice della navigazione, ha ripercorso l’evoluzione normativa nazionale in materia di proroghe legali dei termini di durata delle concessioni dei beni demaniali marittimi con finalità turistico-ricreative[4], soffermandosi, in particolare, sulla portata delle pronunce nn. 17 e 18 del novembre 2021 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.

Come noto, il Consiglio di Stato con le sentenze gemelle del 2021 ha sancito l’incompatibilità della disciplina nazionale, che prevede la proroga ex lege fino al 31.12.2033delle concessioni demaniali marittime, ai principi di derivazione comunitaria, per contrasto sia con gli artt. 49 e 56 TFUE sia con l’art. 12 della Direttiva 123/2006/CE (c.d. Bolkestein), affermando la necessità di affidare tali concessioni balneari all’esito di procedure ad evidenza pubblica.

Tuttavia, il Giudice Amministrativo, consapevole dell’incertezza normativa e della necessità di prevedere “un lasso di tempo che consenta a Governo e Parlamento di approvare doverosamente una normativa che possa riordinare la materia e disciplinarla in conformità con l’ordinamento comunitario, essendo ormai ineludibili le istanze di tutela della concorrenza e del mercato nonché l’esigenza di tutela del concessionari uscenti”, ha rinviato al 31.12.2023 la disapplicazione della normativa nazionale di proroga solo ed esclusivamente per le concessioni successive all’entrata in vigore del D.L. n. 194/2009, il cui art. 1, comma 18, ha introdotto il sistema di proroghe tacite[5].

Con la Sentenza n. 15676 del 22.04.2022, la Suprema Corte ha rimarcato la decisione dell’Adunanza Plenaria che non legittima alcuna proroga generalizzata delle concessioni demaniali marittime, ma, anzi, afferma l’illegittimità delle leggi nazionali di proroga per contrasto con la normativa sovranazionale.

La Cassazione, Sez. III Penale, nel caso concreto, posto che la concessione del demanio marittimo del ricorrente – titolare di uno stabilimento balneare ligure – è stata rilasciata nel 1998 e definitivamente scaduta nel dicembre 2009 senza essere mai stata oggetto di proroghe tacite, ha quindi stabilito che al termine di scadenza di tale concessione non possa applicarsi il rinvio al 31.12.2023 (termine consequenziale alle citate pronunce dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato), con conseguente integrazione del reato di occupazione abusiva di spazio demaniale marittimo ai sensi dell’art. 1161 del Codice della navigazione, che legittima il sequestro preventivo dell’arenile e delle strutture balneari.

Secondo alcuni dati sarebbero oltre 17.000 le concessioni demaniali marittime illegittimamente prorogate, e quindi ancora in corso, in Italia.

 

Studio Legale DAL PIAZ

[1]Su questo sito è stato pubblicato in data 22.03.2022 l’articolo “IL COLLEGIO CONSULTIVO TECNICO NEGLI APPALTI PUBBLICI. DECRETO 17 GENNAIO 2022 N. 12 DEL MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DELLA MOBILITA’ SOSTENIBILI”: https://bit.ly/3OrHw90.
[2]Punto 2.4.2., lett. a), delle Linee Guida (Allegato A del D. M. n. 12/2022): “[…] ingegneri, architetti, giuristi ed economisti con comprovata esperienza ultradecennale documentabile attraverso l’avvenuta assunzione di significativi incarichi di responsabile unico del procedimento, di direttore dei lavori, di presidente di commissione di collaudo tecnico-amministrativo e di presidente di commissione per l’accordo bonario nell’ambito di appalti sopra soglia europea e proporzionati all’incarico da assumere […]”.
[3]Punto 2.4.2., lett. c), delle Linee Guida: “[…] giuristi, che ricoprono o hanno ricoperto la qualifica di: magistrato ordi-nario, amministrativo o contabile; avvocato dello Stato; Prefetto e dirigente della carriera prefettizia, non in sededa almeno due anni, dirigente di amministrazioni pubbliche di cuiall’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165/2001 […]”.
[4]Già oggetto di approfondimento nell’articolo “Il problema delle proroghe automatiche delle concessioni demaniali marittime” del 31.03.2021: https://bit.ly/3vAaP0y.
[5]Il termine di scadenza delle concessioni demaniali, inizialmente stabilito al 31.12.2015 dal D.L. n. 194/2009, è stato ulteriormente prorogato dal D.L. 18 ottobre 2012, convertito nella L. n. 221/2012, sino al 31.12.2020, e, infine, per ef-fetto dell’art. 1, commi 682,683 e 684, della L. n. 145/2018, sino al 31.12.2033.

L’INAPPLICABILITÀ DELLA CLAUSOLA SOCIALE NEGLI AFFIDAMENTI IN HOUSE

Lo Studio Legale DAL PIAZ in una vertenza relativa all’applicazione dell’art. 19 D.Lgs. n. 175/2016, che impone il rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità ed imparzialità per l’assunzione del personale.

 

Con la sentenza n. 753/2022 dello scorso 22 marzo, il Tribunale di Milano, Sezione Civile – Lavoro, ha escluso l’obbligo di applicazione della clausola sociale ex art. 6 CCNL per i dipendenti di imprese e società esercenti servizi ambientali (Fise Assoambiente/Utilitalia) in capo alla Società A.S.M. Azienda Speciale Multiservizi S.r.l. (A.S.M.) assistita dallo Studio Legale DAL PIAZ.

Il caso

La A.S.M. è una società a capitale pubblico, fondata dal Comune di Magenta e partecipata da alcuni Comuni del milanese, tra cui il Comune di Sedriano, alla quale era stato affidato, anche da quest’ultima Amministrazione, il servizio di igiene ambientale in regime di in house providing (ossia l’affidamento di servizi e/o lavori, senza l’espletamento di procedure ad evidenza pubblica, in capo ad un soggetto giuridico a capitale pubblico privo del carattere di terzietà rispetto all’Ente affidante, costituendo, al contrario, la “longa manus” di quest’ultimo).

Tale modello organizzativo era stato adottato in seguito alla cessazione dell’affidamento del servizio, da parte del Comune di Sedriano, alla Società IDEALSERVICE Soc. Coop. (avvenuto mediante gara d’appalto con decorrenza dal 30.09.2013 al 30.09.2020), la quale aveva a sua volta affidato il servizio in subappalto alla Società FUTURA Soc. Coop., ove era impiegato il ricorrente nel giudizio in esame.

Al termine dell’affidamento, i lavoratori della IDEALSERVICE e della FUTURA avevano rivendicato il diritto al mantenimento del rapporto di lavoro presso la nuova affidataria A.S.M., in virtù dell’operatività della clausola sociale ex art. 50 D.Lgs. n. 50/2016 ed art. 6 CCLN Fise Assoambiente.

La A.S.M., previa comunicazione dell’inoperatività della clausola sociale ed in osservanza dell’art. 19, commi 2 e 4, D.Lgs. n. 175/2016, aveva bandito due selezioni pubbliche ai fini dell’assunzione di operatori addetti alla raccolta rifiuti ed allo spazzamento stradale, alle quali aveva partecipato anche il ricorrente, risultando, tuttavia, escluso dalla graduatoria finale.

Quest’ultimo aveva, quindi, presentato ricorso dinanzi al Tribunale Ordinario di Milano, chiedendo l’accertamento e la dichiarazione del proprio diritto all’assunzione alle dipendenze della A.S.M. in applicazione della clausola sociale stabilita dall’art. 6 CCNL Fise Assoambiente.

La questione

Il giudizio ha ad oggetto il rapporto tra l’applicazione della clausola sociale ex art. 50 D.Lgs. n. 50/2016 ed art. 6 CCLN Fise Assoambiente e la disciplina vigente per l’assunzione di lavoratori presso le società in house.

In particolare, le clausole sociali[1] sono disposizioni inserite nei bandi o negli avvisi di gara con il preciso scopo di salvaguardare la stabilità occupazionale e la professionalità del personale impiegato dall’aggiudicatario uscente nell’esecuzione del contratto d’appalto, evitando pratiche di concorrenza sleale in termini di diminuzione del costo del lavoro.

A tale scopo, l’aggiudicatario subentrante è tenuto ad assumere i lavoratori precedentemente impiegati nell’impresa uscente e a garantire loro le stesse condizioni retributive[2].

In relazione all’affidamento di servizi e/o lavori in house occorre fare riferimento all’art. 192 del Codice dei Contratti Pubblici che, al fine di limitare le ipotesi di deroga delle regole della concorrenza, prevede un onere di motivazione particolarmente rigido per gli Enti che decidono di affidare lavori e/o servizi in capo a società a partecipazione pubblica, con specifico riguardo alle ragioni del mancato ricorso al mercato ed ai benefici della forma di gestione prescelta “anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche”.

Per i rapporti di lavoro all’interno delle società in house trova applicazione l’art. 19, commi 2 e 4, D.Lgs. n. 175/2016, che stabilisce, a pena di nullità dei contratti di lavoro stipulati, la previsione di criteri e modalità di reclutamento del personale in ossequio ai principi di trasparenza, pubblicità ed imparzialità (nonché nel rispetto dei principi ex art. 35, comma 3, D.Lgs. n. 165/2001).

Con il ricorso presentato dal lavoratore della Società FUTURA, il Tribunale di Milano si è trovato a decidere in ordine all’obbligo di applicazione della clausola sociale in capo alla Società a partecipazione pubblica A.S.M., cui era stata affidata la gestione del servizio di igiene urbana.

La soluzione del Tribunale di Milano

Il Giudice del Lavoro di Milano si è pronunciato con la sentenza n. 753/2022 in data 22.03.2022.

In primo luogo, il Tribunale ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva in capo alla Società resistente, in forza della produzione (da parte del ricorrente) della sentenza del TAR per la Lombardia in data 04.01.2022, con cui veniva annullata la Deliberazione del Consiglio Comunale di Sedriano n. 5/2021 avente ad oggetto l’affidamento in house del servizio di igiene ambientale in capo alla Società A.S.M..

La sentenza del Tribunale Amministrativo ha, infatti, l’effetto di travolgere la procedura di affidamento del servizio in capo ad A.S.M. e, di conseguenza, il subentro della medesima nell’appalto precedentemente aggiudicato (con gara) ad IDEALSERVICE Soc. Coop..

Inoltre, il Tribunale ha dichiarato l’infondatezza del ricorso in quanto la clausola sociale trova applicazione solo tra l’azienda cessante (nel caso di specie, la IDEALSERVICE) e l’azienda subentrante e non anche nei confronti dell’impresa subappaltatrice (la FUTURA), ove era impiegato il ricorrente.

Il Tribunale milanese ha successivamente affrontato il merito della questione, conformandosi ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di reclutamento di personale da parte di società a partecipazione pubblica.

In particolare, sulla scorta della sentenza della Corte di Cassazione n. 3621/2018, il Tribunale di Milano ha riconosciuto l’applicabilità del principio sancito dall’art. 18 D.L. n. 112/2008 (confermato dall’art. 19 D.Lgs. n. 175/2016), che estende alle società a partecipazione pubblica l’espletamento delle “procedure concorsuali e selettive delle amministrazioni pubbliche, la cui omissione determina la nullità del contratto di lavoro, ai sensi dell’art. 1418, comma 1, c.c.”.

A conferma di tale assunto, il Tribunale ha richiamato il parere della Corte dei Conti della Regione Lombardia n. 184/2017, per il quale, in caso di affidamento in house di un servizio precedentemente svolto da una società privata, l’affidataria deve procedere al reclutamento del personale secondo i criteri e le modalità che garantiscano imparzialità e trasparenza nell’individuazione dei lavoratori da assumere.

Infatti, sebbene le società a partecipazione pubblica o a controllo pubblico mantengano la natura giuridica di soggetti privati e, in assenza di limitazioni di legge, osservino le norme statutarie, le società in house non operano secondo tale modalità, in quanto costituiscono articolazioni funzionali delle amministrazioni controllanti, e ad esse si estendono, pertanto, i vincoli assunzionali gravanti sugli Enti partecipanti.

Il Tribunale di Milano ha, dunque, rigettato il ricorso promosso dal lavoratore impiegato presso la Società FUTURA, precisando che “il ricorso a procedure selettive non è vietato ma – semmai – alternativo alla definizione di criteri che garantiscano una individuazione imparziale e trasparente dei lavoratori sa assumere”.

 

Conclusioni

Dalla pronuncia del Tribunale di Milano e dalle argomentazioni di principio ivi richiamate ne deriva che, in tema di reclutamento di personale, la clausola sociale trova applicazione nei confronti delle Società subentranti che abbiano natura privatistica e non, invece, nei confronti delle Società in house, le quali sono tenute al rispetto dei principi generali vigenti in tema di assunzioni presso le Pubbliche Amministrazioni.

 

Studio Legale DAL PIAZ

[1]Le clausole sociali possono essere previste nei bandi di gara o negli avvisi per gli affidamenti di lavori e/o servizi ad alta intensità di manodopera.
[2]L’applicazione della clausola sociale non è da intendersi in termini assolutisti in quanto il riassorbimento di tutti o di parte dei lavoratori dell’impresa uscente deve comunque essere compatibile con l’organizzazione e l’assetto imprenditoriale dell’aggiudicatario entrante.

IL COLLEGIO CONSULTIVO TECNICO NEGLI APPALTI PUBBLICI. DECRETO 17 GENNAIO 2022 N. 12 DEL MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DELLA MOBILITA’ SOSTENIBILI

Il Decreto 17 gennaio 2022 n. 12, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 55 del 7 marzo 2022, finalmente entrato in vigore, ha ad oggetto la “Adozione delle linee guida per l’omogenea applicazione da parte delle stazioni appaltanti delle funzioni del collegio consultivo tecnico”, in applicazione del disposto di cui all’art. 6 del D.L. n. 76/2020[1](Decreto Semplificazioni) convertito nella Legge n. 120/2020.

Le (tanto attese) Linee Guida (Allegato A) costitutive del Collegio Consultivo Tecnico (CCT) interessano i soggetti giuridici di cui all’art. 3, comma 1, lett. o) del D.Lgs. n. 50/2016[2] (Codice), nonché gli operatori economici affidatari di lavori, come definiti dall’art. 3, comma 1, lett. p) del medesimo Codice, ossia tutti i soggetti pubblici e privati cui si applica obbligatoriamente tale disciplina.

Nelle Linee Guida viene raccomandata la costituzione del CCT ante operam in particolare per le opere finanziate con le risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e del Piano Nazionale Complementare (PNC): il CCT è tenuto a fissare riunioni periodiche al fine di ottenere informazioni sullo stato di avanzamento dei lavori ed a formulare eventuali osservazioni.

Di seguito le principali caratteristiche del CCT.

La costituzione del CCT

Il CCT deve essere obbligatoriamente costituito presso ogni stazione appaltante per i lavori diretti alla realizzazione di opere pubbliche di importo pari o superiore alle soglie di cui all’articolo 35 del Codice, prima dell’avvio dell’esecuzione o comunque non oltre dieci giorni da tale data (per i contratti la cui esecuzione fosse già iniziata alla data di entrata in vigore del Decreto Semplificazioni il collegio consultivo tecnico avrebbe dovuto essere nominato entro il termine di trenta giorni).

Il CCT può anche essere costituito in via facoltativa, per volontà concorde delle parti (pubblica amministrazione ed operatore economico).

La costituzione del CCT concerne l’affidamento di lavori finalizzati alla realizzazione di opere pubbliche e di manutenzione straordinaria (vengono esclusi gli affidamenti relativi a forniture e servizi ed i lavori di manutenzione ordinaria, come precisato al punto 1.2.1. delle Linee Guida), nonchè in ipotesi di contratti misti (qualora la parte dei lavori superi la soglia comunitaria individuata all’art. 35, comma 9, del Codice), e per contratti stipulati mediante accordi-quadro con operatori economici o per i lotti di importo pari o superiore a dette soglie.

Molto importante la previsione contenuta al punto 2.3.1. delle Linee Guida: l’inottemperanza dell’obbligo di costituzione del CCT (ovvero il ritardo nella costituzione dello stesso) è valutabile ai fini della responsabilità dirigenziale ed erariale, nonché sotto il profilo della “buona fede contrattuale”, nei rapporti tra stazione appaltante ed operatore economico.

I componenti del CCT

A norma del punto 2.2.1 dell’Allegato, la nomina dei componenti del CCT spetta ad entrambe le parti, che procedono alla loro individuazione anche tra il personale dipendente. Inoltre, possono essere nominati membri i soggetti in possesso dei seguenti requisiti: giuristi, ingegneri, architetti o economisti con comprovata esperienza ultradecennale documentabile attraverso l’assunzione di significativi incarichi (responsabile unico del procedimento, direttore dei lavori ed altri analoghi); ingegneri ed architetti appartenenti (o già appartenenti) al ruolo dirigenziale di una delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001[3]; giuristi che ricoprono (o hanno ricoperto) la qualifica di magistrato ordinario, amministrativo o contabile, prefetto, avvocato dello Stato, dirigente di amministrazioni pubbliche o di stazioni appaltanti con personalità giuridica di diritto privato, soggette all’applicazione del Codice dei contratti pubblici; economisti che ricoprono (o hanno ricoperto) la qualifica di dirigente di amministrazioni pubbliche o di stazioni appaltanti con personalità giuridica di diritto privato soggette all’applicazione del medesimo Codice.

Il Collegio può essere composto, alternativamente, da tre o cinque membri, tra i quali viene individuato il presidente; in caso di mancato accordo sulla nomina del presidente la designazione compete al Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili se l’opera oggetto dell’affidamento risulta di interesse nazionale, o dalle Regioni o dalle Città metropolitane per le opere di rispettivo interesse.

Le incompatibilità dei membri sono disciplinate al punto 2.5 delle Linee Guida.

La funzione del CCT

In linea generale, il CCT assolve una funzione preventiva di risoluzione delle controversie attinenti all’iter realizzativo dell’opera pubblica.
A norma del punto 4 dell’Allegato, l’effettiva finalità istituzionale del Collegio Consultivo Tecnico si sostanzia nella “assistenza” all’intera fase di avvio, esecuzione e collaudo dei lavori, al fine di prevenire eventuali problematiche e conflittualità incidenti sull’esecuzione.
Quanto alle determinazioni, il CCT rende pareri obbligatori ma non vincolanti. Naturalmente resta intatta la competenza decisionale del responsabile del procedimento e della stazione appaltante in materia di sospensione o di risoluzione del contratto.

Le determinazioni del CCT

Il CCT può operare analogamente ad un collegio arbitrale, ai sensi e per gli effetti dell’art. 808 ter c.p.c., previo consenso dell’amministrazione e dell’operatore economico affidatario.

Il CCT non può esprimersi con efficacia di lodo irrituale ex art. 808 ter c.p.c. sulle questioni oggetto di parere obbligatorio di cui alle lett. a), b) e d), dell’art. 5, comma 1, del D.L. n. 76/2020, ovvero in caso di sospensione obbligatoria dei lavori per violazione di norme penali o antimafia, o per gravi ragioni di ordine o salute pubblici o di pubblico interesse.

Dunque, il CCT si pronuncia con reale efficacia di lodo arbitrale unicamente sulle questioni oggetto di parere facoltativo ai sensi dell’art. 6 del D.L. n. 76/2020 o di quelle oggetto di parere obbligatorio di cui alla lett. c), dell’art. 5, comma 1, del medesimo Decreto, ossia in tema di “gravi ragioni di ordine tecnico, idonee a incidere sulla realizzazione a regola d’arte dell’opera, in relazione alle modalità di superamento delle quali non vi è accordo tra le parti”.
Le determinazioni del CCT, produttive degli effetti del lodo contrattuale, sono impugnabili per le ragioni elencate all’art. 808 ter, comma 2, c.p.c..

Quindi, nel caso di attribuzione della natura di lodo contrattuale, le determinazioni del CCT finalizzate alla risoluzione delle controversie o delle dispute tecniche, sorte in qualsiasi fase realizzativa, assumono carattere “dispositivo”, e sono direttamente attributive di diritti o costitutive di obblighi e di oneri a carico delle parti, nonché, in definitiva, alternative all’accordo bonario.

Peraltro, a norma del punto 5.1.4. delle Linee Guida, la volontà di una sola delle parti coinvolte nel contratto è sufficiente ad escludere la natura di lodo contrattuale di tali determinazioni.

Lo scioglimento del CCT

Lo scioglimento del Collegio obbligatoriamente costituito avviene entro trenta giorni dalla data di sottoscrizione dell’atto unico di collaudo tecnico-amministrativo. Tale previsione generale non opera nel caso in cui vi sia la necessità di ottenere pareri o determinazioni inerenti il collaudo. Nel caso di attivazione di CCT privo di carattere obbligatorio lo scioglimento può intervenire, previo accordo tra le parti, in qualunque momento.

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Certamente il CCT può costituire uno strumento per evitare conflittualità tra operatore economico e stazione appaltante durante la fase di esecuzione di lavori pubblici importanti o complessi (la costituzione è obbligatoria per opere soprasoglia), ma anche in caso di lavori di minore rilievo un CCT “facoltativo” può senz’altro agevolarne il regolare compimento soprattutto in periodi di grande incertezza economica (come quello odierno, in cui la pandemia ancora non si è conclusa e, addirittura, in una parte di Europa è in corso una guerra insensata), nei quali il costo delle materie prime è sempre più alto e pare fuori controllo.

 

Studio Legale DAL PIAZ

[1]c.d. “Decreto Semplificazioni”, recante “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale”.
[2]“Codice dei contratti pubblici”.
[3]Decreto Legislativo 30 marzo 2001 n. 165, recante “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”.

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